1. La vita di Giulia Maggiore e di Giulia Minore
Iulia, che gli storici moderni definiscono Maior per distinguerla dalla omonima figlia Iulia (Minor), è l’unica figlia naturale dell’imperatore Augusto1. Nasce dal matrimonio fra Ottaviano e Scribonia. Nel 40 a.C., infatti, Ottaviano sposa Scribonia2, sorella o sorellastra, secondo una recente interpretazione3 del console del 34 a.C. Lucio Scribonio Libone, quest’ultimo seguace e suocero di Sesto Pompeo, che cercava di ottenere un ruolo di primo piano nella sanguinaria e concitata scena politica e militare del tempo.
Questa unione matrimoniale era necessaria a Ottaviano per contrastare l’avvicinamento politico tra Sesto Pompeo e un altro triumviro, Marco Antonio, e per crearsi un fronte di alleanze all’interno dello schieramento dei seguaci dello stesso Sesto che, essendo figlio di Pompeo Magno, già rivale di Giulio Cesare, poteva contare su un gruppo di sostenitori ancora vasto ed eterogeneo4. È interessante quanto scrive Appiano5 che parla espressamente di un accordo tra Ottaviano e Scribonio Libone per il tramite di Mecenate.
Questo matrimonio, dovuto a una ben precisa contingenza politica presto destinata a cambiare, dura poco più di un anno, ma consente a Ottaviano, nel 39 a.C., di generare la sua unica figlia Giulia Maggiore. Scribonia è ripudiata, secondo le fonti6, il giorno stesso della nascita della figlia. Scribonia continua, però, a usare, anche dopo il divorzio da Ottaviano, il nome Scribonia Caesaris, come attestano le fonti epigrafiche7, segno evidente che la matrona poteva continuare a mantenere il suo ruolo di moglie, ma soprattutto di madre della figlia dell’imperatore, anche in virtù delle sue ampie reti di relazioni che potevano, in ogni caso, giovare al futuro imperatore. Non si tratta quindi di un divorzio dettato da dissidi di carattere personale, ma di una delle molteplici strategie politiche matrimoniali messe in atto da Ottaviano Augusto8.
Il ruolo ambiguo di Scribonia si riflette, a mio parere, nella duplice tradizione relativa al giudizio morale sulla sua persona: Velleio Patercolo9 in maniera neutra registra che Scribonia accompagna volontariamente la figlia Giulia Maggiore in esilio: Iulia relegata in insulam patriaeque et parentum subducta oculis, quam tamen comitata mater Scribonia voluntaria exilii permansit comes (Giulia fu esiliata in un’isola e allontanata dalla vista della patria e dei genitori; tuttavia fu accompagnata dalla madre Scribonia che rimase come compagna volontaria del suo esilio)10. Svetonio11, invece, riporta la notizia dell’accusa da parte di Ottaviano stesso di condotta sessuale scandalosa (come pretesto per il divorzio). Il filosofo Seneca, invece12, la presenta come donna di costumi austeri.
Ancora più complesso è il ruolo che le fonti attribuiscono alla figlia di Augusto. Si potrebbe quasi dire che Giulia Maggiore rappresenta sulla propria pelle l’ambiguità politica del padre: Augusto afferma di restituire al senato e al popolo la res publica, ma di fatto instaura un regime monarchico che ha bisogno di un successore di sangue13. La tradizione sulla vicenda umana e politica di Giulia Maggiore rispecchia proprio i molteplici ruoli che questa donna deve interpretare. Per rispondere ideologicamente alle aspettative della riproposizione in età augustea del modello matronale ideale, Giulia Maggiore avrebbe imparato a tessere al telaio e a confezionare di propria mano le toghe per il padre14. Invece, la sua vicenda storica di donna in carne e ossa corrisponde all’evoluzione della condizione e femminile in età romana repubblicana e quindi assume le caratteristiche della matrona docta15. La sua educazione, secondo le fonti, viene affidata ai migliori maestri che non possono che attestare il suo litterarum amor multaque eruditio (il suo amore per le lettere e la sua notevole erudizione)16.
In età repubblicana, come è ben noto, i matrimoni tra esponenti delle élites servono principalmente a stringere alleanze politiche. Questo uso politico delle nozze assume caratteristiche direi quasi parossistiche nell’ultimo secolo della repubblica. Se si presta fede a Cassio Dione17, Giulia Maggiore tra il settembre e l’ottobre del 37 a.C.18, ad appena due anni d’età, era stata promessa in sposa ad Antillo, il primogenito di Marco Antonio e di Fulvia. Judith Hallet19 analizza compiutamente il ruolo di Fulvia nella politica augustea, principalmente come madre di Iullo Antonio che, come vedremo tra breve, parteciperà a una congiura contro Augusto assieme a Giulia Maggiore. È comunque molto interessante che tutti i figli di Fulvia siano coinvolti in singoli segmenti della politica augustea. Infatti, la prima moglie di Ottaviano è Clodia, figlia del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro e di Fulvia, che, rimasta vedova, si risposa con Marco Antonio. Ottaviano divorzia da Clodia nel 41 a.C., prima dello scoppio della guerra di Perugia contro Lucio Antonio, il fratello di Marco Antonio. In occasione del ripudio della giovane, Ottaviano asseriva che Clodia era rimasta vergine20. Molto opportunamente, come suggerisce lo stesso Cassio Dione21, Ottaviano, in questo momento, preferiva fare credere di essere in contrasto più con Fulvia che con Antonio, che rimaneva un avversario temibile e potente.
Augusto consolida la sua rete di alleanze composite con persone non necessariamente di estrazione aristocratica, ma le cui competenze potevano essere di aiuto nella rifondazione dello stato. Questi personaggi erano stati forniti delle necessarie risorse fondiarie per diventare senatori e avrebbero potuto imparentarsi con l’aristocrazia attraverso i cosiddetti ‘matrimoni misti’. Gli homines novi, portatori delle tradizionali virtutes romane, si sarebbero potuti imparentare con gli aristocratici per il tramite dei matrimoni. I frutti di queste unioni avrebbero costituito la futura classe dirigente del nuovo impero romano22. Il matrimonio di Giulia Maggiore con il non nobile Marco Vipsanio Agrippa, ma dotato di una solida reputazione militare e istituzionale, rappresenta proprio questo aspetto della politica augustea.
In verità, la prima scelta di Augusto in materia di successione era stata prettamente aristocratica. Infatti, quest’ultimo si trova nella necessità di garantire una successione alla sua creatura politica: l’impero. Augusto, privo di figli maschi, in un primo favorisce la linea del suo stesso sangue, privilegiando il suo parente maschio più prossimo, che è l’aristocratico Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia e del console del 50 a.C. Caio Claudio Marcello23. Augusto non adotta questo nipote (nessuna fonte riporta questa notizia), ma la carriera magistratuale del giovane viene fortemente accelerata: ad esempio, gli viene concesso di candidarsi al consolato con dieci anni di anticipo rispetto al consueto percorso tradizionale24. Il secondo modo per mostrare all’opinione pubblica che il successore sarebbe stato Marcello sono, evidentemente, le nozze con Giulia Maggiore. I due giovani si sposano nel 25 a.C., ma poco dopo Marcello muore a soli diciannove anni nell’ autunno del 23 d.C., mentre ricopre la carica di edile, in attesa di potere ottenere il ben più prestigioso consolato.
Dopo la morte di Marcello, Augusto sceglie un nuovo marito per Giulia Maggiore che non può fare altro che piegarsi alla volontà del padre25. Nel 21 a.C. si sposa con Marco Agrippa che entra a fare parte, come genero dell’imperatore, dell’illustre famiglia. Cassio Dione26 annota che Augusto nel 18 a.C. praticamente concede ad Agrippa poteri pari ai suoi. Nel 20 e nel 17 a.C. nascono Caio e Lucio Cesari che vengono adottati dal nonno materno27. Sono i primogeniti del non nobile Agrippa che li deve ‘cedere’ al nobile Augusto, ma sono, evidentemente, i successori designati. Ricordo per inciso che i primogeniti del politicamente sconfitto Tiberio Claudio Nerone, ma aristocratico di elevato lignaggio, e di Livia, terza moglie di Augusto, vale a dire Tiberio, il futuro imperatore, e Druso Maggiore, erano invece stati allevati nella casa del padre naturale e soltanto dopo la morte di quest’ultimo nel 33 a.C. erano entrati a fare parte della domus di Augusto. Ottaviano, pur nella concitata lotta politica del tempo, non avrebbe mai potuto sottrarre a un pater familias aristocratico i suoi figli maschi, ancorché quest’ultimo fosse in una posizione di inferiorità politica.
In attesa della crescita dei suoi figli naturali, ma che erano stati adottati dal suocero, Agrippa ha sicuramente un ruolo istituzionale di primo piano nel governo dell’impero. L’uomo, però, muore improvvisamente nel 12 a.C.: Caio aveva otto anni, Lucio cinque e dopo la sua morte Giulia Maggiore dà alla luce un terzo figlio maschio (per un totale di cinque, tre maschi e due femmine) che viene chiamato Agrippa (Postumo). Fino a questo momento Giulia Maggiore rappresenta l’immagine della perfetta figlia di Augusto28, non soltanto perché sposa qualunque uomo il padre le imponga, ma anche perché, con le sue plurime maternità, diventa un esempio paradigmatico dell’incentivazione della natalità tanto cara al padre stesso.
Nelle Res Gestae Augusto sottolinea con particolare enfasi la sua attività legislativa29: Legibus novis me auctore latis multa exempla maiorum exolescentia iam ex nostro saeculo reduxi et ipse multarum rerum exempla imitanda posteris tradidi (mediante nuove leggi, promulgate di mia iniziativa, ho ridato vigore a molte consuetudini dei nostri avi, cadute in disuso al nostro tempo e io stesso ho tramandato ai posteri molte consuetudini da imitare). Augusto insiste sulla restaurazione, attraverso la nuova legislazione da lui promossa, degli exempla maiorum degli antenati caduti in disuso. L’imperatore fa riferimento, evidentemente, alle leges Iuliae de adulteriis coercendis e de maritandis ordinibus approvate nel 18-17 a.C. che vanno poste in relazione con l’organizzazione dei ludi saeculares che si svolgono tra la fine del mese di maggio e il mese di giugno del 17 a.C. Giulia Maggiore vi partecipa ed è madre di tre figli (Caio, Giulia Minore e Lucio)30 e quindi può godere a tutti gli effetti dei vantaggi legati alla sua prolificità, come stabilito dalla legislazione paterna che sarà perfezionata dalla lex Iulia et Papia Poppaea del 9 d.C. In questo momento Giulia Maggiore è la ideale e visibile interprete della politica paterna e, date le sue numerose maternità, sembra verosimile che aderisse convintamente a questo sistema di valori imposto dal padre.
