Erano l’immagine stessa della potenza produttiva americana, il dispiegarsi di un sogno che portava fuori dalla guerra, dalla disoccupazione. Un sogno che rivive distorto nelle pagine di Siegfried Kracauer in Girls und Krise pubblicato sulla Frankfurter Zeitung nel 1931 (Kracauer, 2011a, pp. 531-533.). L’autore, direttore del Feuilleton del quotidiano, rivede le ragazze del corpo di ballo di Alfred Jackson alla Scala, ma rispetto a pochi anni prima tutto è cambiato. Il sincronismo perfetto delle loro esibizioni sorridenti, le gambe coordinate che così efficacemente mostravano le sorti di un capitalismo irrefrenabile, è mutato in un mimetismo muto, incapace di suscitare sogni felici. Ormai il movimento simmetrico delle trentadue gambe delle ragazze è un insieme di “sciocche illusioni”. I sorrisi sono maschere, mentre la loro precisione è divenuta col tempo una presa in giro agita dalle stesse potenze che richiamano. La crisi di cui parla Kracauer non è solo una crisi industriale, ma soprattutto una crisi di macchine estetiche, di rappresentazioni divenute spettri, di profondità simulate come quelle della Neue Sachlichkeit. In Mädchen im Beruf pubblicato nel 1932 (Kracauer, 2011b, pp. 95-101) Kracauer fa ancora i conti con questo fallimento proponendo un’interpretazione più chiaramente sociologica: un terzo di tutto il settore impiegatizio in Germania è costituito da donne, molte non sposate e provenienti dalla classe operaia. Le forme di vita di queste ragazze non sembrano poi differire molto dalle Jackson Girls perché incastrate dentro una dinamica di somiglianza e riscatto che diventa grottesca imitazione e disposizione alla subordinazione aziendale. Si tratta di rintracciare tra le ragazze che ballano e le ragazze che lavorano nelle grandi aziende lo stesso sincronismo.
Non è sempre stato così. Nel percorso giornalistico e sociologico di Kracauer; le corrispondenze c’erano e offrivano un’ipotesi di vita a molte ragazze alla metà degli anni Venti del Novecento. Poi, crisi industriale su crisi industriale, la capacità di trasferire la vita dei film in quella reale è divenuta un insieme di frustrazioni personali in forma di tradimento di avanzamenti sociali mai realizzati. Essere trasformate in strumenti compiacenti era tutto sommato possibile e auspicabile nelle riprese di film a lieto fine dove al direttore di banca o all’americano ricco era chiesto di sposare una bella ragazza impiegata nell’azienda. Il ballo era una forma di emancipazione piuttosto seria nell’epoca di Weimar; Katharina Rathaus nel suo articolo del 1926, Jede Zeit hat den Tanz, den sie verdient, scrisse a proposito del Charleston come fenomeno sociale che definiva le tendenze di un’epoca ansiosa di liberarsi del passato (Rathaus, 1926, pp. 120-121). Il valzer per l’autrice è morto perché morta è quell’intimità alla Strauss che ne determinava le forme e i movimenti. In un classico accostamento, ripreso anche da Kracauer, Rathaus paragona la velocità e il ritmo della vita moderna alla fabbrica della Ford dove esce una macchina ogni minuto e le onde radio del Savoy di Londra fanno ballare anche gli sperduti abitanti della foresta. Non solo. Le danze devono rappresentare nel movimento la democratizzazione e modernizzazione della società e lo spirito dei giovani del tempo che appaiono selvaggi al pubblico borghese. Democrazia e rappresentazione artistica a metà degli anni Venti sono già presenti nella riflessione di Kracauer. Il nostro contributo vorrebbe affrontare un itinerario attorno a questa coppia di parole muovendosi dentro la produzione di Siegfried Kracauer, con l’intento di mostrare variazioni e continuità sui temi quali somiglianza, mimetismo, coordinazione, corpi di ballo, apparenze sociali.
