1. Introduzione: Teorie, metodi e linguaggio
In questa sezione introduttiva si chiarirà, in primo luogo, su quali idee e definizioni di ricezione dei classici si basa la rilettura di Saffo nelle fonti latine. Si definirà, poi, l’uso del termine “queer”, specialmente in relazione a studi recenti della letteratura greca e latina dal punto di vista della teoria queer, specificandone l’applicazione rispetto alla poetica di Saffo e alla sua ricezione.1 Infine, si fornirà un breve contesto per alcune scelte lessicali, grammaticali e stilistiche (come l’uso dei termini “queer” o “genere”, quest’ultimo preferito a gender) attinenti alla lingua impiegata nell’articolo, ovvero l’italiano, che nel corso degli ultimi anni è stato oggetto di discussioni riguardanti il linguaggio inclusivo di genere o, meglio, il “linguaggio ampio”.2
Il ruolo della ricezione nello studio dei classici e la capacità della stessa di fornire nuove prospettive sui testi antichi sono sempre più centrali nel dibattito accademico che concerne le discipline di antichistica, specialmente in ambito anglofono. Tra le descrizioni dei processi di ricezione dell’antichità classica che sono emerse negli ultimi due decenni,3 questo articolo si ispira alla definizione di Charles Martindale, uno tra gli studiosi e le studiose più importanti dei cosiddetti “Reception Studies” applicati ai classici (“Classical Reception”), che indica la ricezione come un processo di rivelazione reciproca (“mutual illumination”), come una relazione continua, dialogica e bidirezionale con i testi antichi.4 I casi di studio presi in esame nel corso di questo saggio fanno luce su un periodo circoscritto all’interno dell’ampia storia della ricezione di Saffo, ovvero la letteratura latina di età trado repubblicana e della prima età imperiale; nel contempo, i testi latini esaminati aprono nuove prospettive sulla produzione letteraria di Saffo stessa. Questo processo di “rivelazione reciproca”, che la ricezione dei classici implica, è particolarmente pertinente alla poetica di Saffo (così come a quella di altri testi frammentari), proprio a causa dello stato corrotto di ciò che della poesia di Saffo ci è pervenuto. È bene precisare che questo articolo non ha la pretesa di offrire alcuna ricostruzione strettamente filologica dei frammenti di Saffo, in quanto si basa su un’idea di ricezione intesa come una serie di processi che vanno oltre le nozioni filologiche legate alla ricostruzione (o, meglio, alla ricerca) del testo (più fedele all’) originale, e conseguentemente della tradizione manoscritta. Riallacciandosi ad approcci ermeneutici post-strutturalisti,5 oltre che a teorie legate alla ricezione dei classici, si considera ogni tipo di lettura o interpretazione come una forma di ricezione,6 e pertanto come un atto di rilettura e, per certi aspetti, reinvenzione del testo. Proprio su questa idea di reinvenzione si impernierà l’analisi delle modalità in cui Saffo viene riletta nella letteratura latina, e del motivo per cui questa sua ricezione è, in qualche modo, queer.
In effetti, più che definire in senso assoluto la parola “queer”, un termine che, per definizione, non è definibile,7 pare opportuno circoscrivere l’uso che se ne farà rispetto alla poetica di Saffo, così come alla ripresa di questa poetica nel campione di autori latini che saranno presi in esame. Le accezioni di “queer” che costituiscono le fondamenta teoriche di questo articolo sono desunte principalmente dalle riflessioni di David M. Halperin, classicista di formazione, poi specializzatosi anche in studi comparatistici, di storia della sessualità e di teorie di genere, e di Eve K. Sedgwick, considerata una delle fondatrici delle teorie queer.8 Nel contempo, l’articolo trae spunto da discussioni e pubblicazioni scientifiche recenti sul rapporto tra teorie queer e classici, con riferimento particolare ai lavori di Sandra Boehringer (2013), ai volumi editi da Sara Olsen e Mario Telò (2022), e da Ella Heselswerdt, Sara H. Lindheim e Kirk Ormand (2023), e a due tesi di dottorato recentemente discusse da Rioghnach Sachs (2022) e Sara Palermo (2023). Seguendo le osservazioni di Halperin, si intende queer come “qualsiasi cosa sia in contrasto con la normalità e il pensiero legittimo e dominante … un’identità priva di essenza”.9 In altre parole, “queer” non indica un concetto ma un rapporto, una relazione; se applicato alle questioni di genere e alla sessualità, “queer” esprime ciò che si discosta e appare non conforme rispetto agli stilemi di genere predominanti nel contesto sociale, politico e culturale a cui il termine fa riferimento o all’interno del quale il termine si trova impiegato. A partire da queste riflessioni, la definizione di “Saffo queer” sottintende le forme di ricezione e rifrazione della figura di Saffo anticonformiste e non normative rispetto alle norme di genere dominanti e tradizionali nell’ambito del contesto letterario latino.
Oltre a essere non normativa, la ricezione di Saffo nel mondo romano è anche indeterminata e variabile, non solo dal punto di vista del genere/gender ma anche della poetica. Questa ricezione fluida esprime l’altra definizione di “queer” su cui si basa l’apparato teorico di questo saggio, ovvero l’idea di queer come “la rete, aperta, di possibilità, spazi, sovrapposizioni, dissonanze e risonanze, lacune ed eccessi di significato, nel momento in cui gli elementi costitutivi del genere e della sessualità di una persona non sono fatti (o non possono essere fatti) significare monoliticamente” (Sedgwick).10 La figura o la persona letteraria di Saffo non soltanto destabilizza gerarchie e ruoli di genere, ma la poetica di Saffo destruttura anche i canoni del contesto latino in cui essa è ricevuta, comportando slittamenti e mescolanze di generi, convenzioni e stilemi letterari.11 Come vedremo, Saffo influenza fortemente il libellus di Catullo, rovesciando ruoli di genere, ma causando anche anomalie metriche, stilistiche e tematiche.12 Saffo è annoverata tra le scrittrici fittizie delle Heroides, che, oltre a sovvertire le gerarchie e gli stereotipi di genere,13 sono anche il “Kreuzung der Gattungen” (“incrocio di generi”) ovidiano per antonomasia: formalmente appartenenti al genere elegiaco, le Heroides presentano caratteristiche tipiche di altri generi letterari, specialmente la tragedia e la scrittura epistolare.14 Quando si guarda alla ricezione romana di Saffo, dunque, quelle che Judith Butler definirebbe come “questioni di genere” inteso come gender (“gender troubles”) si mescolano a questioni di un altro tipo di genere, quello letterario.15 In effetti, ci sono stati, e ci sono, svariati aspetti della figura, persona o poetica di Saffo che ne influenzano la ricezione nel contesto letterario romano (e non solo), in modo da renderla in qualche modo queer. In altre parole, quando interagisce con gli autori latini, Saffo genera diverse forme di ricezione non normativa, anticonformista e controcorrente, e ancora multidimensionale, fluida e indeterminata. In questo saggio ci si sofferma principalmente sul genere, inteso come gender, e in misura minore sul genere letterario.
Prima di passare all’analisi dei casi di studio, che vanno da Catullo a Marziale, è bene fare qualche precisazione sull’uso di alcune parole e forme che si farà (e che in parte si è già fatto) nel corso di questo saggio.16 “Queer”, che risulta intraducibile (“strambo” o “originale” non rendono giustizia alla mole di significati e implicazioni che il termine inglese include), è ormai un prestito piuttosto assimilato nella lingua italiana. A parte l’uso di “queer”, si cercheranno di evitare forestierismi, a meno che questi ultimi non siano necessari per ragioni distintive: è il caso dell’inglese “gender”, che è talvolta accostato, spesso tra parentesi, all’italiano “genere”, quando esso si rende necessario per distinguere tra genere come costrutto sociale associato al sesso e genere letterario. Rispetto ad altre lingue (su tutte l’inglese), la lingua italiana è una lingua dal genere marcato: nomi, aggettivi e altre parti del discorso presentano infatti segnali morfologici di genere piuttosto trasparenti, specialmente nel finale della parola. In questo articolo si farà il possibile per evitare il maschile sovraesteso (o non marcato), che si usa per rivolgersi a un gruppo di persone di cui non si conosce l’identità di genere, e che pertanto non è inclusivo. Nel contempo, nonostante molta parte delle precisazioni linguistiche di questo paragrafo tragga ispirazione dalle riflessioni della linguista italiana Vera Gheno, si sceglie di evitare lo schwa (ə), che da Gheno è invece supportato.17 Ogniqualvolta ci si riferirà a un gruppo di individui di cui non si conosce il genere si preferisce, pertanto, specificare sia il maschile sia il femminile, alternando le forme (per esempio, “le lettrici e i lettori di Catullo”; nel riferimento successivo, “i lettori e le lettrici di Catullo”); ove possibile, si ricorrerà allo slash (per esempio, “romano/a”). Sebbene tale scelta non risulti pienamente inclusiva, in quanto taglia fuori, ad esempio, le identità non binarie, essa sembra il giusto mezzo tra una tradizione di studi di antichistica in lingua italiana che non pare, a oggi, aver recepito l’uso dello schwa e il principale strumento ermeneutico di questo articolo, la teoria queer, che è fluida e non conforme. Lo schwa, inoltre, potrebbe causare più problemi di comprensione a parlanti non nativi/e.