Giulia Maggiore e il marito Agrippa fanno numerosi viaggi fuori Roma durante i dieci anni vissuti insieme. Soggiornano in Oriente tra il 17 e il 13 a.C.31, si spostano tra la Grecia continentale e le isole e giungono fino all’Asia minore. È evidente che la coppia va a rappresentare e a consolidare il nuovo potere imperiale augusteo in aree che erano state vicine all’antagonista Antonio. La presenza in Oriente di marito e moglie è confermata da iscrizioni dedicatorie ed emissioni monetarie attestate nei luoghi dove i due coniugi hanno soggiornato, ad esempio a Megara, ove Giulia Maggiore è ricordata come figlia dell’imperatore Cesare Augusto e moglie di Marco Agrippa, a Mitilene e in Asia Minore, ad esempio a Efeso e a Priene, dove è onorata come Nea Aphrodite ed Hera Sebaste32. In dottrina è stato sostenuto33, sulla base di quanto affermato da Nicola di Damasco34, che Giulia Maggiore durante questi viaggi e soggiorni in Oriente possa essere entrata in stretto contatto con le dinamiche del potere monarchico orientale dove, come è noto, è ben attestata la regalità femminile. Queste idee avrebbero poi influenzato il pensiero politico della donna dopo la morte del secondo marito.
Dopo la morte di Agrippa, Augusto impone alla figlia di sposare Tiberio Claudio Nerone, figlio primogenito di Livia. Nello stesso tempo, Augusto conferisce ai figli adottivi Caio e Lucio Cesari il titolo di principi della gioventù (principes iuventutis), titolo che va interpretato come indicazione del fatto che i due giovani sarebbero stati i futuri successori del principe del senato (princeps senatus) Augusto. Evidentemente, Augusto può pensare che l’aristocratico Tiberio possa accettare di buon grado questa sostanziale parificazione ad Agrippa, tenendo anche conto che il suo matrimonio con Giulia Maggiore si rivela molto problematico. È probabile che nel 10 a.C. Giulia Maggiore e Tiberio perdano il figlio neonato35; in ogni caso, a partire dal 9 a.C., i rapporti tra i due coniugi si deteriorano definitivamente.
Tiberio si ritira nel 6 a.C. in esilio volontario a Rodi e, di fatto, abbandona momentaneamente la politica attiva. Le fonti36 spiegano questa decisione di Tiberio in modi diversi, ma è indubbio che l’accesa rivalità tra il ramo giulio e il ramo claudio della famiglia in previsione della successione ad Augusto, e del ruolo che tale successione riservava alle donne e alle loro maternità, abbia avuto un notevole ruolo nella decisione di Tiberio. I progetti di Augusto, però, sono nuovamente frustrati: Lucio muore a Marsiglia nel 2 d.C. e Caio due anni dopo, nel 4 d.C., sulla via del ritorno da una missione in Oriente. Augusto, all’età di sessantasei anni, rimane nuovamente senza eredi e si decide ad accettare definitivamente Tiberio come suo successore. Non molto tempo prima, però, un grave scandalo aveva riguardato proprio Giulia Maggiore.
2. Le accuse di adulterio: la congiura di Giulia Maggiore
Questo avvenimento ha avuto indubbiamente una forte risonanza mediatica, tanto è vero che Plinio il Vecchio37 lo cita come uno dei più pericolosi episodi che avrebbero caratterizzato la vita di Augusto: adulterium filiae et consilia parricidae palam facta (l’adulterio della figlia e i suoi propositi di parricidio, perpetrati alla luce del sole). Plinio il Vecchio è la sola fonte antica a formulare per Giulia Maggiore l’accusa esplicita di parricidio, mentre la caduta in disgrazia della donna è ricordata da numerosi altri storici antichi. Emblematica è l’accusa di Velleio Patercolo38: Quippe filia eius Iulia, per omnia tanti parentis ac viri immemor, nihil, quod facere aut pati turpiter posset femina, luxuria libidineve infectum reliquit, magnitudinemque fortunae suae peccandi licentia metiebatur, quidquid liberet pro licito vindicans (sua figlia Giulia, infatti, immemore della grandezza del padre e del marito, per dissolutezza o per libidine, fece tutto quanto una donna può fare o patire di turpe, anzi pareggiava la sua elevata posizione pretendendo che fosse lecito tutto ciò che le faceva piacere).
Giulia Maggiore, del tutto immemore della gloria del padre o del marito, per dissolutezza o per libidine (luxuria libidineve), non si sottrae a nessuna turpitudine. Ancora una volta, a mio parere, pur nella loro volontà denigratoria, le fonti colgono molto bene l’ambiguità di Giulia Maggiore: la sua condizione elevata andava di pari passo con la sua immoralità, ma, soprattutto, questa sua condizione elevata (magnitudinem fortunae suae) le permetteva di considerare lecito tutto ciò che le faceva piacere (licentia peccandi… quidquid liberet pro licito vindicans). È evidente la volontà di Giulia Maggiore di impersonare la donna romana ‘emancipata’, ma non soltanto: questa donna rappresenta la effettiva possibilità di instaurare a Roma un regime monarchico, di stampo ellenistico, dove anche le matrone potevano acquisire posizioni di assoluto prestigio e potere. È altrettanto evidente che Augusto e il suo entourage non possono permettere che questa volontà politica possa diffondersi nella pubblica opinione. Va subito anticipato che le fonti (tranne Plinio il Vecchio) non parlano del progettato assassinio di Augusto, ma dell’adulterio commesso da Giulia Maggiore, in palese violazione della legislazione di Augusto, varata non molto tempo prima, come appena visto, con lo scopo preciso, tra gli altri obiettivi, di reprimere l’adulterio femminile. La versione che deve circolare è quella relativa a un’adultera in preda alle sue incontenibili pulsioni sessuali.
Lo scandalo di Giulia Maggiore scoppia nel 2 a.C., vale a dire nello stesso anno in cui ad Augusto viene conferito l’appellativo di pater patriae. A maggior ragione, quindi, il padre di tutti i cittadini non poteva permettere un comportamento ostile, se non addirittura potenzialmente letale, dalla sua unica figlia naturale Giulia Maggiore.
Nel 2 a.C., sulla base del racconto delle fonti39, Giulia Maggiore viene incriminata pubblicamente dal suo stesso padre Augusto con una lettera indirizzata al senato. I motivi addotti per questa incriminazione sono, si potrebbe dire, sempre i soliti che hanno caratterizzato le accuse contro le donne romane: lo stile di vita votato agli eccessi e la condotta scandalosa. Le fonti classiche riportano per lo più la versione ufficiale, accreditata da Augusto, che condannava soltanto gli adulteri di Giulia Maggiore e il suo stile di vita dissoluto e non la sua intelligenza politica.
In realtà, l’accusa di adulterio è pretestuosa e l’episodio va sicuramente letto in chiave politica40. A Roma, infatti, si era progressivamente consolidata, all’interno della stessa famiglia di Augusto, un’opposizione, allo stesso tempo politica e intellettuale, al progressivo e montante conservatorismo augusteo in accordo con le fazioni più tradizionaliste dell’aristocrazia. Questa opposizione ad Augusto, che si andava consolidando in un vero e proprio schieramento politico e intellettuale, si richiamava al triumviro Marco Antonio, sconfitto ad Azio da Ottaviano Augusto, ed era favorevole a imprimere al regime imperiale una svolta in senso autocratico, secondo il modello della regalità ellenistico-orientale, di stampo populistico, principalmente fondata sul favore dei militari e del popolo e sul carisma personale dell’imperatore. Il futuro imperatore Tiberio invece, figlio naturale di Tiberio Claudio Nerone, esponente filo-repubblicano già vittima delle proscrizioni dei triumviri Ottaviano, Marco Antonio e Lepido, rappresentava l’accordo, sempre più inattaccabile, con la classe dirigente conservatrice e tradizionalista senatoria all’interno della stessa famiglia dell’imperatore.
Giulia Maggiore è accusata di adulterio con molti uomini, ma, soprattutto, con Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio e di Fulvia, divenuto membro a tutti gli effetti della domus di Augusto ed esponente politico di primo piano. Dopo la morte dei genitori, infatti, Iullo era stato accolto nella casa di Ottavia, sorella di Augusto, è oggetto di una eccellente politica matrimoniale (sposa, infatti, una figlia di Ottavia, Marcella Maggiore, già moglie di Marco Agrippa) e fa una brillante carriera: è pretore del 13 a.C., console nel 10 a.C. e governatore della provincia d’Asia probabilmente tra il 7 e il 6 a.C.
Cassio Dione41 sostiene esplicitamente che la finalità politica di Iullo Antonio era quella di instaurare una monarchia. Dopo la repressione di questa congiura, la propaganda augustea istituisce un parallelismo tra il passato vincolo di Marco Antonio e la regina d’Egitto Cleopatra e il nuovo legame fra Iullo Antonio e Giulia Maggiore. Seneca42, infatti, sarà in grado di scrivere che Augusto non poteva assolutamente tollerare iterum timenda cum Antonio mulier, di temere, cioè, per una seconda volta una donna al fianco di Antonio, dopo il pericolo rappresentato da Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto a fianco del padre di Iullo, Marco Antonio.
È evidente che Augusto deve tutelare la propria immagine di statista amato dai benpensanti, immagine che intende consegnare ai posteri. Questa sua attitudine è evidente, a mio a parere, anche nel noto giuramento prestato a Ottaviano nel 32 a.C., alla vigilia di Azio, enfaticamente ricordato dallo stesso Augusto nelle sue Res Gestae43: iuravit in verba mea tota Italia sponte sua (tutta l’Italia di sua spontanea volontà mi ha giurato fedeltà). Come si evince da Svetonio44, Ottaviano voleva “sottolineare la componente volontaristica del giuramento”45 e nello stesso tempo rassicurare le élites italiche che non sarebbero state oggetto di rappresaglie sanguinarie. Augusto, quindi, non può permettere che l’antagonismo politico sia presente all’interno della sua stessa famiglia, soprattutto in seguito al fatto che la sua politica aveva puntato moltissimo sul ruolo ‘salvifico’ della famiglia stessa nella ricostruzione della società dopo le guerre civili con chiare funzioni di controllo politico e sociale46. È necessario trovare un facile capro espiatorio: le incontrollabili pulsioni sessuali di una esponente dell’imbecillus sexus47 costituiscono un eccellente diversivo.