1. Ebrezza e distrazione
La distrazione trasformata in ebbrezza irrompe nella considerazione filosofica di Kracauer come simmetria e calcolabilità a metà degli anni Venti in concomitanza con l’abbandono da parte di Kracauer di una visione spirituale e intimista e lo studio di Marx (Später, 2020). In La massa come ornamento (1927), egli tematizzerà l’aspetto più chiaramente sociale della relazione tra sistema produttivo e rappresentazione estetica. A interessarlo sono appunto i corpi di ballo delle Tillergirls arrivati dall’America. La distinzione tra massa e popolo sta al centro della riflessione kracaueriana: quando è il popolo a creare figure, queste non possiedono una dimensione astratta, ma nascono e si sviluppano dalla comunità; possiedono insomma una “magica necessità”. La dimensione di massa profondamente razionalizzata dal sistema produttivo capitalistico, fa solo credere agli uomini di ricevere dal profondo una forma, ma essi sono invece tuttalpiù frammenti di una figura. È il vuoto a decidere del senso di queste raffigurazioni estetiche e soprattutto la lontananza: le Jackson Girls o le Tiller Girls mostrano una raffigurazione che nasce dall’esterno come ornamento e in questo simile alle “fotografie aeree di paesaggi e di città” dove “la composizione non viene fuori dall’interno degli elementi reali ma appare al di sopra di questi” (Kracauer, 1982, p. 101). Kracauer troverà in queste figure qualcosa di necessario moralmente; esse sono capaci di illustrare in forma estetica la verità del tempo: quella di una ragione che ha perduto se stessa fino a diventare “distorta”. La verità, privata di una necessità umana e fondata interiormente, diventa nient’altro culto mitologico che si avvolge di una veste astratta. Una razionalizzazione che ha razionalizzato troppo poco, scrive Kracauer, perché l’emersione della massa nelle forme del capitalismo moderno impedisce di cogliere l’individuo nella sua integrità. La critica di Kracauer in questo saggio sembrerebbe unire due questioni molto importanti: la completezza umana e l’emersione della forma. La dimensione estetica non rappresenta in queste pagine qualcosa che si sovrappone alla dimensione produttiva, ma lo stesso prendere forma delle soggettività e della vita.
L’apparenza è un mostro a due facce per Kracauer: se da un lato è l’astrattezza delle forme dell’intrattenimento di massa a preoccuparlo, dall’altra il rischio è che a questa astrattezza si sostituisca una realtà impoverita rappresentata dalle forme obsolete dei nobili sentimenti. Le rappresentazioni delle Tillergirls hanno almeno il merito di mostrare l’irruzione del culto del divertimento nella Germania di Weimar. All’astrattezza delle figurazioni ornamentali disegnate dalle gambe delle ragazze, Kracauer attribuisce una funzione storica importante se non decisiva, ovvero emancipare la massa dalla cultura fortemente idealistica ereditata dai primi del Novecento. Si tratta di un’interpretazione che interroga, nel contesto di una decifrazione estetica, l’aspetto antropologico e trasformativo della società dello spettacolo soprattutto nella relazione mimetica tra le forme e l’esperienza. Questo tema non smetterà di rappresentare per Kracauer un nodo centrale della sua ricerca. Esiste un’eccedenza della vita e delle sue manifestazioni rispetto alle intenzioni delle forme, alle ricerche di simmetrie e somiglianze accentuate. Il movimento delle gambe delle Tillergirls sarà in sostanza molto di più di una forma di intrattenimento, piuttosto riuscirà a mostrare il fondamento mitico del sistema produttivo mentre fa collassare le forme della tradizione. Si tratta, a ben vedere, dell’interpretazione che Kracauer fornisce non semplicemente del ballo delle Tillergirls, ma, come accennato poco sopra, della stessa possibilità