Lasciati da parte questi caveat, la prospettiva queer dell’analisi che segue aiuterà a far luce su tre aspetti più generali: la ricezione di Saffo nella letteratura latina pone interrogativi e, nel contempo, apre nuove prospettive riguardo all’identità di genere e all’orientamento sessuale della poetessa di Lesbo; il modo in cui alcuni autori latini rileggono e rielaborano Saffo ha influenze significative sulla produzione letteraria successiva, a partire dall’epoca rinascimentale fino a quella contemporanea; le questioni legate alla sessualità di Saffo sono intrecciate a doppio filo con una ricezione queer della sua poetica. Tenendo a mente questi punti, nella sezione che segue ci si soffermerà su esempi (che non hanno la pretesa di essere esaustivi) di ricezioni queer di Saffo in Catullo, Virgilio, Orazio e Marziale, e, in misura minore, su come queste riletture hanno influenzato il modo di interpretare la figura di Saffo in epoche successive. Si passerà poi alla ricezione di Saffo nella poesia ovidiana, con particolare riferimento a Heroides 15, che, anche quando non fosse opera della penna di Ovidio, è senza dubbio ovidiana negli accenti, nello stile, nella forma e nel linguaggio ironico che caratterizzano la produzione del poeta di Sulmona.18
2. Saffo a Roma: Da Catullo a Marziale
Nell’introduzione del volume collettivo Roman Receptions of Sappho,19 Thea Thorsen sottolinea la tendenza a interpretare la presenza di Saffo nella letteratura latina in termini di distorsione, piuttosto che di ricezione.20 Mentre guardare alle riletture di Saffo come distorsioni o “invenzioni manipolatorie” (“manipulative inventions”) implica un’accezione negativa, investigare in modo più neutrale le forme di ricezione di Saffo in epoca romana consente di fare luce sulla sua poetica, specialmente per ciò che riguarda il linguaggio e il contenuto erotico.21 Nonostante l’ampio spettro dei contributi contenuti nel volume edito da Thorsen stessa e Stephen Harrison, la presenza di Saffo nella letteratura latina, con riferimento particolare alla sua dimensione queer, necessita di ulteriore approfondimento. In che misura Saffo può essere definita queer in alcune delle riletture dei poeti latini? In che modo Saffo destruttura gerarchie e ruoli di genere tradizionali? Perché Saffo appare ambigua e destabilizzante?
2.1. Catullo
Si comincia questa analisi da Catullo (ca. 84-54 a.C.), il poeta latino che forse in modo più evidente ha assimilato l’eredità poetica di Saffo. La vicinanza di Catullo a Saffo emerge, in primo luogo, dal soprannome attribuito alla donna che più frequentemente appare come l’oggetto dell’amore del poeta latino, ovvero Lesbia (storicamente, Clodia).22 Il nome Lesbia, che potrebbe al contempo avere un’accezione sia dispregiativa sia positiva,23 riecheggia la figura di Saffo, la poetessa di Lesbo, probabilmente il modello poetico principale per Catullo.24 Oltre infatti a trarre ispirazione dalla figura di Saffo, Catullo è influenzato dalla poetica del desiderio e dall’erotismo che caratterizza le liriche della poetessa greca, come appare evidente dal carme 51, che è una rielaborazione del frammento 31 (Voigt = Neri) di Saffo.
φαίνεταί µοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔµµεν᾽ ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι
ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-
σας ὐπακούει
καὶ γελαίσας ἰµέροεν, τό µ᾽ ἦ µὰν 5
καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς γὰρ <ἔς> σ᾽ἴδω βρόχε᾽ ὤς µε φώνη
-σ᾽οὐδὲν ἔτ᾽ εἴκει,
ἀλλὰ καµ µὲν γλῶσσα ἔαγε, λέπτον
δ᾽ αὔτικα χρῶι πῦρ ὐπαδεδρόµακεν, 10
ὀππάτεσσι δ᾽ οὐδὲν ὄρηµµ᾽, ἐπιρρόµ-
βεισι δ᾽ἄκουαι
κὰδ δ᾿ ἴδρως ψῦχρος χέεται, τρόµος δὲ
παῖσαν ἄγρει,˼ χλωροτέ˻ρα δὲ π˼οίας
ἔµµι, τεθ˻νάκην δ᾽ὀ˼λίγω ᾽πιδε˻ύης 15
φα˼ίνοµ᾽ ἔµ᾽ αὔτ[αι.
ἀλλὰ πὰν τόλµατον, ἐπεὶ †καὶ πένητα† (Saffo, Fr. 31)
Mi sembra pari agli dèi quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli e ridi di un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa. Ma tutto si può sopportare, poiché…25
Se il debito di Catullo nei confronti di Saffo è evidente, il poeta latino rilegge e conseguentemente rielabora significativamente il modello greco.
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnis 5
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
. . .
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte 10
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas 15
perdidit urbes. (Catull. 51)
Mi sembra simile a un dio, mi sembra, se possibile, che sia anche superiore agli dèi quello che, stando seduto di fronte a te, ti guarda e ascolta mentre ridi dolcemente, una cosa che – o misero me! – mi toglie ogni senso. Infatti, o Lesbia, una volta che ti ho vista, non mi rimane più … ma la mia lingua si intorpidisce, un fuoco sottile si diffonde nelle membra, le orecchie tintinnano di un suono proprio, i miei occhi sono coperti da una duplice notte. L’ozio, o Catullo, ti è molesto: tu sei in preda all’ozio e ti fai trasportare; l’ozio, in primo luogo, ha mandato in rovina re e città floride.26
Tra tutte le osservazioni fatte sul carme 51 ci si soffermerà soltanto su alcuni aspetti della rielaborazione catulliana della lirica di Saffo che sono utili ai fini dell’argomentazione di questo studio. Nel poema di Saffo, l’atmosfera creata dal discorso poetico è vaga e indeterminata: non vengono infatti specificati il tempo, lo spazio o il contesto sociale, né sono forniti dettagli sull’identità, l’età o il ruolo dei personaggi;27 inoltre, il genere della persona poetica viene segnalato soltanto alla fine dell’ultima stanza che ci è pervenuta (31.14-16), creando una sorta di effetto sorpresa: παῖσαν, “tutta”; χλωροτέ˻ρα “più verde (fem.)”; αὔτ[αι, “a me stessa (fem.)”.28 Considerato che anche i participi φωνεί-/σας (“che parli”; 3-4) e γελαίσας (“che ridi”; 5), rispettivamente nella prima e nella seconda stanza, sono femminili, si deduce che sia la persona poetica sia la destinataria delle allocuzioni presenti nel carme vadano identificate con il genere femminile.29 L’omoerotismo che traspare dal Fr. 31 è stato spesso negato o circoscritto a pratiche sociali accettabili, da ricondurre ai costumi del tiaso di cui Saffo sarebbe stata responsabile. Ciò si evince, per esempio, dalle riflessioni Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, e di Bruno Gentili e Carmine Catenacci, che a loro volta traggono spunto da una lunga tradizione culturale e scientifica che ha respinto, per secoli, l’idea che Saffo fosse eroticamente legata ad altre donne.30 Piuttosto di dilungarsi ulteriormente su questa (lunga) discussione, che non è centrale rispetto al focus del contributo, in questa sede ci si vuole soffermare su come Catullo riceve e rielabora la componente omoerotica del poema di Saffo.
A una prima lettura sembrerebbe che Catullo obliteri la componente omoerotica menzionando il proprio genere al v. 5 (cfr. misero) e sostituendo i riferimenti potenzialmente più problematici di Saffo alla propria persona poetica (nell’ultima stanza del Fr. 31 che ci è pervenuta per intero) con elementi linguistici e concettuali relativi al contesto sociale e letterario romano (cfr. otium; urbes, 13-16).31 Sulla base di questa evidenza è stato suggerito che Catullo riconduce Saffo a una dimensione (etero)normativa, appropriandosi della voce poetica della poetessa greca attraverso il reinserimento della stessa in un contesto patriarcale e romano.32 Da altre interpretazioni è emerso, al contrario, che il carme 51 sembra enucleare una certa consapevolezza della potenziale ambiguità che il Fr. 31 presenta, e pertanto rivelerebbe il tentativo di Catullo di specificare il proprio genere in opposizione alla persona poetica di Saffo, declinata al femminile.33 L’indeterminatezza di genere che caratterizza buona parte del frammento saffico esporrebbe Catullo a una postura più femminile e a una certa effemminatezza, che certamente lo allontanerebbe dagli ideali di virilità caratteristici della società romana. In effetti, questo rischio appare chiaramente espresso nell’ultima stanza, che sostituisce proprio quella che, in Saffo, è la sezione del poema dove il genere femminile della persona poetica viene specificato. Negli ultimi versi del carme, Catullo rimbrotta se stesso per essersi arreso all’otium, ovvero agli studi e alle attività letterarie, da contrapporsi al negotium, il coinvolgimento nelle attività politiche e sociali cittadine. A ben vedere, l’otium letterario potrebbe includere proprio la lettura della poesia di Saffo,34 come dimostrato dal fatto che il carme è imbevuto di riferimenti a Saffo, che includono, da un punto di vista formale, il metro in strofe saffiche. Nonostante Catullo ammonisca se stesso a non cedere all’ozio, la figura, la persona e la poetica di Saffo preservano un effetto destabilizzante e, per certi aspetti, de-mascolinizzante sul corpo di Catullo, che perde quella compostezza che sarebbe appropriata per un cittadino romano, come si evince dai vv. 6-12 (eripit sensus mihi; lingua sed torpet, tenuis sub artus / flamma demanat, sonitu suopte / tintinant aures, gemina teguntur / lumina nocte) e 14 (exultas; gestis). Il carme 51, pertanto, è spia di come la ricezione di Saffo possa dare luogo a una poetica ambigua, talvolta contradittoria, che nega e contemporaneamente amplifica l’indeterminatezza, il “non detto” e l’allusività delle liriche della poetessa di Lesbo.
