1
Lucrezio viene alla finestra e dice:
vedo il grasso lo zucchero la peste io
tocco il muro armato il
firmamento vedo
la luce greca scavare in ciò vedo
il crudele il
crudo
penso con ciò scrivo
ciò nella chance che ciò
il grasso lo zucchero la peste il tetto l’armatura murata
piombino in pioggia di fiori piume gocce spermi rugiade
nel pulviscolo libero nella rapacità delle acque ne
la luce dei segni inadeguati
Uomini avvenire, salve!
2
Ho detto: per totum video inane geri res.
Ho visto il reale farsi nel vuoto, ho visto il reale svuotare i nomi della lingua.
Ho visto il vuoto dei nomi davanti al movimento di generazione delle cose.
3
Le sette, la “prosa del mondo” e la
“preghiera dell’uomo moderno” (il giornale)
Intendo la prosa del mondo.
Intendo il già pensato già scritto.
Vedo il muro delle lingue opache.
Dentro occorre aprire
(lo spazio: il respiro)
Il mondo ci pompa l’aria.
Ossigeno! ossigeno!
Le porte sbattono le
vanghe stridono
fuori fa corpo
(fuori! fuori!)
4
“E quanto ogni cosa è lontana da noi, la sua immagine
fa sì che possiamo vederlo e ci aiuta a valutarlo.
Infatti appena è scoccata, subito incalza e sospinge
l’aria disposta fra essa e i nostri occhi;
questa in tal modo scivola tutta nello sguardo,
e quasi deterge le pupille, e così trascorre.
Perciò possiamo scorgere quanto disti ogni cosa.
E quanta più aria s’agita davanti a noi
e quanto più a lungo essa deterge i nostri occhi,
tanto più remota ci appare lontano ogni cosa.
Certo tutto ciò si produce con estrema rapidità,
così che vediamo simultaneamente la cosa e la sua lontananza.
A questo proposito non deve affatto meravigliarci
se non riusciamo a vedere a uno a uno i simulacri
che impressionano la vista, e scorgiamo invece direttamente gli oggetti.
Infatti quando il vento a tratti ci sferza
e spira il rigido freddo, non siamo soliti avvertire
ciascuna distinta particella del vento e del freddo,
ma piuttosto il loro assieme, e quindi sentiamo prodursi
dei colpi sul nostro corpo, come se qualcosa ci frustasse
e ci desse la sensazione della propria sostanza esterna.”
5
Ho detto: nec me animi fallit…/difficile illustrare… versibus esse / multa novis verbis cum sit agendum / propter egestatem linguae.
Ho saputo l’indigenza dei nomi di fronte alla fame delle cose, il rullio dei corpi sotto il fruscio delle frasi, la maschera deificata dei versi corrosa dall’illimitato fluido.
Ho saputo che le cose (primordia rerum, genitalia corpora rebus) provenivano da più lontano e andavano più lontano di dove il senso li fissa in vanità per noi.
Ho saputo come avreste detto l’inadeguatezza della lingua al reale.
Uomini del futuro, traducete il mio titolo:
De rerum natura = Del Reale (Non denominabile)
6
finestra (l’infisso) effetto d’essere
dito nell’occhio sole
zero vista fumo
niente (arriva)
niente: essere solo fuoco
(fatum) o anche
no (scrivo ciò)
fuori:“natura” (vale
a dire reale)
niente nomi: vuoto
cose nel campo
canaglia o: spazio
è tutto è verde è
aperto (per
totum inane video
geri res)
7
Ho detto: indigenza, mancanza, gioco
Questa difficoltà = denominare l’anima non denominabile del reale.
L’anima (corporibus parvis et levibus et rotundis): grasso fine dei corpi, olio sottile della materia.
Minima, rotonda, leggera: quae vento spes raptast saepe misella.
L’anima: l’impossibile.
Ho soffiato in versi qualcosa dell’impossibile.
Il canto: canto su niente, sul niente del reale, sulla natura del niente di nominabile.
Un soffio (aura, spiritus):
et reserata viget genitabilis aura
(la poesia, appesa alla bocca del desiderio).
8
Scrivere: foro del foroforza
nella fievolezza delle forme
io: la trance (ma non più di una
febbrilità fibrosa del dentro)
intorno: il grasso (Beuys?)
lo spazio: ciò
(capogiro
della negazione scarna)
io scaglio fori nel
fragore delle forme grasse
disfatta! o disfatta!