di figurazione e rappresentazione dell’epoca. Scrive Kracauer ancora ne La massa come ornamento: “quanto più il loro rapporto è puramente lineare, tanto più la figurazione si sottrae allo coscienza di coloro che le danno forma” (p. 102). La stessa possibilità che qualcosa prenda forma, che acquisisca visibilità e consistenza, risiede nella raffigurazione estetica di massa. Il singolo, l’individuo, appare materia a disposizione di questi spettacoli senza tuttavia poter riemergere da questa forma. La troppo poca razionalizzazione trova qui la sua spiegazione: la stessa possibilità di esistere appare dominata dal sistema produttivo dove all’individuo è chiesto di giocare il proprio piccolo ruolo sospeso tra funzione e distinzione sociale. Kracauer troverà nella figura dell’impiegato, cui dedicherà alla fine degli anni Venti una ricerca sociologica importante, la sintesi di queste problematiche (Kracauer, 2020). A preoccuparlo sarà la relazione tra la proletarizzazione della professione impiegatizia accanto alla necessità di distinguersi socialmente e esteticamente dagli operai. Kracauer indaga ne Gli impiegati un tema poi ripreso in Madchen im Beruf che lo interesserà a lungo: il declassamento, di volta in volta descritto nelle dinamiche della composizione sociale delle classi e nella rappresentazione estetica di questa appartenenza. Un tema che ha nel mimetismo, nella somiglianza e nell’insieme delle condizioni sociali e psicologiche, le proprie categorie. Se da una parte gli individui sono assorbiti nella figurazione sociale dei grandi spettacoli scomparendo al loro interno, così nelle relazioni sociali compaiono nuove forme di ‘distinzione sociale’, quali lo sport, il tempo libero, l’abbigliamento, l’esotismo dei locali alla moda. Si consolidano un insieme di figure e soggettività che agli occhi di Kracauer appaiono come ‘interne’ alla dimensione della rappresentazione moderna centrata su un individualismo competitivo. Kracauer descriverà alcune delle fissazioni del ceto impiegatizio tanto maschile che femminile esplicitamente collegata a dinamiche familiari, quali l’assenza di marito per le donne, l’impossibilità di vivere da sole la propria sfera privata perché costrette a vivere coi genitori in piccole case e la comparsa di malattie professionali come nevrosi e depressione. La medicina contemporanea “continua”, scrive Kracauer, “in piena sintonia con la visione del mondo capitalista, a concepire tutte le malattie come sintomi legati all’individuo” (Kracauer, 2011b).
2. Il consolidarsi di un’illusione
L’inizio degli anni Trenta per Kracauer è il consolidarsi di un’illusione, l’illusione che il cinema e il culto del divertimento possano generare una nuova società e un nuovo popolo. Kracauer sta restituendo l’immagine di una città sovrastata dalla miseria e dalla depressione; la vita, osserverà, ancora nel 1931 in relazione al dilagare di omicidi e rapine a Berlino, è diventata a buon mercato (Kracauer, 2011a, pp. 470-473). La sua riflessione, sempre attenta alla superficiale delle forme, vuole descrivere “l’effetto spettrale” di un mimetismo che accompagna luoghi e persone con la mediazione della rappresentazione estetica. In Unter Palmen, testo del 1930 (Kracauer, 2011a, pp. 350-352), farà notare il crescente numero di palme a costruire l’evasione esotica dei locali alla moda direttamente proporzionale alla crescita della miseria, mentre in Kurort Berlin, testo del 1932, Berlino è descritta come una città che sfianca i propri abitanti ma fa di tutto per ristorarli. È questo un articolo che mostra una Berlino diversa, sospesa e scintillante allo stesso tempo. Kracauer sta descrivendo una delle mode del tempo che sembrano essere sopravvissute fino a noi, ovvero adibire i tetti dei grattacieli a pascoli sospesi.