Se nel carme 51 Catullo sembra riconoscere il potenziale sconvolgimento di forme e contenuti poetici che potrebbe derivare dalla sua ripresa del modello saffico, e quindi cerca di sfuggire al rischio di perdere la sua mascolinità, elementi di effemminatezza e omoerotismo non sono certamente assenti dalla poesia catulliana. Catullo, infatti, compose alcuni poemi amorosi per Giovenzio (per esempio, 24, 48, 99), un soprannome parlante che evoca l’idea di un giovane amante (cfr. iuvenis o iuventus) e pertanto richiama il contesto pederastico greco.35 Nel carme 63, invece, Catullo scrive di Attis, un giovane eunuco che diviene un seguace di Cibele: il poema si presenta estremamente ambiguo dal punto di vista della definizione del genere di Attis, che di fatto rimane indeterminato e fluido per buona parte del componimento.36 Motivi apertamente omoerotici si possono ravvisare anche in carmi catulliani che stabilizzano una connessione con Saffo, sia in termini di poetica sia di figura storica. Un esempio è il carme 11, che come il 51 è in strofe saffiche, un metro che è desunto dalle liriche di Saffo ed è quindi connesso alla sua produzione poetica.37 Nel carme, il poeta si rivolge ironicamente a due falsi amici, Furio e Aurelio, a cui viene richiesto di portare un messaggio alla puella di Catullo (15), Lesbia.38 In questo messaggio, Catullo esprime tutta la sua rabbia per i tradimenti e l’incostanza di Lesbia: pauca nuntiate meae puellae / non bona dicta (“annunciate alla mia ragazza queste poche ma crude parole”; 15-16; cfr. anche i vv. 17-20). Incisiva e toccante è l’immagine che chiude il poema, dove Catullo paragona il suo amore a un fiore reciso:
nec meum respectet, ut ante, amorem,
qui illius culpa cecidit velut prati
ultimi flos, praetereunte postquam
tactus aratrost. (Catull. 11.21-24)
Non si volti a guardare indietro, come prima, il mio amore, che cadde per colpa sua come un fiore al limitare del prato, dopo che è stato falciato dall’aratro che è passato.
Il motivo del fiore reciso rappresenta una metafora piuttosto tipica per indicare la deflorazione di giovani donne nella prima notte nuziale, in seguito al matrimonio, e si trova spesso impiegato negli epitalami (carmi nuziali).39 Nell’adoperare questa immagine per descrivere il proprio desiderio per Lesbia, Catullo attua un rovesciamento di ruoli di genere, in quanto rappresenta se stesso come la componente della coppia giovane e innocente, che è stata bistrattata e violata dall’amante crudele.40 Catullo non soltanto mostra un atteggiamento vittimistico, ma si trasforma nell’elemento passivo della relazione amorosa.41 Questo rovesciamento dei ruoli di genere ha luogo in un poema fortemente caratterizzato da elementi saffici, che contribuiscono alla destabilizzazione di categorie e stilemi di genere normativi: oltre al metro, si vedano anche i riferimenti floreali e il contesto nuziale, che sono motivi frequenti nei frammenti di Saffo.42 Mentre nel carme 51 Catullo evita di identificarsi, almeno apertamente, con la persona poetica femminile di Saffo, nel carme 11 il poeta allude a una rappresentazione dei rapporti di genere, e della sua stessa identità di genere, più fluida.
L’ambiguità che caratterizza le modalità di ricezione di Saffo in Catullo, specialmente per ciò che riguarda il genere e la sessualità, è ulteriormente esemplificata dal riferimento diretto a Saffo nel carme 35. In un contesto già permeato da una certa fluidità dal punto di vista delle identità di genere e sessuale, ovvero le celebrazioni della Magna Mater (o Cibele; cfr. quanto detto in precedenza su Catull. 63), Catullo menziona una Sapphica … / … musa (16-17):
ignosco tibi, Sapphica puella
musa doctior; est enim venuste
Magna Caecilio incohata Mater. (Catull. 35.16-18)
Ti perdono, giovane ragazza più istruita della saffica musa/musa Saffo/musa di Saffo, poiché Cecilio ha dato un inizio molto elegante alla Grande Madre.
Come per gli altri passi catulliani fin qui esaminati, anche questi versi danno luogo ad ambiguità, legate soprattutto alle tre interpretazioni, e traduzioni, alternative che possono essere date al sintagma Sapphica … musa.43 L’espressione potrebbe infatti alludere alla musa di Catullo (“saffica musa”) o alla musa della puella (“saffica musa”, ma anche “musa Saffo”), o ancora a Saffo come una musa, creatrice di poesia (“musa Saffo”), per cui abbiamo riscontro più evidente nell’Antologia Palatina, dove Saffo è effettivamente menzionata come la “decima musa”.44 Infine, Sapphica … musa potrebbe riferirsi alla “musa di Saffo” stessa, ovvero una delle sue amate, destinataria del suo desiderio e fonte della sua ispirazione, richiamandosi così al contesto omoerotico delle liriche della poetessa di Lesbo.45 Tutte queste interpretazioni possono essere vere, oltre che verosimili, proprio in virtù del fatto che Saffo – come figura storica, persona e forma poetica – ha la capacità di rendere identità di genere e identità letterarie particolarmente fluide nelle sue riletture e ricezioni catulliane. Dal punto di vista dei contenuti, dunque, gli echi saffici contribuiscono a creare slittamenti nelle identità e nei ruoli di genere all’interno di una produzione poetica, quella catulliana, che segna una rottura rispetto alle norme sociali, culturali e letterarie tradizionali.
In quanto poeta neoterico, Catullo trae ampiamente spunto dalla poesia ellenistica; nel contempo, egli è il primo autore latino (in base a ciò che sappiamo) a dar voce al proprio desiderio erotico in modo intimo e soggettivo.46 Erotismo e una certa soggettività sono elementi che Catullo condivide con Saffo. A sua volta, questa intimità necessita di un metro, uno stile e un contesto che siano sufficientemente duttili e malleabili per comunicare i sentimenti dell’“io” poetico, e che troveranno la loro codificazione qualche decennio dopo la morte di Catullo nella poesia elegiaca. In effetti, il libellus di Catullo rientra nelle caratteristiche del genere elegiaco senza essere formalmente elegia: si tratta di una raccolta fluida, polifonica, polimetrica e polimorfa, difficile da categorizzare. Questa natura non-conforme, queer, della raccolta catulliana è, almeno in parte, il risultato della poetica di Saffo, che influenza, fin dal principio e pertanto programmaticamente,47 il libellus catulliano nello stile, nei metri e nella varietà.
2.2. Virgilio
Mentre la poesia di Catullo è caratterizzata, talvolta anche in maniera evidente, da risonanze saffiche, meno palese è la presenza di echi saffici in Virgilio, il poeta epico di Roma par excellence. In effetti, già da tempo gli studiosi e le studiose hanno iniziato a (ri)leggere la produzione poetica virgiliana, a cominciare da quella epica dell’Eneide, come potenzialmente ambigua, oscura e inquieta, scoprendone prospettive devianti e alternative, definite come “voci altre” (“further voices”) a partire dallo studio di R. O. A. M. Lyne.48 Stephen Harrison ha dimostrato che tra queste voci si possono annoverare anche riferimenti allusivi a Saffo.49 In particolare, due passi virgiliani (Aen. 9.435-437 e 11.68-71), che secondo Harrison mostrerebbero elementi di intertestualità con taluni frammenti di Saffo,50 esemplificano come le risonanze saffiche, probabilmente attraverso la mediazione di Catullo, diano luogo a instabilità e fluidità nei ruoli e nelle identità di genere.
purpureus veluti cum flos succisus aratro
languescit moriens, lassove papavera collo
demisere caput pluvia cum forte gravantur. (Verg. Aen. 9.435-437)
Come un fiore purpureo si indebolisce e muore quando è stato tranciato dall’aratro o come i papaveri, con il gambo stanco, reclinano il capo quando capita che siano appesantiti dalla pioggia.51
Questi versi, che sono desunti dall’episodio della tragica morte dei compagni di battaglia Eurialo e Niso, richiamano, secondo Harrison,52 il Fr. 105c Neri (= 105b Voigt) di Saffo.
οἴαν τὰν ὐάκινθον ἐν ὤρεσι ποίμενες ἄνδρες
πόσσι καταστείβοισι, χάμαι δέ τε πόρφυρον ἄνθος (…) (Saffo, Fr. 105c)
Come il giacinto, che i pastori calpestano sui monti, e il fiore purpureo giace a terra …
Vista la somiglianza tra il passo virgiliano e Catull. 11.21-24,53 esaminato precedentemente, si potrebbe supporre che la presenza di Saffo nell’Eneide sia mediata per il tramite di Catullo: che sia questo il caso o meno, la potenziale mediazione catulliana moltiplica, invece di ridurre, la componente queer degli echi saffici in Virgilio. Se riletto attraverso la lente catulliana del carme 11, infatti, questo passo, che descrive attraverso una metafora floreale la morte di Eurialo davanti agli occhi di colui che appare come il suo inseparabile compagno di battaglia e avventure, Niso, presenta sfumature omoerotiche.54 Richiamandosi al contesto degli epitalami a cui si è già fatto cenno, questi versi non soltanto enfatizzano la giovinezza e innocenza di Eurialo, presentandolo come un giovane morto prima dell’età del matrimonio, ma implicano anche che costui ricopra il ruolo dell’ἐρώμενος (“amato”, generalmente il membro più giovane e passivo) nella (sottintesa) relazione amorosa con il suo ἐραστής (“amante”, generalmente il membro più maturo e attivo), ovvero Niso. Inoltre, la descrizione della morte di Eurialo è focalizzata attraverso gli occhi del compagno: proprio questa focalizzazione dal punto di vista di colui che rappresenterebbe l’ἐραστής rende queste allusioni a un contesto omoerotico, e queer, ancora più plausibili. Similmente, anche la descrizione del corpo di Pallante (Aen. 11.68-71) richiama il Fr. 105c di Saffo (oltre al Fr. 105a Voigt = Neri):55
qualem virgineo demessum pollice florem
seu mollis violae seu languentis hyacinthi,
cui neque fulgor adhuc nec dum sua forma recessit,
non iam mater alit tellus virisque ministrat. (Verg. Aen. 11.68-71)
Come il fiore colto da dita virginee, che esso sia di tenera viola o di languido giacinto,
quando ancora non gli è sfuggito lo splendore né la sua bellezza, la madre terra non lo nutre più e gli dà le forze.56
Come nel passo precedente, la focalizzazione suggerisce che questa descrizione relativa alla morte di Pallante potrebbe avere implicazioni omoerotiche. La scena infatti è probabilmente inquadrata dal punto di vista di Enea, che, secondo alcune interpretazioni, mostrerebbe degli atteggiamenti e dei sentimenti velatamente omoerotici nei confronti di Pallante, per il quale funge da tutore e padre sostitutivo, e, dopo la morte del giovane, si assume la responsabilità di organizzarne il rito funebre.57 Dato che Enea è il personaggio principale del poema, nonché il capostipite della stirpe che porterà alla fondazione di Roma e, contestualmente, della gens Iulia, le allusioni a una sottesa relazione omoerotica che questo passo implica sono particolarmente destabilizzanti e perturbanti, perché il ruolo del potenziale ἐραστής sarebbe ricoperto proprio da Enea.58 Così come la relazione tra Enea e Didone è bruscamente interrotta sul nascere dalla partenza dell’eroe e dal suicidio della regina cartaginese, il potenziale perturbante di una relazione omoerotica che coinvolga Enea è escluso dal poema per fare spazio alla relazione legittima tra Enea e Lavinia, che porterà alla fondazione di Roma, il τέλος (“il compimento”) di tutta la narrazione virgiliana.59 L’omoerotismo, qui di derivazione saffica e catulliana, rappresenta un elemento di devianza rispetto al corso degli eventi così per come essi sono pensati e pianificati all’interno dell’Eneide. Se le risonanze saffiche rendono queer la poesia di Catullo poiché contribuiscono a far apparire identità e orientamenti di genere più fluidi e polimorfi, ricezioni allusive e velate della poetica di Saffo (che esse abbiano luogo attraverso Catullo o meno) rappresentano un elemento queer nell’epos virgiliano, in quanto tali riletture esprimono un fattore non conforme e non normativo rispetto non soltanto alle relazioni sociali e ai ruoli di genere, ma anche alla struttura narrativa e alle finalità del poema.