Il fatto che Augusto avesse obbligato Giulia Maggiore a sposare Tiberio nell’11 a.C. poteva essere interpretato come segnale della precisa volontà di Augusto nei confronti della sua successione, ancora focalizzata sui giovani figli di Giulia Maggiore e del defunto Agrippa. Tiberio, però, come già detto, si era ritirato in volontario esilio a Rodi nel 6 a.C. Evidentemente, il futuro imperatore era scarsamente incline ad assistere alla prodigiosa accelerazione impressa alle carriere dei figli della moglie. Sarà comunque richiamato da Augusto nel 2 d.C., dopo la caduta di Giulia Maggiore e la morte di Lucio Cesare.
Alcuni componenti dell’élite politica romana sono accusati di essere amanti di Giulia Maggiore, sono processati e sono condannati o all’esilio o alla morte48. Cassio Dione49, come abbiamo già visto, può scrivere espressamente, più di due secoli dopo gli avvenimenti narrati e quando anche a Roma il regime monarchico si era ampiamente consolidato con chiare derive militariste, che Iullo Antonio muore, assieme ad altre persone di spicco, come se avesse tentato di istaurare un regime monarchico.
È evidente che uno storico, oggi, si può interrogare sulla verosimiglianza della descrizione di Giulia Maggiore e sulla sua rappresentazione come un’adultera incallita. Il reale problema, in realtà, a mio parere, è il fatto che i suoi veri o supposti adulteri venivano a insidiare la linea di successione decisa da Augusto, nonché il ruolo familiare e istituzionale di Tiberio. In ogni caso, gli ipotetici o reali amanti di Giulia Maggiore condividono un progetto politico e culturale anti-augusteo e un’eventuale maternità, frutto dell’unione fra Giulia Maggiore e Iullo Antonio, avrebbe rischiato di scardinare l’assetto successorio progressivamente e faticosamente costruito da Augusto stesso, tra mille problemi. Nella pubblicistica del tempo, Giulia Maggiore viene a rappresentare l’antitesi del modello matronale imperniato sulla castitas. In età repubblicana l’adulterio femminile era giudicato dal tribunale familiare e punito con la morte, mentre la legislazione augustea avoca allo stato la relativa giurisdizione di questo crimen, in funzione di controllo politico delle alleanze familiari50. Tra le accuse che vengono mosse a Giulia Maggiore c’è quella essere sessualmente sfrenata51 e, addirittura, di prostituirsi.
Insistono su questo ultimo aspetto Plinio il Vecchio e Seneca. In particolare, Plinio il Vecchio52 riporta la notizia che Giulia Maggiore avrebbe incoronato con fiori la statua del sileno Marsia ubicata nel foro, statua che era considerata il simbolo delle libertà cittadine. La leggenda, infatti, raccontava che Marsia era stato scorticato vivo da Apollo dopo una competizione musicale che li aveva visti antagonisti. Apollo era la divinità ‘protettrice’ di Augusto e, evidentemente, incoronare la statua del suo rivale Marsia significava contestare lo stesso Augusto. Seneca53 scrive: Divus Augustus filiam ultra impudicitiae maledictum inpudicam relegavit et flagitia principalis domus in publicum emisit: admissos gregatim adulteros, pererratam nocturnis commissationibus civitatem, forum ipsum ac rostra, ex quibus pater legem de adulteriis tulerat, filiae in stupra placuisse, cottidianum ad Marsyam concursum, cum ex adultera in quaestuariam versa ius omnis licentiae sub ignoto adultero peteret (Il divo Augusto esiliò sua figlia che fu spudorata ben oltre l’imputazione di spudoratezza e rese pubblici gli scandali della casa imperiale: faceva entrare in massa gli amanti, vagabondava di notte e si dava ai bagordi per tutta la città, aveva scelto per i suoi illeciti sessuali lo stesso foro e i rostri, dai quali il padre aveva emanato la legge sull’adulterio, andava ogni giorno da Marsia e, messo da parte il suo ruolo di adultera, era diventata una vera e propria prostituta e rivendicava con l’ignoto amante il suo diritto a ogni piacere).
Va valutata attentamente la riflessione senechiana sul comportamento di Giulia Maggiore che, punto su punto, rispecchia la perfetta antitesi della volontà del padre: è impudica, lo è pubblicamente in giro per la città, i rostri da cui Augusto aveva promulgato le leggi sull’adulterio sono profanati, da adultera diventa prostituta. Giulia, addirittura, supera i limiti dell’accusa di impudicitia (ultra impudicitiae maledictum), agisce pubblicamente in maniera scandalosa (in publicum emisit) e mette in crisi, con le sue azioni incontrollabili, la moralità promulgata da padre. Il termine impudicitia, infatti, compare nell’opera di Seneca sempre come indicatore della corruzione sessuale, come vera e propria “malattia morale” contagiosa54.
Questi comportamenti impropri sono particolarmente scandalosi, in quanto sono messi in atto da una componente della domus dell’imperatore che, invece, dovrebbe dare il buon esempio. Tuttavia, la menzione dei rostri indica, a mio parere, che a Seneca non sfuggono le implicazioni politiche della complessa vicenda. Seneca continua con un’interessante osservazione: Augusto avrebbe dovuto punire e nello stesso tempo tacere, ma secondo Seneca, noto fustigatore delle passioni, Augusto è vittima dell’ira che non gli permette di esercitare la necessaria prudenza. In realtà Augusto vuole denunciare pubblicamente il comportamento della figlia perché è proprio quello che imponeva la legge: l’adulterio è diventato un crimen pubblico e l’adulterio di una esponente della domus dell’imperatore è un atto gravido di conseguenze politiche.
L’incoronazione di Marsia è una efficace testimonianza del fatto che Giulia Maggiore e i suoi amici intendevano richiamarsi al dio Dioniso e, in particolare, a chi negli ultimi tempi della sua vicenda politica si era proclamato Nuovo Dioniso, cioè Marco Antonio. È evidente che, nel corso dell’ultimo decennio del I sec. a.C., si ricompatta un ‘partito’ di ispirazione antoniana che poteva intercettare i diversi oppositori di Augusto. Questa parte politica anima anche un circolo letterario, la cui produzione letteraria, ad esempio la Diomedea di Iullo Antonio e il carmen de bello Actiaco, si oppone ad Augusto e agli intellettuali del suo entourage, primo fra tutti Virgilio autore dell’Eneide. In buona sostanza, questi oppositori, alcuni dei quali sono esponenti autorevoli della stessa corte di Augusto, reagiscono al conservatorismo augusteo che compiaceva i nostalgici repubblicani. Questo gruppo eterogeno preme per imprimere alla monarchia una vera e propria svolta autocratica, secondo il modello della regalità ellenistico-orientale. Giulia Maggiore arriverebbe addirittura ad accusare Tiberio di non essere alla sua altezza, secondo quanto riportato da Tacito55: fuerat in matrimonio Tiberii florentibus Gaio et Lucio Caesaribus spreveratque ut imparem (sposata a Tiberio quando ancora erano vivi Caio e Lucio Cesari, lo disprezzava come se non fosse un suo pari). È stato sottolineato56 che Giulia Maggiore considerava inferiore a lei il marito Tiberio, anche perché gli rinfacciava che soltanto grazie a lei aveva ottenuto gli incarichi militari più importanti. Come è evidente, l’accusa, se mai era stata pronunciata da Giulia Maggiore, era del tutto pretestuosa, perché la prestigiosa carriera di Tiberio era cominciata ben prima del loro matrimonio.
Infatti, tra le altre cariche, dopo avere partecipato molto probabilmente in qualità di legatus Augusti alla missione in Armenia, nel 16 a.C. è pretore e si sposa con Vipsania Agrippina, figlia di Agrippa; successivamente è legatus Augusti pro praetore in Gallia, nel 13 a.C. è console assieme a Publio Quintilio Varo e dal 12 a.C. iniziano le sue campagne militari come legatus Augusti in Pannonia e in Dalmazia57. Va notato, per altro, che il progressivamente sempre più conflittuale clima del matrimonio con Giulia Maggiore può essere uno dei motivi per spiegare il temporaneo ritiro di Tiberio dalla vita pubblica e politica, per il tramite dell’auto esilio a Rodi. Tacito58 afferma che il disprezzo che Giulia Maggiore nutriva per il marito era la vera ragione (intima causa) per il ritiro a Rodi.
In realtà, Tacito ha ben colto il dibattito ideologico all’interno della domus del princeps: Giulia Maggiore si considera nipote di un divus (Caio Giulio Cesare) e figlia di un imperatore che sarebbe stato certamente divinizzato dopo la sua morte (Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto). È la gens Iulia, che discende da Venere, che è predestinata a reggere le sorti dell’impero e l’unica Giulia che può essere tramite di questo governo è la stessa Iulia (Maior). Non può essere un caso che Augusto predisponga per testamento la volontà di creare un’altra Iulia, con l’adozione, emblematico strumento del patriarcato romano, della moglie Livia, che porterà l’ancor più prestigioso nome di Iulia Augusta59, per non permettere che le due Iuliae (Maior e Minor), madre e figlia, rappresentando le istanze devianti della politica imperiale, potessero caratterizzare negativamente l’armonia delle due anime della domus, giulia e claudia, in cui Augusto, evidentemente, riponeva le sue speranze per il futuro dell’impero. L’imperatore aveva infatti commissionato al poeta Orazio un’opera che celebrasse le vittorie del figliastro Druso Maggiore sulle popolazioni alpine dei Reti e dei Vindelici. In questa opera60 sarebbe messa in risalto l’importanza paritetica della discendenza, naturale e acquisita, di Druso Maggiore, vittorioso per la gloria di Roma.
È evidente la totale ambiguità della figura di Giulia Maggiore che le fonti registrano a distanza di secoli: il modello femminile tradizionale non è più adeguato a rispecchiare l’effettivo cambiamento politico delle donne romane61. La figlia di un imperatore, e soprattutto la madre di un futuro imperatore, può ritenersi superiore a un illustre aristocratico. Se Giulia Maggiore aveva rappresentato, con i suoi numerosi figli, il modello femminile che Augusto intendeva proporre, invece il ruolo della maternità del futuro imperatore ‘smaschera’ l’ipocrisia augustea. In una società e in una mentalità evidentemente cambiate e impossibilitate a tornare alle mitiche origini, Giulia Maggiore non intende rinunciare al suo ruolo politico di madre dell’erede designato e Augusto deve condannarla come adultera e relegarla, allontanandola dai figli. L’iconica madre del 18-17 a.C., simbolo della politica di restaurazione del padre, diventa un’adultera sovversiva che il pater imperatore, titolare effettivo dei diritti su di lei, nonostante le numerose maternità, provvede ad eliminare e a ribadire la cultura del patriarcato.