È vero, da questa terrazza non si vede altro che Berlino, che già si conosce, ma non è la Berlino familiare da cui si è appena fuggiti. La città brilla al sole aliena come un piatto dipinto di blu. La sua povertà, la sua disoccupazione e il suo disordine politico sono tutti nascosti sotto i tetti che si estendono in ogni punto della bussola, avvolti da un leggero velo di nebbia da cui emergono solo cupole, torri e grattacieli (Kracauer, 2011b, p. 163)
La domanda di Kracauer appare fondata: è ancora Berlino? Qualcosa è cambiato, soprattutto la calma che trasmette questa villeggiatura in piena città mostra uno “scintillio irreale” opportunamente supportato da un telescopio utile non tanto ad avvicinare gli oggetti, ma ad allontanarli. Il senso di lontananza è ricercato ovunque, in basso come in alto, da bar e ritrovi che riproducono scenari sottomarini, deserti, luoghi esotici di vario tipo. Questa lontananza è leggibile dialetticamente come la controparte di una potente somiglianza, quella delle gambe delle Jackson Girls, ma soprattutto come l’aderenza ormai spietata al sistema produttivo e alla decadenza morale e materiale degli abitanti e dei lavoratori della città. Il declassamento reale della vita degli impiegati si mostra per due differenti vie: l’ostinazione a non accettare la regressione economica e la proletarizzazione unita alla ricerca dell’esotico. Più la prossimità alla vita reale e alla decadenza appare chiara, più aumenta il desiderio di svago e l’approssimarsi di scenari fasulli, di una somiglianza che richiama frustrazioni e paure unita alla necessità di conformarsi ad un individualismo fatto di culto del corpo, sport e moda. I contenuti politicamente più sensibili di queste rappresentazioni sono inseparabili per Kracauer dalle forme estetizzate del divertimento e dello svago. Ancora nel Gennaio 1931 nel testo Sale riscaldate, Kracauer leggeva questi luoghi aperti da ottobre a aprile per persone escluse dal processo produttivo, nella relazione con lo scintillio e l’apparenza: “dove un tempo venivano lustrate carrozze, oggi è tutto un pullulare di uomini, che ormai, non luccicano più da un pezzo. Fino a prova contraria opacità e povertà sono in rapporto di sorellanza” (Kracauer, 2004, pp. 83-89). Nel suo capolavoro Gli impiegati, egli mise a tema questa relazione tra luce, ascesa sociale e mimetismo nel capitolo Asili per senzatetto. La metafora del tetto ha una sua efficacia nel descrivere una condizione spirituale e politica dove la casa dei sentimenti borghesi appare ormai crollata “poiché lo sviluppo economico l’ha privata delle sue fondamenta”. Scrive Kracauer che nulla: “caratterizza questa vita, che si può chiamare vita solo in senso ristretto, come il modo e la maniera con cui le appare il valore. Non è contenuto, ma lustro, apparenza brillante” (Kracauer, 2020, p. 109).
Le ragazze, sostiene l’impiegata con voglia di parlare, sono “allettate dalle apparenze brillanti”. Compare in queste pagine una relazione specifica tra un’appartenenza misera, il più delle volte fatta di modesti appartamenti e stanzette buie e l’immersione nei grandi magazzini “inondati di luce” che oltre sulla voglia di comprare influiscono sul fatto che “il personale ne viene stordito abbastanza da dimenticare l’alloggio stretto e senza luce” (p. 107). Agli impiegati è chiesto dalla società di osservare i modelli di vita superiore e possedere una facile eccitabilità che gli permetta di emulare e mimetizzarsi con stili e situazioni che ormai non gli appartengono più. Si tratta di una razionalizzazione di ordine antropologico e sociale; non sembra un caso che le innumerevoli mescite degli anni dell’inflazione siano state sostituite dai bar alla moda dove con “poco denaro si può sentire il soffio del gran mondo” (p. 109): nello stesso momento in cui l’economia viene stabilizzata, le aziende si razionalizzano e i locali razionalizzano i divertimenti delle folle impiegatizie. È precisamente qui, in questi spazi, che Kracauer troverà quella corrispondenza tra la geografia degli asili per senzatetto e la canzone di successo. La luce è un elemento mimetico in senso antropologico nella visione di Kracauer, essa trasforma: “toglie alla massa la sua figura abituale, le getta addosso un costume che la trasforma. Le sue forze misteriose trasformano l’apparenza brillante in contenuto, la distrazione in ebbrezza” (p. 113).