2.3. Orazio
Tra i poeti augustei, oltre a Ovidio, che si tratterà separatamente nella prossima sezione (3), pare interessante osservare come la ricezione di Saffo interviene nella poesia di Orazio. Per cominciare, si veda il riferimento a una mascula Sappho nelle Epistulae:
ac ne me foliis ideo brevioribus ornes
quod timui mutare modos et carminis artem,
temperat Archilochi Musam pede mascula Sappho,
temperat Alcaeus, sed rebus et ordine dispar … (Hor. Epist. 1.19.26-29)
E perché tu non mi onori con una corona fatta di foglie più rade per il fatto che ho avuto timore di cambiare i metri e la forma della mia poesia, ecco che la virile Saffo rimodula la sua musa sul metro di Archiloco, Alceo rimodula la sua, anche se diversamente nei temi e nella struttura …60
Questo riferimento diretto di Orazio a una “Saffo virile” o “mascolina” non soltanto enuclea una certa tendenza alla mascolinizzazione di Saffo che sarà propria di una buona fetta della sua ricezione fin dal mondo antico e poi nelle epoche successive,61 ma esprime anche una caratteristica tipica degli esempi che abbiamo visto, ovvero la capacità di Saffo di complicare e destabilizzare le categorie di genere e di significato, così come gli stilemi e i canoni letterari. L’espressione mascula Sappho crea ambiguità interpretative, in quanto il riferimento a una “Saffo virile” può essere letto sia come derogatorio sia come una forma, certamente distorta, di apprezzamento.62 Sull’interpretazione di mascula Sappho ci si è interrogati già nel mondo antico, per esempio all’interno della produzione grammaticale ed erudita, come dimostra un passo del commento di Porfirione, attivo nel III secolo d.C.:
“mascula” autem “Saffo”, vel quia in poetico studio est <incluta>, in quo saepius viri, vel quia tribas diffamatur fuisse. (Porfirione ad Hor. Epist. 1.19.28)
“Saffo virile”, o perché ella è famosa per la sua produzione poetica, nella quale gli uomini più spesso si cimentano, o perché si dice malignamente che lei fosse una tribade.63
Porfirione offre due alternative diverse per lo scioglimento dell’espressione mascula Saffo, che potremmo definire come lettura positiva e lettura negativa. Saffo è in qualche modo mascolinizzata per la sua poesia, ed è pertanto “virile” perché eccelle in qualcosa in cui normalmente gli uomini sono più versati; oppure, Saffo è “virile” a causa della sua reputazione di “tribade”, una parola dall’accezione fortemente dispregiativa che si potrebbe tradurre in italiano moderno come “lesbica”. In effetti, tale traduzione sarebbe una banalizzazione, in quanto il termine tribas indicava una donna che assumeva un ruolo dominante e attivo (sia su uomini o altre donne) nei rapporti sessuali, richiamandosi quindi a un comportamento trasgressivo e predatorio.64 Inoltre, tribas poteva designare, di solito in modo dispregiativo, una donna dai tratti mascolini, come nel caso della tribas di Marziale (7.67, 7.70), descritta come una donna dagli organi sessuali sproporzionati (con particolare riferimento al clitoride).65 Questa idea di una Saffo mascolina, che presumibilmente trae spunto da un contesto comico ellenistico (di cui però poco ci è pervenuto) e dalle biografie tardoantiche,66 darà luogo a una tendenza molto diffusa nella ricezione di Saffo a partire dai primi secoli della nostra era, passando per il periodo rinascimentale (di cui vedremo un esempio più avanti) e fino all’epoca moderna e contemporanea: ciò appare evidente dalla famosa litografia di Daumier (La Mort de Sappho, 1843, facilmente reperibile online), in cui gli organi genitali di Saffo appaiono particolarmente pronunciati.67 Se riferirsi a Saffo come “tribade” non è certamente un complimento, la “virilità” attribuita a Saffo in relazione alle sue abilità poetiche è una forma di apprezzamento, ma solo fino a un certo punto, poiché esalta Saffo in quanto poetessa ma la denigra in quanto donna. Così, anche la prima spiegazione fornita da Porfirione si iscrive pienamente all’interno di una cultura patriarcale, che tende a svalutare la statura intellettuale e il ruolo sociale delle donne, e che pertanto vede Saffo come un’eccezione alla norma. L’ambiguità dell’oraziano mascula Sappho dà quindi la misura della fluidità e variabilità (ermeneutica e di genere, in questo caso) a cui la presenza di Saffo può dar luogo nelle sue ricezioni all’interno del contesto letterario latino.
Oltre a determinare ambiguità interpretative e di genere (gender), le risonanze di Saffo nella poesia oraziana provocano una discontinuità anche dal punto di vista dei contenuti e del genere letterario. Come dimostrato da Richard Hunter, i versi iniziali dell’Ode 4.1 di Orazio riecheggiano, anche se con un rovesciamento dei termini, il Fr. 1 di Saffo (Voigt = Neri).68 L’ode oraziana si apre con una preghiera a Venere, a cui è richiesto di allontanarsi dal poeta (vv. 1-8), mentre, nel Fr. 1, Saffo invoca Afrodite supplicandola di approssimarsi a lei (Fr. 1.1-13).69 Dal momento che Orazio alla fine dell’ode si rivolge con accenti appassionati al giovane Ligurino, personaggio che appare anche nell’Ode 4.10, il riferimento iniziale a Venere, insieme all’allusione all’Afrodite di Saffo, potrebbe rappresentare un modo per introdurre il desiderio (omo)erotico del poeta.
sed cur heu, Ligurine, cur
manat rara meas lacrima per genas?
cur facunda parum decoro 35
inter verba cadit lingua silentio?
nocturnis ego somniis
iam captum teneo, iam volucrem sequor
te per gramina Martii
campi, te per aquas, dure, volubilis. (Hor. Carm. 4.1.33-40) 40
Ma perché allora, Ligurino, perché una lacrima talvolta scorre sulle mie guance? Perché la mia lingua eloquente cade in un poco decoroso silenzio nel mezzo delle parole? Nei miei sogni notturni già ti tengo prigioniero, ti inseguo nella tua corsa veloce per l’erba del Campo Marzio, attraverso le acque che scorrono via, o crudele.
I risvolti omoerotici del componimento suggeriscono che le allusioni e i motivi saffici che caratterizzano l’inizio del carme, così come i vv. 35-36 (cfr. Saffo, Fr. 31.7-9), sono ricollegabili a un contesto queer, espresso da un desiderio amoroso e contenuti in qualche modo devianti rispetto alla norma. Inoltre, la figura di Saffo è più apertamente menzionata nell’Ode 2.13, dove compare negli inferi in compagnia di Alceo:
quam paene furvae regna Proserpinae
et iudicantem vidimus Aeacum
sedesque discriptas piorum et
Aeoliis fidibus querentem
Sappho puellis de popularibus, 25
et te sonantem plenius aureo,
Alcaee, plectro dura navis,
dura fugae mala, dura belli! (Hor. Carm. 2.13.21-28)
Per poco non vidi i regni oscuri di Proserpina ed Èaco che giudica, e le dimore separate dei buoni e Saffo, che con la lira dell’Eolia si duole delle giovani ragazze della sua terra, e te, Alceo, che canti con il plettro d’oro, più pienamente, i travagli del mare, i travagli dell’esilio e i travagli della guerra.
In questo passo, oltre a reiterare la connessione tra Saffo e Alceo, già diffusa nella tradizione e nella stessa produzione poetica oraziana (cfr. supra, Epist. 1.19.26-29), Orazio si riferisce a Saffo come colei che si duole (o si lamenta) per le giovani di Lesbo.70 Questo riferimento è molto più di un’allusione alle relazioni omoerotiche di Saffo, in quanto il participio querentem (da queror) è un verbo tipicamente impiegato dai poeti elegiaci, specialmente per esprimere il proprio dolore e lamento per gli atteggiamenti scostanti della puella.71 Pertanto, il participio non soltanto sottolinea il ruolo di Saffo come precorritrice e modello dei poeti elegiaci latini, a cominciare dal pre-elegiaco Catullo,72 ma querentem suggerisce anche che Saffo si duole del suo desiderio per le giovani di Lesbo proprio come il poeta elegiaco è solito lamentarsi per il suo amore non corrisposto dalla puella.