È evidente la contrapposizione tra i due modelli femminili: quello positivo offerto dalla coppia sorella/moglie (Ottavia e Livia) e quello negativo rappresentato dalla figlia Giulia Maggiore. I meriti di Livia, riconosciuti pubblicamente, sono quelli di essere sposa fedele di Augusto e madre di due figli, Tiberio e Druso Maggiore, nati, così recita la propaganda, per il pubblico bene, narrazione che prefigura la costruzione della sua immagine quale “madre della patria”62. Augusto e i componenti della sua famiglia, giulia e claudia, assumono progressivamente un ruolo pubblico e le loro azioni diventano un modello di comportamento. Augusto amministra lo stato come un nobile repubblicano governava la sua domus: i suoi schiavi e i suoi liberti si occupano di amministrazione finanziaria, sua moglie riceve ospiti stranieri, i suoi figli e nipoti comandano i reparti dell’esercito romano e lui stesso, in qualità di pater, nello stesso tempo familias e patriae, alleva i figli dei nemici sconfitti e quelli di re alleati nella sua casa. Tutti questi fattori contribuirono all’istituzionalizzazione della famiglia di Augusto come parte fondamentale dello stato romano. I media di allora (statuaria e rilievo, poesia, pubbliche iscrizioni) confermano che la domus di Augusto è diventata una istituzione pubblica e questo ha comportato anche una nuova visibilità per le donne e un nuovo rapporto fra famiglia e dovere civico.
La repressione di Augusto del comportamento ‘deviante’ di Giulia Maggiore è inesorabile63: nonostante sia sua figlia, oppure proprio per questo, la donna incomincia a subire una qualche forma di marginalizzazione pubblica, in quanto non può partecipare ai festeggiamenti in onore del marito Tiberio e a Iullo Antonio viene impedito di continuare il suo prestigioso cursus istituzionale. Nel 2 a.C. Augusto denuncia pubblicamente la figlia per immoralità. Ci si può chiedere quali siano le motivazioni contingenti che abbiano spinto Augusto alla soluzione estrema e definitiva. Già console nel 1 d.C., Caio Cesare si reca in Oriente nel 2 d.C. e Augusto non vuole certamente che il giovane possa essere mal consigliato nel corso dello svolgimento di questa delicata missione. Augusto non può tollerare che Caio possa intraprendere a sua volta una politica non in linea con la diplomazia promossa dallo stesso imperatore e condivisa con Tiberio. Abbiamo infatti visto che una delle accuse più forti che l’entourage di Iullo muoveva ad Augusto era proprio quella di avere rinunciato alla conquista della Partia, come, invece, avrebbero voluto Giulio Cesare e Antonio. Augusto, pertanto, gioca d’anticipo e sottrae i due figli adottivi alla influenza materna. Con la condanna politica di Giulia Maggiore, madre di Caio Cesare, sia pure mascherata da repressione della sua condotta immorale, Augusto ottiene la realizzazione di due obiettivi: rimettere al centro della politica la questione della moralità femminile e mantenere un equilibrio tra le diverse istanze politiche presenti all’interno della sua stessa famiglia, ovvero il nuovo centro di potere.
La condanna a morte di Iullo Antonio e all’esilio di Giulia Maggiore sancisce la loro definitiva sconfitta politica, anche se, non molto tempo dopo, nell’8 d.C., la figlia di Giulia Maggiore, Giulia Minore, sarà implicata assieme al marito Lucio Emilio in un altro complotto politico ai danni non più tanto del nonno, quanto della ormai acclarata successione di Tiberio.
Va notato che alla figlia e alla nipote Augusto proibisce la sepoltura nel suo mausoleo, come attesta Svetonio64: Iulias filiam neptemque, si quid iis accidisset, vetuit sepulcro suo inferri (proibì che le due Giulie, figlia e nipote, fossero deposte nel suo sepolcro, quando fossero morte). Anche il funerale (funus), infatti, ovvero tutto l’apparato cerimoniale connesso alla sepoltura di un esponente della famiglia imperiale, era senz’altro un efficace strumento di propaganda politica, perché si basava sul tradizionale culto dei morti romano che diventa strumento di coesione dell’intero corpo civico attorno alla personalità carismatica dell’imperatore.
Giulia Maggiore viene esiliata a Pandataria (odierna isola di Ventotene, al largo della costa tra Lazio e Campania), viene probabilmente privata anche del suo patrimonio ed è costretta a vivere in ristrettezze economiche e sotto un rigido controllo. Va notato quello che afferma Velleio Patercolo, testimone oculare di queste vicende65: Giulia deve essere allontanata dalla patria e dai parentes (da intendersi Augusto e la moglie Livia). Si può quindi ritenere che il comportamento di Giulia Maggiore, proprio come quello di una Vestale incestuosa, abbia contaminato la famiglia e la patria e il nuovo pater patriae Augusto deve allontanare definitivamente il contagio mortale, come attesta anche Svetonio66: Iuliae uxori (scil. Tiberii) … ut ex constitutione patris uno oppido clausam domo quoque egredi et commercio hominum frui vetuerit (alla moglie Giulia … chiusa per ordine del padre in una sola città vietò di uscire di casa e di incontrare uomini).
‘Principessa del popolo’ ante litteram, Giulia Maggiore è invece molto amata dalla gente, come attestano esplicitamente Svetonio67 e Cassio Dione68. Augusto non la perdonerà mai, ma la fa trasferire attorno al 4 d.C. in un nuovo esilio a Reggio Calabria lenioribus paulo condicionibus (con condizioni di vita un pochino più miti)69. In questo luogo, infatti, erano di stanza distaccamenti della flotta occidentale di capo Miseno che avrebbero potuto controllare le eventuali frequentazioni di Giulia Maggiore e riferirle prontamente ad Augusto70. In ogni caso, in questa stessa città Giulia Maggiore muore, poco dopo il suo stesso padre, forse per cause naturali, o forse per esplicita volontà del nuovo imperatore Tiberio, il suo ex-marito, nel frattempo succeduto ad Augusto. Secondo Tacito, Giulia Maggiore morì inopia ac tabe71. Queste parole di Tacito si prestano a interpretazioni divergenti: si può trattare, infatti, di un riferimento alla mancanza di cibo e alle ristrettezze in cui Giulia Maggiore era obbligata a vivere. La parola tabes, però, può significare anche malattia contagiosa. È stata pertanto avanzata l’ipotesi72 che la figlia di Augusto sia morta per problemi di salute più gravi che l’indebolimento dato dalla mancanza di cibo, e cioè per una malattia polmonare, ad esempio la tubercolosi.
Le testimonianze degli storici antichi sulla precisa data di morte di Giulia Maggiore non concordano: Tacito73 parla di Giulia impietosamente: esiliata dal padre per la sua dissolutezza (ob impudicitiam) prima a Pandataria, poi a Reggio presso lo stretto di Sicilia, aveva sposato Tiberio quando i figli Caio e Lucio Cesari erano due luminose speranze (florentibus), mentre la stessa Giulia, come abbiamo già visto, disprezzava il marito Tiberio. Lo stesso Tacito afferma che Giulia muore eodem anno del padre, vale a dire nel 14 d.C., mentre Cassio Dione74 registra la sua morte tra gli avvenimenti dell’anno 17 d.C. È probabile che abbia ragione Tacito, in quanto è verosimile che Tiberio volesse chiudere i conti con il passato, facendo contestualmente eliminare sia Giulia Maggiore, sia Agrippa Postumo, come vedremo.
3. Il complotto di Giulia Minore
Giulia Minore75 è figlia di Marco Agrippa e di Giulia Maggiore. Sposa nel 4 a.C. Lucio Emilio Paolo, nipote di Scribonia, per il tramite di Cornelia, la figlia che Scribonia aveva avuto dal primo marito, Publio Cornelio Scipione Salvitone76. La loro figlia, Emilia Lepida, sposerà il console del 19 d.C. Marco Giunio Silano Torquato, appartenente a una gens di illustre ascendenza. L’acquisita parentela con la famiglia imperiale rende teoricamente i Giunii Silani capaces imperii, provocandone la falcidia progressiva fino all’età neroniana77. Anche Giulia Minore è accusata di adulterio e condannata all’esilio, come la madre, in quanto anche lei è esponente di spicco di quella parte di corte adesso antagonista non più tanto all’anziano Augusto, quanto al suo successore designato Tiberio. Nell’8 d.C. Giulia Minore e il marito Lucio Emilio Paolo cadono in disgrazia. Nello stesso periodo ad Agrippa Postumo, l’ultimo figlio di Agrippa e di Giulia Maggiore e quindi l’ultimo erede diretto del sangue dei Giulii, viene revocata l’adozione già concessagli da Augusto e il giovane principe viene esiliato a Sorrento.
Evidentemente, siamo di fronte a un acceso scontro dinastico fra i due rami della dinastia giulio-claudia. Il supposto comportamento immorale e arrogante attribuito dalle fonti78 ad Agrippa Postumo come causa del suo allontanamento, pertanto, va interpretato alla luce di questo dissidio all’interno della corte, così come i presunti adulteri della madre e della sorella. I progetti del circolo politico che faceva capo a Giulia Minore dovevano puntare su Agrippa Postumo come successore di Augusto, contro Tiberio, appoggiato dall’entourage di Livia. Come la madre, Giulia Minore può contare su un forte sostegno popolare.
Come è noto, nella congiura di Giulia Minore e di Lucio Emilio Paolo è implicato in qualche modo il poeta Ovidio79, che, per questo motivo, viene esiliato da Augusto a Tomi sul Mar Nero, e mai più fatto rientrare a Roma, nonostante i numerosi e accorati appelli del poeta all’imperatore. Ovidio stesso si imputa di due crimini, un carmen e un error. Se il carmen può essere l’Ars amatoria80, non troppo ben visto dal rinnovato e sempre più montante moralismo augusteo, l’error è tuttora ignoto, ma, con ogni probabilità, va collegato al comportamento di Emilio Paolo e di Giulia Minore. Comunque, tutti gli aspetti di questa congiura non sono sufficientemente noti. Sicuramente erano antagonisti di Tiberio, di cui criticavano abbastanza apertamente il comando militare81. Queste critiche a Tiberio e al suo entourage, unitamente al loro stile di vita lussuoso in un periodo di guerre, carestie e pestilenze, li rendeva chiaramente attaccabili da un punto di vista politico e quindi vulnerabili. La repressione di Augusto non si fa attendere: Emilio Paolo e gli altri aristocratici implicati sono probabilmente condannati a morte, Giulia Minore è esiliata.