3. Il cancan e Offenbach: ipocrisia e divertimento
Anni dopo, già in esilio dopo le tragiche elezioni del 1933, Kracauer si dedicherà a una ricerca sulla Parigi del Secondo Impero indagando quella relazione tra democrazie, rappresentazione e mimetismo di cui si accennava sopra. L’opera in discussione è Jacques Offenbach e la Parigi del suo tempo pubblicata ad Amsterdam nel 1937. Qui Kracauer sembra imbastire un ragionamento simile a quello appena incontrato. Offenbach, l’esule tedesco che infiammò la Francia con le sue operette, avrebbe certamente potuto impadronirsi del cancan perché ne era istintivamente attratto. Un ballo, il cancan, padroneggiato dai romantici rivoluzionari che “ballandolo deridevano l’illusorietà delle convenzioni sociali” (Kracauer, 1984, p. 36) mentre i rampolli dell’aristocrazia si agitavano nel disprezzo dei balli di corte e dei banchieri che vi partecipavano. Il cancan insomma divenne quello che le Tillergirls sarebbero state anni dopo: una forma di divertimento che rappresentava e allo stesso tempo eccedeva la società del proprio tempo. Come le scenografie dei grandi spettacoli che con le gambe delle ragazze mostravano l’esplosione della società di massa, facendo apparire obsolete le forme della borghesia guglielmina, così il cancan esprimeva una tendenza che si consolidava nella società francese: distruggere gli idoli, corrodere ogni presunta grandezza, abbattere le tradizioni. Nel ballo e nella raffigurazione estetica, Kracauer legge sia una manifestazione simmetrica alla forma dominante la società, sia la trasformazione di ordine sociale e antropologico in atto durante gli anni di Weimar come possibilità, apertura, disincanto. Di questa trasformazione egli da conto nelle pagine di Offenbach come “entrata in scena della modernità” (p. 56): l’invenzione della ferrovia, l’illuminazione a gas, la dagherrotipia e non ultimo il procedimento galvanico di indoratura dei metalli che permetteva ai piccolo borghesi di avere vasellame dorato in tutto e per tutto simile a quello usato dalla grande borghesia. Oltre a questi cambiamenti radicali di ordine economico si aggiunse la trasformazione del giornalismo che passò dall’essere un’attività d’élite fortemente condizionata dall’alto costo del quotidiano ad essere un’attività di mercato al servizio degli inserzionisti. Ad accogliere la parte più avanguardistica di questa società fu il boulevard: il luogo d’elezione dei dandys, di artisti, teatranti e giovani che avevano eletto questo spazio a quartier generale per non essere costretti dentro la noia e le regole sociali del juste-milieu. La colonna sonora era appunto il cancan, un’orda di masse danzanti che rifiutavano lo status quo mentre intrattenevano le masse di “emigranti interni” come Kracauer chiamava i bohémiens.
L’aspetto più rilevante di questa riflessione è la relazione tra l’irrealtà di questo luogo e la trasformazione sociale che annunciava. Il boulevard era un luogo reale, ma per molti aspetti artificiale. Poche centinaia di metri che accoglievano i senza patria, i reietti e molti veri immigrati ma soprattutto custodivano un esprit libero che distruggeva miti e esorcizzava forze tenebrose. I frequentatori di questo spazio estetico e sociale si alzavano verso il mezzogiorno, sbrigavano qualche faccenda, una colazione fugace poi altre faccende e frequentazioni sin verso l’ora di cena per poi vivere la parte davvero vera della giornata, la notte. Offenbach e il boulevard sorsero insieme e insieme promossero una società desiderosa di fantasmagorie. Sotto la dittatura di Luigi Napoleone la parola d’ordine era distrarre e sottrarre alle genti il confronto con una realtà ormai decadente e fasulla: l’operetta, il ballo, insieme alla satira rappresentarono qualcosa di molto più importante della semplice distrazione. L’ambiguità della rappresentazione, il legame a doppio filo che univa i boulevarist come i giornalisti e i musicisti al denaro, permetteva loro di sferzare l’autoritarismo e la corruzione e di dare l’illusione di un’esistenza liberata da ogni spiacevole