A questa menzione diretta di Saffo e del suo omoerotismo fa da contraltare il riferimento a Saffo del carme 4.9, dove Orazio indica Saffo come la puella dell’Eolia subito prima di chiamare in causa Elena e Paride, la cui relazione è archetipo di un erotismo più normativo: spirat adhuc amor / vivuntque commissi colores / Aeoliae fidibus puellae (“e quell’amore sospira ancora, ancora vivono quelle passioni che sono state cantate dalle corde della lira della giovane di Lesbo”; Hor. Carm. 4.9.10-12).73 Inoltre, poiché Elena è menzionata nelle liriche di Saffo, più notoriamente nel Fr. 16 (oltre che nel Fr. 23), la giustapposizione di Saffo ed Elena potrebbe essere interpretata come un riferimento non soltanto alla figura o alla persona di Saffo, ma anche alla sua produzione poetica.74 I passi di Orazio esaminati illustrano alcuni altri aspetti della queerness che caratterizza le ricezioni latine di Saffo: l’espressione mascula Sappho è emblema di un’identità di genere fluida, riletta, reinterpretata e manipolata nelle epoche successive; il lamento di Saffo nell’Ode 2.13, unito alla presenza di motivi saffici in contesti omoerotici (4.1) e a riferimenti a Saffo in contesti più normativi (4.9), contribuisce alla creazione di ambiguità per ciò che riguarda gli orientamenti e le identità sessuali.
2.4. Marziale
Riferimenti e allusioni alla sessualità e all’(omo)erotismo di Saffo si riscontrano anche nella poesia di Marziale, che menziona Saffo (7.69), amatrix per antonomasia, come termine di paragone rispetto alla castità e all’erudizione della giovane Teofila, a cui l’epigramma è dedicato: carmina fingentem Sappho laudabat amatrix: / castior haec et non doctior illa fuit (“Saffo, la corteggiatrice, elogiava colei che componeva poesie: questa giovane [Teofila] è più pudica, mentre l’altra [Saffo] non è più colta”; 7.69.9-10).75 Nell’epigramma 10.35, invece, Marziale loda la poetessa Sulpicia: hac condiscipula vel hac magistra / esses doctior et pudica, Sappho: / sed tecum pariter simulque visam / durus Sulpiciam Phaon amaret (“Se costei [Sulpicia] fosse stata la tua compagna di studi o la tua maestra, saresti più colta e più pudica, Saffo: se, però, il crudele Faone avesse visto voi due insieme nello stesso tempo, allora egli si sarebbe innamorato di Sulpicia”; Mart. 10.35.15-18).76 Da un lato, Marziale enfatizza la licenziosità di Saffo, presumibilmente riprendendo una tradizione che stava via via sempre più consolidandosi;77 dall’altro lato, la sessualità di Saffo viene ricondotta a un contesto normativo, in quanto l’epigramma 10.35 fa riferimento alla presunta relazione della poetessa di Lesbo con Faone (di cui si dirà meglio in seguito, nelle pagine relative a Heroides 15). Per quanto i riferimenti di Marziale vadano intesi come volutamente canzonatori e irrispettosi, in linea con il contenuto satirico della sua raccolta, i due epigrammi potrebbero riflettere e accentuare tendenze diffuse nelle reinterpretazioni e riletture di Saffo a Roma. Inoltre, da un punto di vista strutturale, la menzione di Saffo in 7.69 si trova quasi incorniciata tra due componimenti, Mart. 7.67 e 7.70, che hanno per oggetto la tribade Fileni, rappresentata come una donna dai tratti iper-mascolini che pratica il cunnilingus.78 Sebbene la complessità della tradizione testuale che caratterizza il corpus di Marziale ammonisca a non dare per assodata una connessione tra Saffo e Fileni sulla base di evidenze strutturali,79 la vicinanza tra gli epigrammi è fondamentale per capire alcuni aspetti della ricezione della Saffo di Marziale, e di Saffo in generale, in epoche successive. È il caso del commento a Marziale di Domizio Calderini, dove l’erudito umanista stigmatizza il contenuto apparentemente osceno e omoerotico di Mart. 7.67 proprio chiamando in causa Saffo.80 In riferimento alla tribas Philaenis (ad Mart. 7.67.1), Calderini afferma:
Latino verbo “fricatrices” possunt appellari tribades. τρίβω signicat “frico” Graeco. Usus est Martialis praeter hunc nullus auctor Porphirione excepto, qui in verba illa Horatii: “Et mascula Sappho”. Sappho, inquit, dicta esse mascula, vel quod dedit operam poeticæ (quod est viri et maris) vel quod tribas fuit.
(D. Calderini, Commentarii in M. Valerium Martialem, Firenze 1474, ad Mart. 7.67.1)
Le tribadi possono anche essere indicate con la parola latina “fricatrici”. Τρίβω significa “sfregare” in greco. Marziale lo ha usato, ma oltre lui nessun altro, eccetto Porfirione, su queste parole di Orazio: “E la virile Saffo”. Costui dice che Saffo è “virile” o perché ella si dedicò alla poesia (che è un’attività tipica dell’uomo e del sesso maschile) o perché fu una tribade.81
Per quanto la poetessa di Lesbo non sia esplicitamente menzionata da Marziale in 7.67, Calderini riconduce Saffo alla tribas Fileni, seguendo il già menzionato scholion di Porfirione all’espressione oraziana mascula Sappho. Il commento di Calderini a Mart. 7.67.1 esemplifica come la componente ambigua e queer delle ricezioni di Saffo nelle fonti latine possa essere ripresa ed amplificata nelle epoche successive, spesso con intenti denigratori, talvolta in modo più neutro, altre volte (specialmente se si tratta di un riferimento alla statura poetica di Saffo) con spirito di emulazione.
***
In questa sezione, si è visto come le ricezioni di Saffo influenzino i contenuti e la forma dei carmi di Catullo, contribuendo alla creazione di identità di genere e forme poetiche queer. Sono state esaminate, poi, le possibili risonanze saffiche nell’Eneide di Virgilio, che catalizzano allusioni a relazioni omoerotiche: oltre a destabilizzare i contenuti del poema, la penetrazione di elementi saffici mina la struttura dell’Eneide, rendendola più fluida attraverso l’intrusione di caratteristiche che appartengono alla poesia lirica ed erotica (come quella di Saffo e Catullo). Inoltre, il riferimento oraziano a una Saffo che si duole per le giovani di Lesbo (Carm. 2.13.24-25) richiama un contesto erotico e contribuisce alla rappresentazione di Saffo come una poetessa elegiaca attraverso la giustapposizione tra il verbo querentem e il contesto lirico ed eolico (cfr. Aeoliis fidibus; Carm. 2.13.25).82 In altre parole, Saffo è rappresentata sia come poetessa lirica greca sia come anticipatrice e modello della poesia elegiaca latina. In questo passo oraziano, la componente queer della sessualità di Saffo, che viene enfatizzata dal riferimento al suo desiderio amoroso per le giovani di Lesbo, si accompagna pertanto alla permeabilità dei generi e canoni letterari. Come vedremo nella prossima sezione, la queerness di Saffo legata sia al genere (gender) e genere letterario caratterizza anche le sue ricezioni nella poesia ovidiana.
3. Rileggere e riscrivere Saffo: Ovidio ed Heroides 15
Il momento più notevole della ricezione di Saffo nella produzione poetica ovidiana è senz’altro Heroides 15, che è immaginata come un’epistola elegiaca scritta da Saffo al suo amato Faone. La storia d’amore tra Saffo e Faone è, con ogni probabilità, un’invenzione originatasi nel corso della tradizione letteraria e biografica relativa a Saffo, a partire dalle fonti ellenistiche, specialmente attinenti al contesto comico.83 Non è necessario, in questa sede, riprendere in modo dettagliato i dibattiti relativi all’autenticità e autorialità di Heroides 15, in quanto non pertinenti allo scopo di questo studio.84 Come si è detto in precedenza, che Ovidio sia l’autore di Heroides 15 o che non lo sia, l’epistola è certamente ovidiana nei motivi, nello stile e nel linguaggio. Oltre a Heroides 15, riferimenti diretti a Saffo compaiono in un buon numero di passi delle opere elegiache di Ovidio, così come in quelle dell’esilio. Queste occorrenze sono state ampiamente esaminate da Jennifer Ingleheart, la quale ha dimostrato che la presenza di Saffo nella poesia ovidiana contribuisce alla costruzione di un discorso ironico, ambiguo e metapoetico, che è caratteristica intrinseca della poesia di Ovidio.85 Tra i riferimenti identificati da Ingleheart (Am. 2.18.26 e 34; Ars am. 3.331; Rem. am. 761; Tr. 2.365-366 e 3.7.20) ci si soffermerà su quelli che paiono generare maggiore ambiguità e instabilità dal punto di vista degli stilemi di genere e dei canoni letterari: Ars am. 3.329-334 e Tr. 2.365-3.7.20.86
sit tibi Callimachi, sit Coi nota poetae,
sit quoque vinosi Teïa Musa senis; 330
nota sit et Sappho (quid enim lascivius illa?),
cuive pater vafri luditur arte Getae.