Svetonio82 attesta espressamente che Lucio Emilio Paolo è autore di una cospirazione politica (coniuratio), scoperta prima che diventasse pericolosa grazie al fatto che è stata denunciata da delatori. Le analogie fra i due episodi, che vedono implicate le due Giulie sono forti, non soltanto perché sono coinvolte in accuse simili madre e figlia, ma anche perché c’è un’indubitabile continuità tra i circoli politici cui facevano capo gli amici delle due Giulie, ostili alla tradizione repubblicana e aperti alla cultura orientale, soprattutto a quegli aspetti che, forti del sostegno popolare, costituivano il supporto ideologico per un principato caratterizzato da una decisa spinta autocratica. L’entourage politico che faceva capo a Giulia Minore, così come quello della madre Giulia Maggiore, evidentemente, promoveva un modello di stato antitetico al conservatorismo tiberiano e puntava su un avvicinamento fra monarca e popolo “attraverso un ridimensionamento del rapporto di collaborazione e conciliazione promosso da Augusto con il senato”83. A causa della caduta in disgrazia dei genitori della propria fidanzata, il futuro imperatore Claudio, ultimogenito di Druso Maggiore e di Antonia Minore, rompe il fidanzamento che risale agli anni tra il 4 e l’8 d.C. con Emilia Lepida, figlia appunto di Emilio Paolo e Giulia Minore, a riprova, ancora una volta, dell’importanza delle strategie matrimoniali nella definizione della domus Augusta. Svetonio84 attesta espressamente che il fidanzamento viene interrotto quod parentes eius Augustum offenderant (perché i genitori della ragazza avevano offeso Augusto).
Quali erano le prospettive politiche di Emilio Paolo e di Giulia Minore? Per rispondere a questa domanda ci può essere d’aiuto la caratterizzazione nelle fonti letterarie del fratello di Giulia Minore, Agrippa Postumo, che è del tutto impietosa. È infatti presumibile che queste stesse fonti tramandino un resoconto fortemente inquinato dal ruolo che lo stesso Agrippa Postumo ha potuto avere nella successione di Augusto, in quanto nipote e portatore del carismatico sangue dello stesso imperatore. Nel 4 d.C., quando il giovane viene adottato dal nonno materno, e padre adottivo dei suoi fratelli Caio e Lucio Cesari, Agrippa Postumo assume, evidentemente, una posizione di rilievo nella successione. È possibile che diventi il successore in pectore auspicato del ramo giulio della famiglia, dopo che Augusto aveva esiliato Giulia Maggiore e dopo che erano morti Caio e Lucio Cesari 85. Agrippa diventa, forse suo malgrado, il simbolo della volontà dei Giulii di opporsi alla successione del ramo claudio all’interno della dinastia. Forse per prevenire quello che poi invece accade con la congiura di Giulia Minore, lo stesso Augusto nel 6 d.C. decide di allontanare Agrippa Postumo da Roma e di esiliarlo definitivamente prima a Sorrento e poi a nell’isola di Planasia, odierna Pianosa. Pare quindi di potere evincere che il fine del progetto politico di Giulia Minore e del marito Lucio Emilio Paolo fosse quello di fare succedere ad Augusto non Tiberio, bensì Agrippa Postumo.
È altamente probabile, però, che Augusto voglia, fino all’ultimo, garantire un accordo tra le due anime della sua famiglia e che quindi si proponga di avviare la possibilità di riabilitare il nipote86. Augusto si reca pertanto a Pianosa accompagnato dal console dell’11 a.C. Paolo Fabio Massimo. Stando al racconto delle fonti87, il duro imperatore, reso evidentemente più fragile dall’avanzare degli anni, e il figlio ripudiato si sarebbero molto commossi entrambi, fino alle lacrime, si sarebbero abbracciati e per questo motivo si poteva sperare che il giovane potesse essere riammesso nella casa del padre (penatibus avi).
Augusto, però, muore il 19 agosto del 14 d.C. e gli eventuali suoi progetti sulla riabilitazione dell’ex figlio adottivo non sono in sintonia con quelli del successore Tiberio. Lo storico Tacito88 può scrivere nei suoi Annali che il primo atto del principato di Tiberio, con la complicità della madre Livia, è stato l’assassinio di Postumo Agrippa. Ci si è a lungo interrogati sull’effettivo mandante di questa uccisione, anche perché secondo Cassio Dione89 il responsabile Tiberio aveva contribuito a depistare le indagini. In ogni caso, Agrippa Postumo, che discendeva direttamente dall’ormai divus Augustus per il tramite materno, rappresentava un serio pericolo per la successione di Tiberio e per i gruppi politici che in lui si riconoscevano. Ancora una volta ‘la prova del sangue’ poteva essere decisiva e quindi essere temuta da chi ne era priva, ma che aspirava al potere. In ogni caso, il vero mandante dell’esecuzione di Agrippa Postumo (Augusto, Livia, Tiberio, un ufficiale superiore o altri) resta a tutt’oggi sconosciuto90.
Tacito91 afferma che Tiberio faceva di tutto perché si credesse che Augusto in persona avesse dato l’ordine al tribuno militare che aveva in custodia Agrippa Postumo di uccidere il ragazzo non appena avesse saputo che l’imperatore in carica era morto. Tacito, però, sottolinea giustamente che Augusto non avrebbe mai fatto uccidere uno dei suoi, intendendo un maschio portatore del suo sangue gentilizio per il tramite materno, per garantire, invece, la sicurezza di un figliastro, e cioè Tiberio, figlio di primo letto della moglie Livia. Tiberio, invece, aveva ragione di temere Agrippa Postumo, soprattutto perché i Giulii potevano contare in questo momento su vasti ed eterogenei consensi, soprattutto militari. Il fantasma di Marco Antonio era più vivo che mai.
Le descrizioni dei personaggi, maschili e femminili della corte imperiale giulio-claudia, vanno interpretate sulla base del filtro di questi dissidi interni, così come i presunti adulteri della madre e della sorella di Agrippa Postumo, rispettivamente Giulia Maggiore e Giulia Minore. I progetti del circolo politico che faceva capo a Giulia Minore dovevano puntare su Agrippa Postumo come successore di Augusto, contro Tiberio, appoggiato dall’entourage di Livia. Dopo la morte di Agrippa Postumo, il circolo di un’altra sorella di Giulia Minore, Agrippina Maggiore, può a provare a utilizzare la memoria nel fratello per favorire la successione del marito Germanico, il fratello maggiore di Claudio, che stava combattendo del fronte renano. Anche in questo caso, però, l’azione dei Giulii non ha l’esito sperato, Germanico muore in circostanze misteriose nel 19 d.C. e Tiberio rimane saldamente al potere92.
4. Altre donne problematiche: Claudia Livia Giulia e Valeria Messalina
Con la narrazione delle vicende di Giulia Maggiore e della figlia Giulia Minore le fonti letterarie inaugurano la categoria delle donne ‘pericolose’, per così dire. Si tratta di donne che con la loro sessualità o, meglio, con la loro maternità possono, o meno, assicurare la stabilità all’impero romano oppure destabilizzare la successione dell’imperatore. Parimenti, il matrimonio con un’Augusta, vale a dire con una donna che fa parte della domus dell’imperatore, può diventare fonte di legittimazione per l'aspirazione al potere imperiale. Emblematico è il caso di Claudia Livia Giulia in età tiberiana e di Valeria Messalina in età claudia. Infatti, in età giulio-claudia la successione imperiale non è ancora stabilita in modo incontrovertibile. Si aprono pertanto degli spazi attraverso i quali il matrimonio con una Augusta, intesa come parente stretta dell’imperatore regnante (moglie, figlia, nuora), può essere presentato come forma di legittimazione nell’aspirazione al potere imperiale: è questo il caso, a mio parere, del prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano e del console designato Caio Silio, rispettivamente con Claudia Livia Giulia (nuora di Tiberio) e con Valeria Messalina (moglie di Claudio)93.
Claudia Livia Giulia94 è figlia di Druso Maggiore (Nero Claudius Drusus) e di Antonia Minore e, pertanto, è la sorella di Germanico e di Claudio, il futuro imperatore. Si sposa in prime nozze nell’ 1 a.C.95 con Gaio Cesare, il nipote naturale di Augusto adottato da quest’ultimo. Non mi sembra che ci siano motivi validi per dubitare dell’esistenza di questo primo matrimonio, come invece propone Susan Wood96, in quanto questo matrimonio viene citato espressamente dalle fonti97, sia da Tacito, che riporterebbe le parole di Tiberio, che da Cassio Dione98. Rimasta vedova nel 4 d.C., Livia Giulia sposa Druso Minore (Nero Claudius Drusus, poi chiamato Drusus Iulius Caesar dopo l’adozione del padre da parte di Augusto)99, il figlio che Tiberio aveva avuto dalla prima moglie Vipsania Agrippina, figlia di Marco Agrippa e della prima moglie Cecilia Attica, figlia dell’amico e corrispondente di Cicerone.
La propaganda imperiale dà ampio risalto all’equilibrio dei due rami della famiglia giulio-claudia. Tale equilibrio si fondava principalmente sulla concordia dei due giovani principi, Germanico (figlio di Druso Maggiore e di Antonia Minore e marito di Agrippina Maggiore), e lo stesso Druso Minore100: sed fratres egregie concordes et proximorum certaminibus inconcussi (Tuttavia i due fratelli andavano d’amore e d’accordo, del tutto indifferenti alle lotte dei parenti). Tale concordia doveva, allo stesso tempo, caratterizzare l’immagine pubblica delle loro consorti: due Giulie erano mogli di due Neroni Claudii Drusi Giulii Cesari. Secondo Tacito101, invece, questa supposta armonia a corte era del tutto fittizia, in quanto la stessa corte era suddivisa in due fazioni, una a favore di Germanico e l’altra di Druso Minore. Agrippina Maggiore, inoltre, poteva contare sulla sua eccezionale prolificità, che rispondeva appieno a quanto stabilito dalla legislazione augustea degli anni 18-17 a.C. e ribadita nel 9 d.C.
Dopo la nascita di una bambina, chiamata Giulia Livia102, Claudia Livia Giulia dà alla luce due maschi gemelli, poco dopo la morte del fratello Germanico avvenuta nel 19 d.C.103. Ancora una volta Tacito è molto lucido nell’analisi delle vicende della corte tiberiana: se da un lato l’imperatore era molto contento di queste nascite, dall’altro questo parto gemellare andava a tutto vantaggio della famiglia di Druso, mentre rendeva più precaria quella di Germanico. Lo stesso Tacito104 mette in evidenza il fatto che a partire dal 23 d.C. il prefetto del pretorio Seiano tendeva a occupare una posizione di sempre maggiore prestigio nella corte imperiale tiberiana, ma, aggiunge lo stesso Tacito, questa casa era già piena di Cesari105 (ceterum plena Caesarum domus). Sempre secondo il racconto tacitiano, Seiano pensa di eliminare tutti questi numerosi Cesari che erano di ostacolo al suo progetto politico, vale a dire di raggiungere il pieno potere diventando imperatore106 (parando regno). Il primo ostacolo è rappresentato da Druso Minore che nel 21 d.C. aveva assunto il II consolato107 e che aveva accusato esplicitamente il padre di cercare un adiutorem imperii alium … ut collega dicatur (un altro collaboratore al comando che si definisca collega)108.