(scrivo: solo aste)
9
Uomini d’oggi, che cos’è il reale?
Ho detto: rerum natura = principio, generazione, vuoto, movimento. Non: gestae res. Ma: res nascentes. Creatrix natura.
Reale: ogni cosa in movimento, infissa, non denominabile.
Mondo aperto. Vuoto + motilità.
Fronte alla sfida: la lingua.
Vale a dire la passione neologica (multa novis verbis cum sit agendum)
Perché ciò (quod agendum est) arriva nelle faglie della logica (scopre l’eccezione del reale alle lingue).
Il nuovo è invincibile. L’invincibiltà delle lingue è nel sapere che esse sono da trovare – e sempre introvabili, traforate.
Si chiama: passione della denominazione. Ho conosciuto questa vertigine, sofferenza ed esaltazione.
E ho detto, miserevole e glorioso nella mia solitudine: avia Pieridum peragro nullius ante / trita solo.
10
L’allitterazione non è un effetto retorico, un’eccedenza di piacere armonico. L’allitterazione è una chance di senso – vale a dire di destabilizzazione del senso, scollamento animato (spes misella saepe vento rapta), gioco, slittamento dei significanti nello spessore semantico.
L’allitterazione dice: vuoto + motilità (reale).
Così: vivida vis animi pervicit.
Rimbalzo della forza che svuota: vi, oui, sì.
L’allitterazione è un modo di simbolizzazione del reale come infinità sfuggente.
Già il vecchio Ennio ne faceva quintali. Per cui, lo si è detto greve. Ma tale pesantezza, cos’è se non il peso del fuori-senso musicale che viene a rimescere, ostruire, sbarrare il derealizzato fluire del senso – e fare senso di questa rallentata, di simile ispessimento, di questo sdoppiarsi della linea del verso?
11
Piega sciaticata dentro male
di schiena lombalgia d’ego
fuori è contorto ciò
mi fa proprio di tutto sotto il naso
o: corporis caecis
igitur natura
res
unde initum primum capit
res quaeque movendi
ah! muoversi soffiare respirare!
srotolar-
si il culo dalle rotule!
– articola, poeta, articola!
12
Quel che vedrà, a voi vicino, Ponge (franciscvs pontivs nemavsensis poeta):
nella mia poesia, la lingua non dice soltanto la natura (il reale): essa funziona come la Natura, lavora come il reale (“omologia di funzionamento”).
Ho cercato una fisica della lingua. Ne ho avviato in versi il meccanismo (più che la capacità di figurare).
La lingua non deve essere ma (ri)nascere: Venere genitrice, generazione, clinamen, meta-fora, ecolalie: labentia signa, segni declinati sul foro sturato del cielo.
E gli Dei placidi, immobili, muti, assenti, denominati = niente.
Il foro di luce diffusa: uno sfavillio di segni erratici, senza dèi (senza “significato trascendentale”).
13
si, questo placatumque ------------------------ caelum
nitet diffuso lumine:
Ho visto il foro
b! rr! one!
U
:
placcato il cielo macerie d’atomi (placatumque caelum):
ecco mezzodì ecco la luminosità nidìfusa (diffuso lumine)
caduta dal foro di enormità
ed ecco gli uomini deposti annidati
nell’unanimità la nullità im
placabilmente san
za voce gli uomini
votati al declinare d’ali ai
segni accesi sull’informe io
vedo discendere lo spaventoso tenero rosa
scandalo delle cose è
la materia i nomi
dei non – cioè fiumi fiori e
sorrisi e cuori rapiti
nelle rapide correnti dell’aria: tu, io
nella luce d’angoscia di voluttà de
il senza nome
14
La meta-fora è il movimento forato nella lingua.
Quel che vi fa effetto e senso è il movimento – e non i poli fra i quali la lingua, nel trasporto metaforico, s’avvia, oscilla, declina.
Ho detto che le lettere erano metafore degli atomi:
quo pacto verba quoque ipsa / inter se paulo mutatis sunt elementis / cum ligna atque ignes distincta voce notemus.
Ho detto che il declinare degli atomi nel vuoto e il loro agglutinamento erano come il declinare delle lettere agglutinate in unità provvisorie di senso.