Et teneri possis carmen legisse Properti,
sive aliquid Galli, sive, Tibulle, tuum. (Ov. Ars am. 3.329-334)
Ti sia nota la musa di Callimaco e quella del poeta di Cos, così come la Musa Teiana del vecchio ubriacone; ti sia nota anche Saffo (cosa, infatti, è più licenzioso di lei?) o quello il cui padre viene ingannato dall’arte del furbo Geta. E che tu possa aver letto la poesia del delicato Properzio, così come qualcosa di Gallo e qualcosa di tuo, Tibullo.87
Dopo aver citato la “musa” di Callimaco, Filita e Anacreonte, Ovidio si riferisce direttamente a Saffo, prima di continuare la lista con Menandro e i poeti elegiaci Properzio, Gallo e Tibullo (333-334).88 Questa menzione diretta di Saffo, invece che di una musa (di Saffo), implica che Ovidio potrebbe alludere al rapporto stretto tra Saffo e le muse, rifacendosi alla tradizione epigrammatica ed ellenistica che dipingeva Saffo come la “decima musa”.89 Inoltre, la parentetica quid enim lascivius illa (v. 331) fa sì che Saffo spicchi rispetto al resto dei poeti menzionati: in primo luogo, perché Saffo è l’unica poetessa (donna; cfr. illa); in secondo luogo, perché l’aggettivo lascivus (-a, -um) non soltanto ha un significato ambiguo dal punto di vista morale ma ha anche un valore programmatico nella poesia ovidiana, come si vedrà. Come per il riferimento oraziano a una mascula Sappho, poi commentato da Porfirione (cfr. 2.3), lascivius tocca due livelli: il primo è relativo alla poetica, il secondo è relativo alla figura storica di Saffo.90
Nel primo caso, lascivius può essere interpretato come un riferimento al carattere delle liriche di Saffo, amoroso ed erotico, specialmente se si guarda alle osservazioni di Quintiliano sulla poesia dello stesso Ovidio: Elegia quoque Graecos provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus. sunt qui Propertium malint. Ovidius utroque lascivior (“Noi sfidiamo i Greci anche nell’elegia, di cui autore di gran lunga rifinito ed elegante mi sembra Tibullo. Ci sono coloro che preferiscono Properzio. Ovidio è più licenzioso di entrambi”; Quint. Inst. 10.1.93); lascivus quidem in herois quoque Ovidius et nimium amator ingenii sui … (“Ovidio, certo, è licenzioso anche nei suoi poemi epici e amante in modo eccessivo della sua stessa dottrina”; Quint. Inst. 10.1.88).91 Se riletto attraverso il giudizio di Quintiliano, l’accostamento tra Saffo e l’aggettivo lascivius suggerisce che Ovidio stia assimilando la produzione poetica di Saffo con la sua stessa poesia, specialmente quella elegiaca.92 Inoltre, visto il contesto specifico in cui il riferimento a Saffo si trova, ovvero il terzo libro dell’Ars amatoria, rivolto alle giovani donne, sembra possibile che Ovidio menzioni la licenziosità di una donna come Saffo per esortare altre donne, possibilmente le sue lettrici, a ottenere le attenzioni degli uomini.93
Per ciò che riguarda il secondo livello di significato, lascivius va ricondotto alla fama di Saffo come donna licenziosa, che deriva non tanto dai frammenti delle liriche che ci sono pervenuti, in quanto essi non presentano riferimenti esplicitamente sessuali, ma alle testimonianze successive, specialmente legate alla biografia della poetessa di Lesbo.94 In effetti, questa associazione tra Saffo e atti dal contenuto esplicitamente sessuale si manifesta anche nell’ovidiana Heroides 15, dove Saffo, scrittrice fittizia della lettera, fa riferimento all’eccitazione sessuale provocatale da un sogno (Her. 15.125-134).95 L’accostamento tra lascivius e Saffo, pertanto, non è soltanto programmatico all’interno della poetica ovidiana dell’Ars amatoria, ma genera una sovrapposizione tra Saffo come poetessa e persona, e Saffo come figura storica, più o meno costruita nelle epoche successive. In questo caso, dunque, l’effetto destabilizzante di Saffo consiste nel rendere fluidi i margini tra poesia e vita, tra letteratura e storia, così come nel generare ambiguità interpretative.
Il secondo riferimento a Saffo si trova in quello che è forse il libro più autobiografico dei Tristia, ovvero il secondo. Ai vv. 361-362, Ovidio lamenta il fatto che pure altri/e poeti e poetesse si fossero dedicati/e alla poesia a tema erotico, ma a lui soltanto era toccato di essere punito con l’esilio: denique composui teneros non solus amores: / composito poenas solus amore dedi (“Inoltre, non fui il solo a scrivere poesie sugli amori delicati, ma fui l’unico a pagare un prezzo per aver scritto d’amore”; Tr. 2.361-362).96 Tra queste/i poetesse e poeti, Ovidio menziona Saffo, come segue: Lesbia quid docuit Sappho nisi amare puellas? (v. 365). Maestro nell’uso di un linguaggio ironico e allusivo, Ovidio struttura questa interrogativa diretta in modo tale che risulti impossibile fornire una traduzione univoca di questo verso.97 Due traduzioni sono, infatti, possibili da un punto di vista grammaticale: “Cosa ha insegnato Saffo alle giovani donne, se non come amare?” / “Cosa ha insegnato Saffo, se non come amare le giovani donne?”98 La prima interpretazione, che dipinge Saffo come una sorta di Doppelgängerin del praeceptor amoris, ovvero la persona poetica dell’Ars amatoria, si iscrive all’interno degli scopi apologetici di Tristia 2, dove Ovidio cerca di giustificarsi per il carmen (oltre che per l’error) che ha comportato il suo esilio, da identificarsi proprio con l’Ars amatoria.99 A ben vedere, infatti, “insegnare alle giovani donne … come amare” è proprio la finalità del terzo libro dell’Ars ovidiana: cfr., per esempio, dum facit ingenium, petite hinc praecepta, puellae, / quas pudor et leges et sua iura sinunt (“finché [ella] mi dà ispirazione, cercate da qui i precetti, o giovani donne, a cui ciò è consentito dal pudore, le leggi e i vostri stessi diritti”; Ars am. 3.57-58; cfr. anche 3.1-2; passim).100 Se questa prima traduzione ha contribuito a supportare la tesi secondo cui Saffo sarebbe stata una “maestra di scuola” (“schoolmistress”), ovvero colei che gestiva il percorso educativo delle giovani nel tiaso in vista del matrimonio,101 la seconda interpretazione fa riferimento in modo più esplicito all’attrazione di Saffo nei confronti delle donne. Questo verso dei Tristia (2.365) non è semplicemente la seconda attestazione “delle relazioni omosessuali di Saffo” (dopo i già citati vv. 24-25 di Hor. Carm. 2.13), come notato da Peter Knox,102 ma esemplifica magistralmente il carattere ambiguo e queer delle ricezioni di Saffo nella letteratura latina. Il verso dei Tristia costituisce la base per due letture opposte e, nel contempo, complementari della figura storica di Saffo, che ne caratterizzeranno la ricezione nel corso delle epoche storiche: Saffo come “maestra di scuola” e/o Saffo come un’etera dalla morale discutibile, e come una lesbica.103
L’ambiguità ermeneutica e la natura queer della sessualità di Saffo che traspaiono dai riferimenti diretti nell’Ars amatoria e nei Tristia si riscontrano anche in Heroides 15, che costituisce l’ultimo caso di studio di questo saggio. L’analisi che segue non si propone di investigare in modo esaustivo i contenuti, le finalità e le caratteristiche formali dell’epistola ovidiana, che è stata oggetto di un numero ampio di studi, ma di isolare i passi di Heroides 15 che esemplificano aspetti particolarmente ambigui e devianti dal punto di vista delle identità sessuali, delle dinamiche di genere e degli stilemi letterari. Per cominciare, la ricezione della figura, persona e poetica di Saffo in Heroides 15 va interpretata e ricontestualizzata in relazione alla poetica e alle caratteristiche delle Heroides. Scritte in distici elegiaci, le Heroides sono immaginate come lettere composte da personaggi femminili della mitologia (a cui si aggiunge proprio Saffo, cfr. infra) ai propri amati.104 Le Heroides si presentano come una raccolta peculiare nel contesto letterario latino, in quanto esse combinano la voce maschile del poeta (Ovidio) e la voce femminile delle personae fittizie, ovvero le eroine. Questa combinazione produce risultati contraddittori: gli accenti ironici delle epistole fanno sì che le eroine oscillino tra atteggiamenti di autocommiserazione e legittimazione del proprio agire, passività e iniziativa, sottomissione e dissenso.105 In molti casi, Ovidio sembra trarre vantaggio dal potenziale sovversivo e deviante di queste prospettive in certa misura femminili per ridefinire rapporti familiari, istanze sociali e ruoli di genere.106 Il fatto che l’autrice fittizia di Heroides 15 sia una figura storica, ovvero Saffo, invece di un personaggio femminile della mitologia (come Penelope in Her. 1, Briseide in Her. 3, Medea in Her. 12, etc.), rende l’epistola peculiare all’interno della raccolta. Tuttavia, come si è accennato, le ricezioni ellenistiche di Saffo, specialmente in ambito comico e nella tradizione biografica, dovevano aver contribuito a creare intorno a Saffo quell’alone di figura leggendaria che (nel bene e nel male) la poetessa di Lesbo ha conservato nel corso della storia. Inoltre, Heroides 15 presenta rovesciamenti dei ruoli di genere tradizionali e una messa in discussione delle norme sociali e dei canoni letterari che sono tipici delle altre epistole ovidiane. Dunque, la Saffo di Heroides 15 si trova in un contesto che è, già in partenza, multiforme, non convenzionale, polifonico, e pertanto queer nel senso che si è dato al termine nella sezione introduttiva di questo saggio.