A questo punto della sua narrazione Tacito inserisce la più completa e drammatica descrizione di Claudia Livia Giulia tramandataci dalle fonti109: sgraziata e bruttina da bambina, era diventata una donna bellissima e di grande fascino; Seiano la seduce e, di conseguenza, Livia Giulia non può più dirgli di no, dato che aveva perduto la rispettabilità e l’onore matronale: neque femina amissa pudicitia alia abnuerit, secondo un’espressione lessicale che risale almeno al racconto liviano delle vicende di Lucrezia110, presente anche in Sallustio nella descrizione di Sempronia nella Congiura di Catilina111. Claudia Livia Giulia viene accusata di avere assassinato il marito Druso Minore, per compiacere Seiano, indotta dal desiderio narcisistico di regnare accanto al suo nuovo marito (ad coniugii spem, consortium regni et necem mariti impulit). Tacito è sinceramente inorridito per il fatto che una matrona come Claudia Livia Giulia, nipote di Augusto, nuora di Tiberio, madre dei figli di Druso Minore, abbia deciso di contaminare se stessa e il suo aristocratico genere con un amante di origine municipale, affascinata dalla torbida atmosfera del delitto e dalla perversione.
Anche il racconto di Cassio Dione è molto puntuale, segno che nella tradizione la vicenda di questa donna aveva lasciato un segno indelebile: nella narrazione degli avvenimenti relativi al 23 d.C. viene anticipato che la morte di Druso Minore avrebbe causato la sventura dei molti che ne avevano gioito112: sarebbero stati infatti uccisi Agrippina Maggiore e due dei suoi figli maschi, Nerone e Druso. Secondo il resoconto di Dione, Seiano, infatti, aveva sempre cercato di isolare politicamente Agrippina Maggiore e i suoi figli, perché pensava che dopo la loro morte avrebbe potuto sposare Livia, la moglie di Druso, che amava, e di impossessarsi del potere, perché non ci sarebbe stato più nessun successore di Tiberio; l’imperatore, infatti, non amava il nipote, Tiberio Gemello, perché lo riteneva frutto di un adulterio. Seiano raggiunge l’apice del suo potere nel 31 d.C., quando diviene console assieme all’imperatore per i primi sei mesi dell’anno113, ma Tiberio sta già progettando la sua eliminazione, in quanto era fortemente preoccupato che Seiano divenisse imperatore al suo posto114. Tiberio gli conferisce l’imperium proconsulare115, ma gli vieta di andare in Campania a trovare la sua fidanzata malata. Tiberio lo denuncia con una lettera in senato: Seiano viene imprigionato116, muore per strangolamento in carcere il 18 ottobre del 31 d.C. e i suoi tre figli vi sono parimenti giustiziati poco tempo dopo. La figlia femmina (Aelia) Iunilla, già fidanzata con il giovane Druso, figlio di Claudio, futuro imperatore, e della sua prima moglie Plautia Urgulanilla, sarebbe stata prima stuprata dal carnefice117, poiché non era consentito che una vergine fosse uccisa in carcere. La moglie divorziata di Seiano, Apicata, non viene condannata, ma, poco dopo la morte dei figli, si suicida. Prima di morire, però, aveva scritto una lettera a Tiberio con cui lo informava che il figlio Druso Minore non era morto di morte naturale nel 23 d.C., ma che era stato avvelenato da Seiano e dalla sua amante Livia Giulia. Quest’ultima, pertanto, viene messa a morte per volontà di Tiberio o della stessa madre Antonia Minore118.
La dottrina si è interrogata sulle motivazioni del comportamento e del suicidio della ex-moglie di Seiano: si è pensato alla banale gelosia femminile nei confronti della rivale in amore Livia Giulia119, oppure al desiderio di colpire di Tiberio che le aveva fatto uccidere i figli. Forse Apicata si è voluta vendicare con una falsa accusa di avvelenamento, come suppone Barbara Levick120. La maggior parte degli studiosi ritiene, infatti, del tutto inverosimile l’avvelenamento di Druso Minore da parte della coppia ‘diabolica’ costituita da Seiano e da Livia Giulia121 Di questo supposto avvelenamento non c’è nessuna prova concreta e sembra essere, piuttosto, una vicenda costruita a posteriori, indubbiamente in seguito al fallimento della coniuratio Seiani (la congiura di Seiano) e alla esecuzione i quest’ultimo nel 31 d.C., per screditare ulteriormente i congiurati. Apicata si uccide il 26 ottobre del 31 a.C. e la sua morte è registrata nei Fasti Ostienses122: [Apicata] Seiani (uxor) se occidit (la moglie di Seiano Apicata si è uccisa).
È stato sostenuto123, a mio parere non correttamente, che Claudia Livia Gulia e Seiano si fossero effettivamente sposati e che pertanto la moglie menzionata nei Fasti Ostienses sia la stessa Claudia Livia Giulia. Invece, va sottolineato che un documento ufficiale come i Fasti Ostienses riporta la data del suicidio di Apicata, dello strangolamento di Seiano in carcere124 e del figlio primogenito Strabone125 e, successivamente, della eliminazione della coniuratio Seiani126, mentre degli altri due figli riporta la dicitura, con la scoperta di un nuovo frammento rispetto all’edizione del CIL, [in Gem(oniis)] / iacuerunt127: sono quindi sopravvissuti, perlomeno, fino al dicembre del 31 d.C.128. Cassio Dione, quindi, non può sostenere il vero quando afferma che tutti e tre i figli di Seiano e di Apicata erano stati uccisi nell’ottobre del 31 d.C. e che per questo motivo la donna aveva scritto la lettera di denuncia del complotto a Tiberio, prima di suicidarsi. È quindi evidente che la condanna di Seiano e del primogenito e il suicidio della moglie sono stati percepiti dalla comunità romana come avvenimenti di tale rilevanza politica da essere registrati in un calendario ufficiale, a riprova che l’azione e il comportamento dello stesso Seiano erano stati un reale e concreto pericolo per il governo di Tiberio. Come è stato giustamente suggerito129, per i redattori dei Fasti Ostienses queste morti vengono celebrate alla stessa stregua di una vittoria militare. Ci si può chiedere il motivo dell’appoggio a Seiano da parte di Claudia Livia Giulia. Aveva davvero perso la testa per amore? In realtà io credo130 che la donna volesse preservare la successione del figlio Tiberio Giulio Cesare Nerone Gemello che, non a caso, verrà fatto uccidere dall’effettivo successore di Tiberio, Caligola, nel 38 d.C., secondo la testimonianza di Svetonio131 e di Cassio Dione132.
Tornando alla congiura di Seiano, dopo la morte di Druso Minore, Tiberio non consente alla nuora di risposarsi, come evidenzia Tacito133. Questo eventuale matrimonio poteva aprire pericolose aperture dinastiche all’interno del quadro che Tiberio intendeva dare alla sua successione134. Claudia Livia Giulia, invece, pensa di sposare Seiano, ritendendo che il prefetto avrebbe garantito la successione al figlio maschio superstite della donna, e non al figlio di Germanico rimasto in vita dopo le epurazioni tiberiane, ovvero Caio, futuro imperatore Caligola. Per Tiberio Seiano può essere un adiutor135 e un socius laborum136, ma in nessun modo può essere un filius. Quando Seiano pensa di chiedere a Tiberio la mano di Claudia Livia Giulia, Tiberio gli risponde che il matrimonio di Livia con Seiano avrebbe destabilizzato la domus Augusta: si matrimonium velut in partes domum Caesarum distraxisset137 e aggiunge: falleris enim, Seiane, si te mansurum in eodem ordine putas, et Liviam, quae C. Caesari, mox Druso nupta fuerit, ea mente acturam, ut cum equite Romano senescat138 (Seiano, ti sbagli di grosso se pensi di rimanere nello stesso ordo e se pensi che Livia, già moglie di Caio Cesare e di Druso, accetti di invecchiare accanto a un cavaliere romano). Seiano gode già di una posizione elevata per volontà dello stesso Tiberio, ma il matrimonio con la nuora del principe lo avrebbe innalzato a una posizione intollerabile rispetto alle cariche già rivestite da Germanico, da Druso Maggiore e dai maiores familiari del princeps. Tiberio può consentire che Seiano acceda al consolato, ma non ne può permettere l’ingresso all’interno della domus Augusta, esclusivamente familiare e gentilizia.
Seiano pensava di legittimare la tentata sua successione a Tiberio attraverso il matrimonio con Claudia Livia Giulia, ma si può ritenere che queste nozze non siano mai avvenute per l’intervento ostativo di Tiberio. Oppure, se Zonara139 scrive correttamente e non fa confusione (come, invece, io sarei propensa a credere), il matrimonio fu effettivamente celebrato140 e Seiano si era imparentato con Tiberio per il tramite di Claudia Livia Giulia. La madre di quest’ultima, Antonia Minore, viene a conoscenza dei progetti di Seiano, chiaramente diretti contro l’ultimogenito maschio di Germanico, Caio, il futuro imperatore Caligola, e ne informa Tiberio. Lo stesso Zonara mette in stretta relazione di continuità gli avvenimenti: Tiberio eleva Seiano a grande fama, ne diventa parente con il matrimonio con Giulia figlia di Druso e lo fece uccidere. Tacito141 allude al fatto che Seiano è stato gener e consulatus socius di Tiberio, Claudiae et Iuliae domus pars. È possibile che questa incertezza delle fonti sia dovuta proprio all’intervento della corte tiberiana nella preparazione della vulgata della vicenda, per cui le notizie sul matrimonio tra Seiano e Claudia Livia Giulia, effettivamente avvenuto o soltanto progettato, siano state sottoposte a filtri e censure, analogamente a quanto sarebbe avvenuto poco meno di vent’anni dopo con l’affaire Silio-Messalina, come vedremo tra breve. Claudia Livia Giulia non rispetta la ferrea logica aristocratica della famiglia e, pertanto, è condannata dalla stessa madre, cui sarà affidata da Tiberio per la soluzione finale: non l’esilio, ma la morte142.
L’altra donna adultera è Valeria Messalina143, terza aristocratica moglie dell’imperatore Claudio che è passata alla storia come la prostituta imperiale (meretrix Augusta), grazie ai ritratti che di lei fanno Giovenale, Tacito, Svetonio e Cassio Dione.