costrizione. Nelle pagine di Kracauer questa ambiguità del boulevard e dell’operetta diventano critica sociale: ai corpi di ballo delle Tillergirls come al cancan, Kracauer non riconobbe solo la capacità di imitare e suggellare l’irruzione di una mentalità più chiaramente industriale e consumistica legata al culto del divertimento e all’edonismo, piuttosto, in queste forme egli vede anche una superficialità corrosiva di rapporti di potere consolidati. Il senso di queste rappresentazioni è da cogliere nella capacità di allargare i confini della propria percezione, divertendo, modificando nel profondo la relazione tra interiorità e spazio pubblico, demitizzando. Negli spettacoli dei grandi magazzini Kracauer vede una sorta di immediatezza: i contenuti fondamentali di un’epoca e i suoi impulsi inavvertiti, quando non rischiarati dalla coscienza, si illuminano reciprocamente (Kracauer, 1982, p. 99): le figurazioni delle Girls, perduto il significato rituale di qualsivoglia ballo, poggiano sul vuoto. Cosa mostrano dunque? Mostrano l’astrattezza del processo produttivo nella sua essenza, ma soprattutto sono legittime perché mostrando questa astrattezza, che altro non è che il principio formale che unisce la produzione della fabbrica taylorista e la vita quotidiana, restituiscono così valore alla rappresentazione estetica. Le raffigurazioni delle Tillergirls illuminate dallo sfavillio dei palazzi illuminano a loro volta i limiti della razionalità capitalistica. Le Girls parlano di mito e apparenza mentre simulano una vita felice e produttiva in un’arte, quella del ballo, che mentre imita la razionalità dei processi produttivi ne mostra il fondamento astratto e mitologico. Un’arte che include ciò che apparentemente restava fuori.
Se dunque volessimo individuare un punto di incontro nell’itinerario kracaueriano tra le Jackson Girls, le Tillergirls e infine rintracciare i ballerini di cancan di Napoleone III, dovremmo domandarci: dove sta il senso di questa rappresentazione estetica? Perché il ballo e perché il mimetismo in relazione al ballo? Qualcosa sembra emergere con forza: più il ballo sembra coordinarsi e stringersi verso una riproduzione fedele delle forze produttive, più Kracauer sembra spostare il proprio interesse verso la dimensione sociale e politica della scena tedesca. È forse utile ricomporre l’itinerario sin qui percorso per poter cogliere la profonda continuità, ma anche la discontinuità della riflessione di Kracauer.
Sono tre i momenti che abbiamo cercato di isolare restituendo il senso di questo percorso in Kracauer: alla metà degli anni Venti dove con le Tillergirls, egli intuì la relazione ormai molto stretta tra sistema produttivo e spettacolo. In questo periodo a interessare Kracauer sembra soprattutto il consolidarsi della relazione tra forme di vita e sistema capitalistico e allo stesso tempo la possibilità che la cultura di massa sia sottratta all’idealismo degli antichi valori. È in questo momento che a Kracauer appare chiara la trasformazione della società e della stessa possibilità di figurazione. L’emersione della forma assume i connotati di una relazione tra luce e ombra, spettacolo e disgregazione. Pochi anni dopo nell’articolo Girls und Krisis il movimento coordinato delle gambe delle ragazze è divenuto tuttalpiù una maschera che non nasconde più nulla. Un mimetismo muto che non insegue più nessuna felicità incapace di trasformare la distrazione in ebbrezza. In questa fase, drammaticamente coincidente con l’ascesa del nazismo e prossima alle elezioni del 1933 che costarono Kracauer il posto di lavoro e l’esilio, si consuma la disillusione dello sguardo del nostro autore verso la realtà urbana. Le immagini di città appaiono a Kracauer nei primi anni Trenta come la traduzione urbanistica di differenziazioni sociali e di classe espresse nella forma di sottopassi, ostelli per disoccupati, stazioni ferroviarie, quartieri residenziali (Kracauer, 2004, pp. 52-54). La città sfavillante e trasfigurante avvolta nelle luci dello spettacolo di pochi anni prima non sembra scomparsa, ma