Heroides 15 si configura come una lettera scritta da Saffo al suo amato Faone, figura presumibilmente scaturita dalle ricezioni della figura di Saffo nella Commedia Nuova.107 L’epistola combina l’ambiguità intrinseca alle ricezioni di Saffo nel contesto letterario romano con la complessità ermeneutica e formale delle Heroides, amplificando la natura queer dei ruoli di genere e delle convenzioni letterarie all’interno della raccolta. Negli ultimi due decenni, vari studi si sono soffermati su aspetti legati agli sconfinamenti di genere e canoni letterari in Heroides 15,108 così come sul discorso metapoetico della Saffo ovidiana, mettendo in risalto l’identificazione tra l’autrice fittizia dell’epistola e la persona poetica di Ovidio.109 In questa sede, ci si limiterà a fornire uno degli esempi più lampanti dell’eclettismo dell’epistola in termini di stilemi letterari, che denota una reinterpretazione fluida, queer, delle categorie linguistiche, stilistiche e formali:
forsitan et quare mea sint alterna requiras 5
carmina, cum lyricis sim magis apta modis.
flendus amor meus est – elegiae flebile carmen;
non facit ad lacrimas barbitos ulla meas. (Ov. Her. 15.5-8)
E forse mi chiedi perché la mia poesia sia in distici elegiaci, mentre io dovrei essere più adatta ai metri lirici. Il mio amore richiede di essere compianto – l’elegia è la poesia del lamento; nessuna cetra è adeguata alle mie lacrime.110
I vv. 5-6 rappresentano la metamorfosi di Saffo da poetessa lirica ad autrice elegiaca (cfr. alterna … carmina),111 ma il cambio di metro, che è giustificato dal tono “di lamento” del poema (v. 7),112 non è la ragione principale per cui il lettore o la lettrice dovrebbe sorprendersi nel leggere l’epistola: Saffo non sta semplicemente scrivendo in distici elegiaci ma in latino.113 La Saffo ovidiana, pertanto, mescola diversi livelli di comunicazione: linguistico (latino vs. greco), di genere letterario (elegia vs. poesia lirica) e formale (poema elegiaco vs. lettera d’amore). Attraverso il rimescolamento di varie categorie e la rottura di canoni esistenti, Saffo – come scrittrice fittizia ovidiana – costruisce un linguaggio poetico unico, eterogeneo e multiforme, che non può essere ascritto a un’identità poetica specifica,114 creando così una forma di poesia oscillante, destabilizzante, queer.
In Heroides 15, agli effetti queer che la ricezione di Saffo produce dal punto di vista formale si accompagna una fluidità nei rapporti di genere e per ciò che riguarda la sessualità. Si notino, in particolare, i vv. 89-98, dove Faone è descritto come un bambino o un giovinetto, mentre Saffo si presenta come una donna più matura, una figura quasi materna, sottolineando allo stesso tempo il proprio status di poetessa e di scrittrice ovidiana.
hunc si conspiciat quae conspicit omnia Phoebe,
iussus erit somnos continuare Phaon; 90
hunc Venus in caelum curru vexisset eburno,
sed videt et Marti posse placere suo.
o nec adhuc iuvenis, nec iam puer, utilis aetas,
o decus atque aevi gloria magna tui,
huc ades inque sinus, formose, relabere nostros! 95
non ut ames oro, verum ut amere sinas.
scribimus, et lacrimis oculi rorantur obortis;
adspice, quam sit in hoc multa litura loco! (Ov. Her. 15.89-98)
Se Febe, che tutto vede, lo vedesse, sarebbe Faone colui al quale costei ordinerebbe di continuare a dormire; sarebbe quest’ultimo che Venere avrebbe portato in cielo nel suo carro d’avorio – ma lei sa che egli rischierebbe di piacere anche al suo Marte. Tu, che non sei ancora un uomo, ma non sei più un ragazzino – la tua età è adatta: o grazia e grande gloria della tua generazione, vieni qui, tu che sei così bello, e lasciati andare nel mio abbraccio! Io non chiedo che tu mi ami, ma che ti lasci amare. Scrivo, mentre i miei occhi che sono bagnati dalle lacrime che scorrono giù come rugiada: guarda quanto grande è la macchia in questo passo (della mia lettera).
Attraverso riferimenti a personaggi mitologici, Saffo sottolinea la bellezza quasi verginale di Faone, collocandola all’interno di un contesto di relazioni sia omoerotiche sia più normative. Dopo aver menzionato il rapimento di Cefalo da parte di Aurora (vv. 87-88), Saffo fa riferimento al mito di Endimione, un avvenente giovane di cui la Luna/Selene si era invaghita al punto da andare a fargli visita ogni notte per contemplarlo durante il sonno eterno in cui era caduto.115 Il v. 91 potrebbe, poi, contenere un’allusione alla storia di Venere e Adone, un altro giovane nel fiore degli anni di cui la dea dell’amore si era innamorata;116 nel verso successivo, invece, dopo aver fatto riferimento alla relazione tra Venere e Marte, Saffo osserva che anche quest’ultimo potrebbe subire l’attrazione (omo)erotica di Faone.117 La rappresentazione di Faone come un avvenente efebo viene ulteriormente accentuata nei versi successivi, dove costui è definito come “non ancora un uomo, ma non più un ragazzino”, in un’età che favorisce il fiorire della bellezza fisica, rendendolo un prototipo di grazia e avvenenza (vv. 93-94).118 I riferimenti mitologici e i commenti diretti della persona poetica riguardo alla bellezza efebica di Faone contribuiscono alla rappresentazione del giovane come un ἐρώμενος, ovvero il membro più giovane di una relazione omoerotica nel mondo greco, di solito caratterizzato da una bellezza gentile, delicata, quasi femminile.119 Dipingendo Faone come un ἐρώμενος, Saffo assume il ruolo che sarebbe normalmente rivestito da un uomo maturo all’interno di un ipotetico rapporto omoerotico (ἐραστής): in questo modo, non soltanto la poetessa rafforza il contesto omoerotico a cui aveva già fatto riferimento in precedenza (cfr. v. 92), ma richiama alla mente le sue stesse relazioni omoerotiche, già ricordate nella parte iniziale della lettera (vv. 15-20), poi menzionate nuovamente nella parte finale (199-202),120 come vedremo.
Insistendo sul motivo del giovane ἐρώμενος, Saffo chiede a Faone di abbandonarsi al suo abbraccio (inque sinus, formose, relabere nostros, 95), come forse un puer – piuttosto che un giovane – romano farebbe con sua madre.121 In effetti, Saffo farà riferimento al suo ruolo materno nei confronti di Faone in altri due passi dell’epistola: prima, quando paragona il suo lamento a quello di una madre che ha perso un/a figlio/a (vv. 113-116); poi, quando accosta il suo canto a quello accorato dell’usignolo-Procne per Iti (v. 155).122 Alludendo quindi a una relazione semi-incestuosa, seppure metaforicamente, Saffo annulla le gerarchie familiari, mescolando i rapporti parentali con quelli erotici. Infine, la rappresentazione di Faone come un giovinetto avvenente evoca descrizioni tradizionali delle puellae elegiache, che sono usualmente dipinte come delicate e aggraziate. Pertanto, assimilando Faone a un ἐρώμενος, un giovinetto dai tratti delicati e in qualche modo “femminili”, Saffo ricalca l’attitudine tipica dei poeti elegiaci (di solito, uomini), effettuando così un ulteriore rovesciamento dei ruoli di genere.
La statura di Saffo come poetessa greca e, contemporaneamente, scrittrice fittizia ovidiana emerge in diversi luoghi dell’epistola, inclusi gli ultimi due versi del passo precedente. Ai vv. 97-98 Saffo allude alla sua scrittura e al suo pianto, che causerà un guasto materiale al testo che sta componendo. Non soltanto la composizione di versi poetici è un tratto da attribuire alla figura storica di Saffo in quanto poetessa lirica, ma le lacrime sono un motivo tipico del genere elegiaco, che trova riscontro in vari passi delle Heroides, dove le eroine osservano che le loro lacrime potrebbero rovinare la lettera che stanno scrivendo.123 Oltre a essere poetessa lirica,124 Saffo è pertanto autrice ovidiana. Più avanti nella lettera, infatti, Saffo effettua una sorta di (auto)investitura poetica, consacrando la sua lira ad Apollo e riferendosi a se stessa come poetria:
“Grata lyram posui tibi, Phoebe, poetria Sappho:
convenit illa mihi, convenit illa tibi”. (Ov. Her. 15.183-184)
“Io, Saffo la poetessa, riconoscente, o Febo, ti ho offerto la mia lira: essa si addice a me, essa si addice a te.”
Un termine raro nella letteratura latina a questa altezza cronologica, poetria si richiama alla figura storica di Saffo come poetessa lirica greca.125 La parola poetria pone Saffo in relazione con altri poeti, greci e latini, che sono stati principalmente uomini (come esemplifica l’osservazione di Porfirione riportata nella sezione precedente), accentuando così la statura poetica di Saffo. Inoltre, poetria è un femminile in qualche modo marcato, poiché fa da contraltare al più tipico termine maschile, poeta.126 L’identità di genere di Saffo in Heroides 15 appare, così, fluida e indefinita, tanto più se si considera che la scrittrice ovidiana definiva se stessa come auctor al v. 3 dell’epistola (auctoris nomina Sapphus). Grammaticalmente maschile, auctor non ha, in effetti, una variante femminile nel latino classico (auctrix è più tardo), per cui il termine è necessariamente impiegato in modo neutro in questa occorrenza.127 Poiché questo verso è l’unico passo delle Heroides in cui una scrittrice fittizia si riferisce a se stessa come auctor, il sostantivo sembra enucleare un riferimento non solo alla figura e persona poetica di Saffo ma anche a Ovidio, amplificando, così, la statura poeta sia della poetessa di Lesbo sia del poeta di Sulmona. Inoltre, auctor ha un’ampia gamma di significati, che includono “padre” e “capostipite”, e, nel contesto storico in cui Ovidio scrive, il sostantivo è associato ad Augusto come auctoritas per antonomasia.128 Auctor, insomma, è un termine fortemente evocativo nel sistema gerarchico e patriarcale che caratterizza la società e la cultura romane. Definirsi come auctor (v. 3), pertanto, comporta che Saffo si iscriva momentaneamente all’interno di un sistema fallocentrico, per poi negare in più modi questa appartenenza attraverso il rovesciamento dei ruoli di genere e delle identità poetiche, e il riferimento a se stessa come poetria. Presentandosi come poet(ess)a e dipingendo Faone come un giovinetto, Saffo sovverte i termini della relazione tradizionale tra poeta uomo e puella elegiaca; inoltre, la Saffo ovidiana dipinge Faone come un ἐρώμενος, rivestendo così il ruolo dell’ἐραστής in una immaginaria relazione omoerotica; infine, Saffo è sia auctor conforme alle tradizioni sociali e letterarie, sia poetria, che sfugge e stravolge le autorità.