Vale la pena di riportare la descrizione di Giovenale che, a mio parere, rasenta l’assurdità: Quid privata domus, quid fecerit Eppia, curas? / Respice rivales divorum, Claudius audi / quae tulerit. Dormire virum cum senserat uxor, / ausa Palatino tegetem praeferre cubiculi, / sumere nocturnos mere¬trix Augusta cucullos / linquebat comite ancilla non amplius una. / Sic nigrum flavo crinem abscondente galero / intravit calidum veteri centone lupanar / et cellam vacuam atque suam; tunc nuda papillis / prostitit auratis titulum mentita Lyciscae / ostenditque tu¬um, generose Britannice, ventrem. / Excepit blanda intrantis atque aera poposcit; / mox lenone suas iam dimittente puellas / tristis abit, et quod potuit tamen ultima cellam / clausit, adhuc ardens rigidae tentigine volvae, / et lassata viris necdum satiata recessit, / obscurisque genis turpis fumoque lucernae / foeda lupanaris tulit ad pulvinar odorem. / Hippomanes carmenque loquar coctumque venenum / privignoque datum? Faciunt graviora coactae / imperio sexus minimumque libidine peccant144 (“Ti preoccupi di quel che ha fatto una Eppia qualunque in una casa privata? Guarda invece i rivali degli dèi, ascolta invece quello che ha subito Claudio. Non appena si accorgeva che il marito si era addormentato, la moglie osava preferire un misero giaciglio al Palatino e indossava, augusta meretrice, un mantello con il cappuccio e di notte se ne andava con non più di un’ancella al seguito. Nascondendo sotto una parrucca bionda i suoi capelli neri, entrava in un caldo bordello, dietro una vecchia tenda, in una cella vuota che era tutta per lei; e qui si esibiva nuda, con i capezzoli dorati, sotto le mentite spoglie di Licisca, e mostrava, o generoso Britannico, il ventre che ti aveva generato. Faceva godere chi entrava e si faceva pagare; quando il lenone liberava le sue ragazze, anche lei se ne andava tristemente, lasciando la sua cella per ultima, bruciando ancora per la tensione della sua vulva rigida, e se ne tornava a casa stancata da tanti uomini, ma non ancora sazia (lassata viris necdum satiata); con il viso sporco, annerito dal fumo della lucerna, portava la puzza del postribolo nell’alcova imperiale. E dovrei ora parlare dell’ippomane, degli incantesimi, del veleno fatto bollire e somministrato al figliastro. Queste donne, spinte dal desiderio sessuale imperioso, commettono delitti ancora più gravi e la loro libidine è il meno”).
Nonostante Messalina sia la prima esponente dei Giulio-Claudii che partorisce un figlio maschio (Britannico) al marito divenuto da pochissimo tempo imperatore, viene descritta come in preda a una incontenibile passione erotica, una vera e propria ninfomania, fino ad arrivare addirittura a volere sposare l’uomo più bello di Roma (iuventutis Romanae pulcherrimum)145, Caio Silio, console designato per il 49 d.C. Tacito adopera il verbo exardesco, che indica l’incontrollabile libidine femminile, parola già utilizzata dagli scrittori antichi per esemplificare le donne ‘degeneri’ a causa della loro passionalità perversa, ad esempio Clodia, la Lesbia catulliana, secondo la descrizione di Cicerone146. Tacito, dunque, costruisce una scala di valori dei vizi di Messalina, per cui l’impudicitia incontrollabile sarebbe addirittura più forte della sua ambizione al potere
Caio Silio è un aristocratico che in senato si scaglia contro i delatori e i corrotti. Tacito afferma che Messalina aveva una storia passionale con Caio Silio non di nascosto (furtim), ma che, invece, si recava dal suo amante liberamente e impunemente, con servi, liberti e con tutto l’apparato di corte (sed multo comitatu), come se il potere imperiale fosse già transitato in un altro luogo, cioè nella casa dell’adultero (translata iam fortuna)147. Mi sembra evidente che le parole di Tacito suggeriscano una riflessione politica e non esclusivamente di carattere morale. Ci possiamo quindi chiedere: che cosa, in realtà, succede tra Caio Silio e Messalina?
Possiamo pensare che la ‘ninfomane’ Messalina preferisse avere rapporti sessuali con il giovane e aitante Silio piuttosto che con l’anziano e deforme Claudio?148. Oppure che fosse ‘innamorata alla follia’, che Messalina sia una sorta di eroina romantica ante litteram contro cui si scontra l’ottuso razionalismo dei consiglieri del principe149? Per Werner Eck150 Messalina è esclusivamente animata dalla passione erotica, mentre c’è chi sostiene che la “sexualidad libre”151 di Messalina vada interpretata anche come la precisa volontà di sottrarsi al controllo maschile, così da diventare, successivamente, il simbolo della totale negatività del comportamento femminile agli occhi degli uomini romani. Ancora, c’è chi ha pensato152 che Messalina potesse essere affetta da una vera e propria patologia, e cioè l’impossibilità di raggiungere la completa soddisfazione sessuale. Secondo un’altra ipotesi153, si tratterebbe piuttosto di un complotto dei liberti imperiali ai danni di Messalina, che avrebbero presentato a Claudio come la celebrazione di un matrimonio quello che, in realtà, sarebbe stato il semplice cerimoniale di un Baccanale da parte di Caio Silio e di Messalina stessi.
Io penso che l’enfasi che le fonti ascrivono alla sessualità incontrollata e incontrollabile di Messalina, in realtà, sia servita a ‘camuffare’ una congiura politica contro Claudio154, congiura che, come afferma lo stesso Tacito155, mirava all’eliminazione fisica di Claudio. Per presentare alla pubblica opinione il ‘nuovo’ imperatore i congiurati scelgono il matrimonio tra un patrizio e un’appartenente a pieno titolo alla domus Augusta, (Messalina discende, per parte di padre che di madre da Ottavia, sorella di Augusto), matrimonio che, in quanto tale, poteva legittimare in qualche modo questo trasferimento di potere che, di fatto, era del tutto arbitrario.
Tacito e Svetonio sono realmente sbigottiti156 quando leggono o hanno ascoltato dalle loro fonti che è incredibile che il console designato si sposasse alla luce del sole con la moglie dell’imperatore (uxor principis). Svetonio, inoltre, afferma che ciò che supera ogni verosimiglianza è che lo stesso Claudio avesse firmato il contratto di matrimonio fra Messalina e il suo amante Silio. Svetonio tenta una spiegazione, a modo suo, e scrive che a Claudio era stato fatto credere che si trattasse di una pura finzione, allo scopo di allontanare da lui, trasferendolo su di un altro uomo, un pericolo mortale dal quale, secondo alcuni prodigi, l’imperatore era minacciato. Questa versione, se mai aveva circolato e non era frutto del discredito della pubblicistica del tempo per Claudio, evidentemente era stata propagandata dai congiurati allo scopo di fornire legittimità alla loro azione, presentando il matrimonio come valido a tutti gli effetti, quasi una sorta di riproposizione del matrimonio fra Augusto e Livia con la, per così dire, benedizione del precedente marito di lei, Tiberio Claudio Nerone.
Secondo il piano dei congiurati, Claudio doveva essere deposto da un aristocratico di elevato lignaggio che ne sposasse la moglie e che si dichiarasse disposto ad adottarne il figlio Britannico157. Il loro matrimonio doveva essere dunque presentato come legittimo, effettuato in presenza di testimoni e, come tutti i matrimoni validi, destinato ad essere prolifico (liberorum causa). La corte, soprattutto i potenti liberti di Claudio, Pallante, Narcisso e Callisto, non possono attendere l’esito della congiura, ben consapevoli che gli equilibri di corte sarebbero cambiati con la caduta del loro patrono e mentore Claudio e con l’ascesa al potere di Caio Silio. Pertanto, avvertono l’imperatore e gli dicono senza mezzi termini, secondo il racconto delle fonti, che Silio non avrebbe dovuto soltanto consegnare la casa, i servi e l’apparato di corte, ma che avrebbe dovuto prima di ogni altra cosa restituire la moglie e strappare l’atto di matrimonio. Infatti, le nozze erano state viste dal popolo, dai senatori e dai soldati, cioè dalle basi fondamentali della legittimazione imperiale. Se Claudio non avesse reagito, e non si fosse fatto ridare la moglie, Silio tenet urbem (tiene in mano la città)158.
Mi sembra evidente che, nella propaganda dei congiurati, è il matrimonio con l’Augusta che poteva rendere legittimo il potere di Caio Silio. Claudio si risolve ad agire159: la sua repressione è spietata, segno evidente che tale congiura rappresentava un serio pericolo per il suo potere. Il console designato Caio Silio viene condannato a morte assieme a molti complici, anche di elevata posizione, e nulla valgono le suppliche di Messalina che tenta di farsi perdonare, ma che è uccisa da un tribuno160.
Perché Messalina sceglie di stare dalla parte di Caio Silio? Sandra Joshel161 parla espressamente, a questo proposito, di female desire, cioè del desiderio sessuale femminile e del fatto che la scelta del libertinaggio può essere un’opzione femminile valutabile, oggi, in chiave femminista, cioè come libera volontà trasgressiva, antagonista al potere maschile dominante. È evidente che, a livello aristocratico, si tratta di una scelta in ogni caso politica. Questa scelta di Messalina è dovuta, a mio parere162, alla sempre più incalzante presenza di Agrippina Minore o, meglio, dei gruppi di potere che in queste donne si riconoscevano. Se, in un primo momento, pare che Claudio considerasse a tutti gli effetti suo erede Britannico163, è evidente che deve essere successo qualcosa che induce Messalina a non ritenere più sicura la posizione del figlio. È probabile che lo stesso Claudio avesse incominciato a vedere nella nipote Agrippina Minore uno strumento di esaltazione, rispetto a Messalina, del suo legame con il fratello Germanico e con la cognata Agrippina Maggiore, sempre amati dalle truppe e dal popolo di Roma, basi fondamentali delle manifestazioni di consenso al principe.
Non va dimenticato che Tacito descrive una Messalina sempre più irritata e crudele: ad esempio, in occasione dei Giochi Troiani, cui partecipavano i giovani aristocratici nel corso dei Ludi Secolari. Durante questi giochi organizzati da Claudio nel 47 d.C., la plebe avrebbe applaudito con maggiore entusiasmo Lucio Domizio Enobarbo, figlio di Agrippina Minore e futuro imperatore Nerone, piuttosto che Britannico, figlio dello stesso imperatore e di Messalina164. Lo stesso Tacito165, parlando dell’affetto popolare per il giovane Nerone piuttosto che per Britannico, evoca la memoria Germanici, cuius illa reliqua suboles virilis (il ricordo di Germanico, di cui rimaneva quella unica discendenza maschile). Va rilevato che il legame tra Caio Silio e Messalina, formalizzato o meno da un matrimonio, viene interpretato da Claudio e dai suoi consiglieri in termini politici e come tale risolto. La successiva vulgata dell’intera faccenda viene elaborata negando la valenza politica dell’accaduto e dando tutte le colpe alla libidine letale di Messalina. Questa stessa vulgata deve essere stata perfezionata da Nerone, che, diventato imperatore, può pensare di trovare nella definitiva elaborazione della ‘leggenda nera’ di Messalina una sorta di giustificazione per l’assassinio dei due figli di Messalina stessa, Ottavia e Britannico, colpevoli di discendere da una madre adultera e assassina.