seriamente compromessa da una forma rigida di corrispondenza tra illusione e realtà urbana. Tutto sembra obbedire alla sincronizzazione tra vita e produzione senza tuttavia la magia del ballo, la frenesia che si toglie di dosso le tradizioni e rivendica il proprio posto nel mondo moderno. Il terzo passaggio è rappresentato dalla ricerca parigina sul Secondo Impero. Offenbach è sotto molti aspetti una sintesi: un lavoro scritto sull’urgenza di problemi economici seri che raccoglie e esprime in una lingua accessibile, forse persino semplice, l’insieme delle riflessioni di Kracauer sul nesso realtà-apparenza. È una sintesi perché Kracauer in questa ricerca rende visibili l’insieme dei suoi interessi: l’irruzione della società di massa, le innumerevoli invenzioni della modernità, la trasformazione del giornalismo, il rapporto tra classi dominanti e borghesia, il ruolo delle avanguardie, l’extraterritorialità. È questo un libro scritto nella consapevolezza dell’imminente disastro dell’Europa, ma che non rinuncia a interrogare l’apparenza, le forme del culto del divertimento. Dopo aver studiato e colto in profondità come la società dello spettacolo modificasse profondamente le forme di vita e le soggettività, egli ritorna sul tema dell’intrattenimento, dello svago, della relazione tra rappresentazione e forma sociale con l’intenzione di mostrare quanto queste manifestazioni superficiali siano in realtà non solo conseguenze dei cambiamenti nella struttura economica e materiale della società, ma contribuiscano esse stesse al cambiamento. Kracauer in questo testo dedicato al Mozart degli Champs-Élysées, rintraccia storicamente la possibilità di un’azione politica vera svolta non dai partiti di sinistra, ma dall’operetta e dal ballo. È l’operetta a sferzare le tradizioni, a ridicolizzare le consuetudini sociali, a incoraggiare una mentalità aperta e libera cui starà stretto l’autoritarismo napoleonico. Offenbach potrebbe sembrare dunque un congedo e una resa, il resoconto storicizzato nella figura del compositore tedesco di un fallimento dove Kracauer rinuncerebbe ad interpretare le figure della modernità stretto in un realismo spietato. Se interpretata così la traiettoria di Kracauer ha prima pensato alle figure dell’intrattenimento come rivelatrici di una verità storica nella loro potente ambiguità, per poi dover ammettere nei primi anni Trenta che in realtà, quelle gambe così coordinate, altro non erano che maschere insipienti, portatrici solo di vuoto. Eppure, il congedo di questo autore da un pensiero per immagini come ricerca che privilegia non le identità, ma soprattutto le eccedenze, la metamorfosi e il mimetismo come forma di trasformazione e non solo di imitazione, non sembra convincere. Se si deve parlare di un congedo nel momento in cui da Kracauer scrive Offenbach, questo è soprattutto dalla propria patria, dalla Germania. Detto in altre parole, la ricerca su Offenbach è il tentativo di Kracauer di mostrare ciò che poteva essere e non è stato, una critica alle masse repubblicane della Parigi del tempo e una critica alla Germania da cui è appena stato espulso. Offenbach sarà l’ultimo testo scritto in lingua tedesca da Kracauer e non casualmente tratta e omaggia indirettamente gli esuli e la figura dello straniero rappresentata dal musicista di Jena. Kracauer attribuisce all’operetta e al lavoro di Offenbach un merito inestimabile: riconoscere dietro “le facciate dei principi ideali e dei programmi” soprattutto la pienezza della sostanza umana (Kracauer, 1984, p. 253). La musica di Offenbach mostrava certamente un’indifferenza politica che avrebbe fornito armi e argomenti alla reazione restando così estranea alla borghesia autenticamente democratica e ansiosa di discontinuità, ma aveva il pregio di penetrare la realtà. Il tentativo di Kracauer è forse spiegabile così: tornare a pensare la relazione tra apparenza e realtà nella convinzione che sia necessario non cercare presunte verità fondamentali dietro le maschere, ma soprattutto interrogare queste stesse maschere per comprendere la reale natura