Leggete anche l’inverso: la fisica è una metafora della lingua. Il vuoto e l’infinito (l’alea semiotica) di fronte al pieno e al finito (la stasi del senso, il vincolo). Fra i due: la difficoltà di denominare, l’indigenza della lingua, il linguaggio inadeguato alle cose (rebus).
E le forme (la formalizzazione) di questa difficoltà: lo slittamento sonoro, la torsione prosodica, il mutamento metaforico.
Il clinamen è lo stile (la distinzione, la differentsa, le excentricità del linguaggio).
15
Le parole i natanti
spazio / trasgressione / altrove
è nei vapori stanti
intorno: l’anima (rotonda
e leggera e
fine)
s’insinua, la lama
spazio / trance / grasso /
ioni: clinamen migliore
annota, poeta, annota!:
la lingua sugli pneumatici
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
slitta
16
Ponge ancora: “l’oggetto della nostra emozione posto in abyme”, il soggetto fuori-di-sé, rapito (ispirazione?), dall’abyme indenominato.
E il reale, in fondo, come foro (sole, sesso, morte).
Ossia: l’Ob-IettO
C’è del giochetto: clinamen
Declina, muove, cambia, inclina, scrive – subter labentia signa
Che cos’è la poesia?
Ciò che, percorso d’ioni significanti liberi, ritaglia, scandisce, e fa vacillare il frontone maiuscolato, pieno e atono della prosa politico-giuridica,
ciò che sfida, ignorandoli, l’ingiunzione degli Dei dritti in piedi imponenti.
La poesia trascina l’energia di scrivere nel recinto (del) simbolico – o: il firmamento.
Come lapsus dei segni nel vuoto.
Vincoli vari, densità, urti, incontri, movimenti: varios conexus, pondera, plagas, concursus, motus.
Ho tentato di aprire poeticamente il mondo messo in vincoli dal concatenamento simbolico-mitologico.
Ho chiamato Venere la forza indenominabile che premeva in me per scavare ciò: te sociam studeo scribendis versibus esse.
Venus: nome provvisorio del desiderio, della pulsione (vuoto, atomi).
Genetrix: nome del punto zero della forza di generazione.
Genitabilis aura: soffio che inspira, ergersi del desiderio semiotico, poesia.
Traduzioni:
- per totum video inane geri res: le cose io vedo prodursi nell’intero campo del vuoto.
- nec me animi fallit…/ difficile illustrare… versibus esse / multa novis verbis cum sit agendum / propter egestatem linguae: non mi sfugge che numerosi sono i punti difficili da tradurre chiaramente in versi, in quanto, per l’indigenza della lingua, occorrono parole nuove.
- primordia rerum: i principi delle cose.
- genitalia corpora rebus: i corpi generatori delle cose.
- corporibus parvis et levibus et rotundis: corpi fini, lievi e rotondi.
- quae vento spes raptast saepe misella: la fragile speranza che il vento porta via veloce.
- et reserata viget genitabilis aura: il soffio che feconda riprende vigore.
- gestae res: le cose compiute.
- res nascentes: le cose nascenti.
- creatrix natura: natura creatrice.
- quod agendum est: il da farsi.
- avia Pieridum peragro loca nullius ante / trita solo: misuro gli spazi inesplorati delle Muse che nessuno prima di me ha calpestato.
- vivida vis animi pervicit: la vivida virtù del suo animo vinse.
- corporis caecis igitur natura gerit res: dunque la natura genera per mezzo di corpi invisibili.
- unde initum primum capit res quaeque movendi: da cui ogni cosa trae il principio del proprio movimento.
- labentia signa: i segni erranti.
- placatumque nitet diffuso lumine caelum: placato risplende di luce diffusa, il cielo.
- quo pacto verba quoque ipsa / inter se paulo mutatis sunt elementis / cum ligna atque ignes distincta voce notemus: le parole stesse sono fatte di elementi leggermente differenziati: così distinguiamo dalla pronuncia ligna (legno) e ignes (fuochi).
- varios conexus, pondera, plagas, concursus, motus: nessi diversi, densità, urti, incontri, movimenti.
- te sociam studeo scribendis versibus esse: aspiro ad averti amica per comporre i miei versi.
- genetrix: la genitrice, la nutrice.
- genitabilis aura: il soffio che feconda.