5. Il ruolo politico delle due Giulie
Ritornando alla prima donna ‘pericolosa’ per l’ordine costituito del primo impero, ovvero Giulia Maggiore, che rappresenta il focus di questo articolo, vorrei aggiungere che, a ben vedere, l’ambiguità della sua caratterizzazione storica si riflette anche nella produzione letteraria e poetica coeve. Il modello letterario è fondamentalmente costituito dalla vicenda Lucrezia, la virtuosa moglie di Tarquinio Collatino di Collazia raccontata da Livio166. Infatti, secondo la narrazione di Livio, la leggendaria Lucrezia è il cosiddetto modello formatore della donna di indubitabile moralità (spectata castitas) e, pertanto, molto difficile da espugnare. Sono state indagate di recente167 le finalità della ricostruzione in età augustea dei modelli leggendari, anche femminili, allo scopo di elaborare schemi di comportamento utilizzabili nella nuova società augustea.
La vicenda di Lucrezia è molto nota168: i giovani nobili latini ed etruschi sono impegnati nell’assedio della città latina di Ardea. Dato che, fondamentalmente, si annoiano, decidono di fare una scommessa (tipicamente maschile) su chi avesse l’onore di avere sposato la matrona più virtuosa e, nottetempo, decidono di andare a verificare di persona. A Collazia, patria di Tarquinio Collatino, la moglie di quest’ultimo, Lucrezia, è impegnata a lavorare la lana e a tessere al telaio, seduta al centro della casa, assistita dalle ancelle. Le nuore del re, invece, sono intente a spassarsela tra banchetti e divertimenti assieme alle loro dame di compagnia. I due modelli femminili, romano ed etrusco, non potrebbero essere più antitetici. Lucrezia, dunque, ottiene la palma della matrona più virtuosa.
Il figlio del re Tarquinio il Superbo, Sesto Tarquinio, allora, viene allora preso dal desiderio sessuale (mala libido secondo le parole di Livio, mala perché indirizzata verso una matrona ‘intoccabile’) che lo porta a volere avere un rapporto sessuale con Lucrezia, eccitato dalla sua bellezza e dalla sua spectata castitas. Lucrezia deve accogliere come ospite il figlio del re, quando questi, il giorno successivo, si presenta alla sua porta. La stessa Lucrezia deve soccombere allo stupro, in quanto è ricattata da Sesto Tarquinio che viene descritto secondo i tipici tratti del tiranno ottuso e violento: se si fosse opposta, l’uomo la avrebbe uccisa e doppiamente disonorata, perché avrebbe posto accanto al suo cadavere il corpo di uno schiavo nudo.
La fine della storia è scontata: l’oltraggiata Lucrezia non può che uccidersi al cospetto del padre e del marito, i titolari della manus su di lei. Lo stupro da parte di Sesto Tarquinio, infatti, ne ha infangato definitivamente la rispettabilità (expugnato decore muliebri) e la perdita dell’onore (amissa pudicitia) la obbliga, per così dire, al suicidio, affinché nessuna matrona, seguendo il suo esempio, possa vivere disonorata (nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet)169. È evidente che queste parole interpretano perfettamente il montante conservatorismo augusteo in materia di legislazione sessuale, di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo: l’adulterio, ovviamente femminile, diventa con Augusto un crimen la cui giurisdizione è avocata allo stato, è punito con l’esilio (come abbiamo visto a proposito di Giulia Maggiore) e vengono imposti a tutti i Romani il matrimonio e la procreazione di figli legittimi170. Molti aristocratici della capitale si oppongono aspramente, però, a questa legislazione, tanto che parecchie matrone non esiterebbero a farsi iscrivere nelle liste delle foeminae famosae, cioè delle prostitute e assimilate, per potere utilizzare liberamente la propria sessualità e per sottrarsi ai vincoli della legge171. Parimenti, anche molti intellettuali di età augustea non sono allineati a questi stile e ideologia di vita.
Se la castitas matronale viene riproposta da Augusto come valore primario dalla sua legislazione del 18/17 a.C. per il tramite delle leges Iuliae de maritandis ordinibus e de adulteriis coercendis, in realtà la questione del pudor affrontata dai poeti di età augustea è senz’altro più complessa e articolata. Ad esempio, il pudor di Didone, la regina di Cartagine, narrata da Virgilio può essere interpretato in modo ambiguo172. È già stato messo bene in rilievo da Jacqueline Fabre-Serris173 che le leggi augustee sul diritto di famiglia sono accolte negativamente da questi intellettuali, che consideravano tale legislazione un vero e proprio “bras armé” per imporre il ritorno a una morale arcaica, in realtà non più attualizzabile.
Tornando alla narrazione della vicenda di Lucrezia, il racconto ovidiano è pressoché identico a quello di Livio nel resoconto dei fatti, ma ha un approccio completamente diverso. Il poeta insiste sulla bellezza irresistibile di Lucrezia: l’armonia delle forme, l’incarnato pallido e i capelli biondi, una bellezza tale che affascina inesorabilmente Sesto Tarquinio che non può fare a meno di desiderarla174: (761) interea iuvenis furiales regius ignes / concipit, et caeco raptus amore furit. / Forma placet niveusque color flavique capilli / quique aderat nulla factus ab arte decor: / (765) verba placent et vox et quod corrumpere non est; / quoque minor spes est, hoc magis ille cupit (Nel frattempo, il giovane figlio del re si accende di furioso ardore, e diviene folle, preso da cieca passione. È affascinato dalla bellezza, dal colore bianco della carnagione e dai capelli biondi e da quella grazia che in lei mancava di qualsiasi artificio estetico; è affascinato dalle parole e dalla voce, e il saperla incorruttibile; e quanto minore è la speranza, tanto più egli la desidera).
L’ambiguità di questa rappresentazione letteraria si riflette, a mio parere, sull’ambiguità della storia di Giulia Maggiore. Augusto vuole imporre, da un punto di vista etico e ideologico, un impossibile ritorno al confinamento delle donne entro le pareti domestiche, salvo poi chiedere anche alle donne un tangibile sostegno finanziario alle sue imprese. La sua stessa figlia mette in luce, con il suo comportamento e la sua attività politica, questa palese ambiguità e l’oggettiva impossibilità dell’attuazione di questa nostalgica ideologia paterna. Giulia Maggiore, però, ha pagato a caro prezzo la politica paterna. C’è un’ulteriore riflessione che forse va la pena fare. Nella narrazione liviana, lo stupro di Lucrezia e il conseguente suicidio della donna sono la causa che mette in moto l’abbattimento della tirannide, con la cacciata del re Tarquinio il Superbo e l’inizio della res publica. Il corpo femminile è quindi il motore riconosciuto di un cambiamento politico. Giulia Maggiore, consapevole dell’importanza di questa narrazione, a un certo punto della sua vita, e con lei le altre adultere della storia dei Giulio-Claudii, rivendica l’autonomia dell’utilizzo del suo corpo e che questa autonomia possa dare inizio a nuove strategie politiche, diverse da quelle elaborate dall’imperatore.
Conclusion
La vicenda umana e politica di Giulia Maggiore, unica figlia di sangue dell’imperatore Augusto, è stata di recente oggetto dell’attenzione degli studiosi in maniera più critica rispetto al passato. Infatti, la sua condanna per adulterio era sempre stata recepita in dottrina abbastanza acriticamente, sulla base della sistematica negazione di un autonomo pensiero politico femminile in età romana. Negli ultimi decenni del secolo scorso, gli studiosi hanno cominciato a leggere questa vicenda in modo diverso. La condanna all’esilio di Giulia Maggiore in seguito a adulterio da parte del suo stesso padre è stata interpretata come l’esito di una congiura politica che mirava a sostituire l’imperatore Augusto con un uomo più vicino alle istanze spiccatamente monarchiche che avevano animato la storia politica di Caio Giulio Cesare e di Marco Antonio, nella fattispecie il figlio di quest’ultimo, Iullo Antonio. Per Augusto questa congiura deve essere stata pericolosa e dolorosa, essendovi implicata la sua unica figlia, ma, soprattutto, la madre dei suoi eredi designati, Caio e Lucio Cesari.
È questa la chiave di lettura che desidero proporre in questo articolo. Giulia Maggiore per molti anni della sua vita è il perfetto esempio della sottomissione del comportamento femminile alla volontà del pater: figlia e moglie obbediente, madre prolifica. A un certo punto della sua vita, però, decide di smascherare l’ipocrisia paterna e di rivendicare per sé un ruolo del tutto nuovo, che si è venuto a configurare proprio con la creazione del principato, vale a dire quello della madre ‘pensante’ del futuro imperatore. Alla madre dell’imperatore in pectore Giulia Maggiore riconosce un ruolo politico, in grado di influenzare la visione politica del figlio. Parimenti, rivendica un ruolo importante per la sua sessualità e soprattutto la possibilità di procreare capaces imperii con uomini scelti da lei stessa e non dal padre o da chi per lui.
Questa sua visione sarà proseguita dalla figlia Giulia Minore (in questo caso sorella di un possibile imperatore, Agrippa Postumo), da Claudia Livia Giulia e da Messalina. Queste due ultime donne rivendicano la possibilità di legittimare un aspirante all’impero, secondo logiche che sono loro proprie e che non dipendono dai patres familias. Questa stagione si interrompe con Nerone, che muore senza figli, dopo che la figlioletta Claudia era deceeduta di tenera età. Uno dei primi atti politici dell’imperatore Vespasiano sarà quello di assicurare la trasmissione del potere ai suoi figli maschi, Tito e Domiziano, secondo l’ordine gerarchico dell’anzianità di nascita175. Svetonio176 e Cassio Dione177 riferiscono l’aneddoto che Vespasiano avrebbe abbandonato il senato pronunciando rabbiosamente la sua volontà di rendere suoi successori i suoi figli oppure nessun altro. Si tratta, al di là delle modalità enfatiche del racconto, dell’evidente necessità, di cui Vespasiano è ben consapevole, di assicurare in primis la stabilità dell’impero mediante un’indicazione successoria chiara e incontestabile178 che non può dipendere dalla libera volontà delle donne.