La natura non conforme e non convenzionale della Saffo ovidiana caratterizza anche i contenuti del suo discorso poetico, dove si riscontra la prima attestazione esplicita di eccitazione erotica descritta da una prospettiva (per quanto fittizia) femminile (cfr. vv. 125-134, spec. 133-134).129 In modo forse ancora più evidente, la Saffo ovidiana si manifesta come un soggetto queer per ciò che riguarda il suo orientamento sessuale. Visto che l’epistola ovidiana è incentrata sulla relazione tra Saffo e Faone, è stato osservato che la Saffo di Heroides 15 sarebbe in qualche modo ricondotta a una dimensione (etero)normativa, e pertanto rappresenterebbe nient’altro che un burattino nelle mani di Ovidio.130 Ciononostante, Heroides 15 presenta riferimenti diretti all’omoerotismo di Saffo (Her. 15.15-19; 199-202), che, per quanto siano descritti come parte di un’esperienza pregressa, giocano un ruolo centrale nella definizione dell’identità poetica della Saffo ovidiana. Saffo invoca le giovani donne di Lesbo per tre volte, con una triplice anafora particolarmente enfatica (vv. 199-201), alludendo alla sua figura storica, oltre che al suo omoerotismo:131
Lesbides aequoreae, nupturaque nuptaque proles,
Lesbides, Aeolia nomina dicta lyra,
Lesbides, infamem quae me fecistis amatae,
desinite ad citharas turba venire meas!132 (Her. 15.199-202)
Donne di Lesbo, figlie del mare, giovani sposate e destinate alle nozze, donne di Lesbo, nomi celebrati dalla mia lira eolia, donne di Lesbo, che mi avete reso malfamata per avervi amate, cessate di accorrere in schiera al suono della mia poesia.
Le (giovani) donne di Lesbo sono descritte come coloro che hanno contribuito a rovinare la reputazione di Saffo (201).133 Insieme alla triplice anafora di Lesbides, l’aggettivo infamem (201) è stato interpretato come un’espressione del rifiuto di Saffo del suo passato omoerotico e lirico, enucleato nel riferimento geografico all’isola di Lesbo.134 Presumibilmente, il riferimento della Saffo ovidiana a se stessa come infamis in Heroides 15 ha contribuito, insieme ad altre fonti, alle ricezioni dell’omoerotismo di Saffo come vergognoso e immorale nelle epoche successive. Simili riflessioni possono essere fatte relativamente ai vv. 13-20, dove Saffo lamenta di non avere la mente abbastanza serena per comporre carmi, constatando la sua perdita di interesse per le giovani di Lesbo, ormai sostituite da Faone:
nec mihi, dispositis quae iungam carmina nervis,
proveniunt; vacuae carmina mentis opus!
nec me Pyrrhiades Methymniadesve puellae, 15
nec me Lesbiadum cetera turba iuvant.
vilis Anactorie, vilis mihi candida Cydro;
non oculis grata est Atthis, ut ante, meis,
atque aliae centum, quas non sine crimine amavi;
inprobe, multarum quod fuit, unus habes. (Ov. Her. 15.13-20) 20
Non mi vengono versi che io possa comporre con le corde ben ordinate: la poesia è un’occupazione per una mente libera! Non mi attraggono le giovani di Pirra o quelle di Metimna, né il resto della schiera delle donne di Lesbo. Di poco valore è per me Anactoria; di poco valore è la splendida Cidro; non è più gradevole al mio sguardo Attide, come prima, né lo sono le altre cento, che ho amato non senza crimine; ingrato, tu hai da solo quello che fu di molte.
Attraverso riferimenti geografici a città di Lesbo (Pirra, Metimna) e alla stessa isola (cfr. Lesbiadum, v. 16), Saffo sembra rinnegare il proprio passato omoerotico, poiché le sue attenzioni sono ormai interamente occupate da Faone (v. 20).135 Tuttavia, il discorso della Saffo ovidiana è talmente ambiguo che non può essere interpretato in maniera univoca. Nel fare riferimento alle sue relazioni omoerotiche, Saffo sottolinea come esse abbiano dato linfa e sostanza al suo canto poetico, al suo carmen. Il sostantivo carmen è impiegato in modo frequente da Ovidio per indicare la sua stessa produzione poetica, mentre nelle Heroides non indica quasi mai la scrittura epistolare delle eroine, con l’eccezione di Heroides 15, appunto, dove compare ripetutamente.136 Inoltre, il riferimento alle donne di Lesbo appare insistito e iperbolico, come testimonia l’elenco di toponimi e di nomi propri dei vv. 15-18, così come l’espressione aliae centum (v. 19), che si riferisce alle presunte amanti di Saffo.137 L’enfasi retorica sul passato omoerotico di Saffo caratterizza anche i vv. 199-202, come si evince, per esempio, dalla triplice anafora (Lesbides … Lesbides … Lesbides; 199-201) e dalla figura etimologica (nuptura/nupta; v. 199). Se, da un lato, Saffo scoraggia le donne di Lesbo dall’approssimarsi alla sua cetra (v. 202), dall’altro, la sua poesia erotica, che è rappresentata proprio dallo strumento lirico (citharas, v. 202), è ciò che le ha garantito la fama di poetessa: le relazioni omoerotiche di Saffo hanno determinato la sua eccellenza poetica. L’identità di poetessa lirica arcaica, che la Saffo ovidiana sembra rinnegare, è in realtà una componente intrinseca della sua persona, proprio come il suo omoerotismo.138 La Saffo ovidiana, così, concede alle sue relazioni omoerotiche il diritto di esistere proprio attraverso il rifiuto delle stesse – un rifiuto che è retoricamente, stilisticamente e concettualmente così marcato da risultare ridondante. Nonostante Heroides 15 sia dominata da Faone come oggetto principale dell’amore di Saffo, l’elemento omoerotico penetra nel discorso della poetessa e scrittrice ovidiana, creando ambiguità e fluidità dal punto di vista dell’orientamento sessuale e dell’identità poetica di Saffo.
Tale fluidità potrebbe essere interpretata come una dimostrazione dell’incongruenza e delle contraddizioni che caratterizzano Heroides 15, dando adito a ulteriori dubbi sull’autenticità dell’epistola.139 Inoltre, come già menzionato, l’epistola è stata letta come il tentativo (riuscito) di Ovidio di ricondurre Saffo a un universo (etero)normativo e tradizionale.140 Ancora, si è detto che Saffo, resa eterosessuale da Ovidio, rifiuti il suo passato omoerotico in Heroides 15141 o, al contrario, che sia un simbolo del topos della “mannish lesbian” (“lesbica mascolinizzata”, letteralmente).142 A ben vedere, gli esempi sopramenzionati mostrano che la fluidità di identità di genere e orientamenti sessuali è una caratteristica intrinseca della scrittura della Saffo ovidiana, ed enuclea la sua natura queer. In Heroides 15, Saffo sfugge a categorizzazioni binarie: in termini di genere (gender), Saffo impone la sua postura di poet(ess)a elegiaco/a, ricoprendo nel contempo il ruolo dell’eroina abbandonata che è tipico delle Heroides; il suo orientamento sessuale non può essere etichettato o descritto in termini univoci, in quanto Saffo mostra di essere perdutamente innamorata di Faone in tutto il corso della sua lettera, ma contemporaneamente enfatizza la sua esperienza omoerotica, insistendo, obliquamente, sulla centralità della stessa per la sua persona poetica, presente e passata. Heroides 15 combina quindi la polisemia, multidimensionalità e queerness che caratterizzano alcune forme di ricezione di Saffo nella poesia latina.
4. Riflessioni (e rifrazioni) conclusive
In questo saggio sono stati offerti alcuni casi esemplari della “ricezione romana” di Saffo, nel tentativo di gettare le basi teoriche, metodologiche e linguistiche per studi futuri (specialmente in italiano) che si propongano di esaminare i testi dell’antichità classica attraverso la lente delle teorie queer. I passi discussi esemplificano come Saffo potesse avere un effetto destabilizzante sulla produzione letteraria degli autori latini, e sui lettori e sulle lettrici (romani/e e delle epoche che seguiranno). In Catullo, Saffo contribuisce a rendere fluide le identità di genere, oltre a ibridizzare e complicare stilemi legati al genere letterario, allo stile e ai metri del libellus; per quanto riguarda l’Eneide, le risonanze saffiche mettono a rischio le finalità del poema epico e le relazioni normative all’interno dello stesso; nella poesia di Orazio, gli echi saffici producono sovrapposizioni tra contesti normativi e non normativi, e la figura di Saffo dà luogo ad ambiguità interpretative e linguistiche; nella produzione poetica ovidiana, Saffo coopera con la persona di Ovidio alla creazione di un discorso ironico e, in certa misura, contraddittorio; in Marziale, la presenza di Saffo produce istanze devianti, ponendo le basi per la ricezione successiva della poetessa di Lesbo come non allineata e non conforme. In buona sostanza, c’era (e c’è) qualcosa in Saffo che fa sì che la sua figura, persona e poetica siano percepite come ambigue e controverse. La capacità di contraddire, sopraffare e riformulare norme e canoni è ciò che fa apparire Saffo queer nel contesto letterario romano – e nelle rifrazioni multiformi che questo contesto produce nel corso delle epoche successive.