della realtà e dei mostri che la abitano. Kracauer, che sembrava in una lettura fortemente marxista, volere restituire la relazione tra gli impiegati e la società tedesca a partire dal declassamento e dalla funzione ideologica delle immagini promosse dal capitalismo, sta in Offenbach ripensando la verità dell’apparenza oltre l’autorappresentazione della società stessa. Le iniziative economiche dell’Imperatore, desideroso di far esplodere economicamente il proprio governo, avevano una controindicazione: necessitavano di forme politiche atte a sostenerle, si portavano dietro la necessità di superare l’isolamento e l’autoritarismo da cui nascevano. L’impero, scrive Kracauer, iniziò a diventare un anacronismo. Nel frattempo nasceva l’Internazionale sulle orme di Karl Marx. La democratizzazione della società cui tanto avevano contribuito sul piano figurativo ed estetico, il cancan e i balli importati, rischiava di travolgere le istituzioni classiche della società francese: il salotto prima di tutte. L’operetta, come il ballo, mettevano in evidenza la caduta delle divisioni rigide, la potenza trasformativa imposta dal capitalismo liberale. La confusione sociale, scrive Kracauer, si attua in un modo che non torna a svantaggio dei ceti inferiori (p. 253). L’ebbrezza era giustificata dall’irruzione del mondo democratico che Offenbach musicava in una Parigi cosmopolita e travolgente. Nell’operetta, scriveva Karl Kraus, noto estimatore di Offenbach, “la vita è quasi così improbabile come è veramente” (p. 225). L’operetta non esagerava l’assurdità dell’esistenza, ma al contrario sotto molti aspetti la sminuiva; Kracauer individua proprio in questa relazione tra apparenza e realtà, rappresentazione e senso del reale, l’aspetto trasformativo e potentemente rivoluzionario dell’operetta. Molti si sentivano trasportati dall’operetta in un mondo di sogno, ma “se fossero stati desti, avrebbero riconosciuto […] la realtà improbabile della loro esistenza” (p. 226). L’apparenza dell’operetta era dunque molto di più di un’apparenza; questa messa in scena era in realtà un veicolo di democratizzazione e allo stesso tempo uno specchio di una realtà ben più cupa e irreale.
Offenbach è in conclusione un testo che mostra qualcosa di rilevante e decisivo nella traiettoria intellettuale di Kracauer. È la conferma che Kracauer pensa la realtà in modo completamente alternativo al Luckács di Storia e coscienza di classe, in particolare alla necessità di quest’ultimo di pensare la dialettica come “l’unico metodo per riprodurre e afferrare intellettualmente la realtà” (Luckács, 1991, p. 36). Per Kracauer la realtà, soprattutto dopo il 1933 sarà qualcosa di estraneo e impossibile da approssimare con la teoria; il marxismo in Offenbach è ormai un’illusione snaturata. Offenbach è dunque una crisi e un congedo definitivo dal popolo e dalle masse. Ne La massa come ornamento Kracauer pensava l’irruzione della modernità in relazione alla figurazione: quest’ultima diventa possibile solo come massa e gli individui sono sacrificati nella loro interezza da una ragione strumentale e distorta. Ne Gli impiegati gli individui diventano funzioni di un sistema produttivo che ha ormai assorbito ogni spazio interiore arrivando a produrre soggetti e figure completamente interne alla dialettica luce/ombra, sfavillio/buio. La luce del capitalismo è la stessa possibilità di esistere in termini urbani e sociali; le appartenenze di classe esplodono dentro una logica spietata fatta di apparenze. In Offenbach il discorso diventa più chiaramente politico; a interessare Kracauer è il rapporto tra le masse cittadine e la forma della società, tra democrazia e rappresentazione. È qui che si consuma la resa di Kracauer; non compare più alcuna dimensione spirituale alla ricerca dell’individualità soppressa dal capitalismo. Se ancora a metà degli anni Venti pensare l’apparenza significava cercare quella relazione tra mito e razionalizzazione dove ancora alle masse era concesso di poter ballare sull’abisso, con Offenbach, Kracauer sembra congedarsi da qualsivoglia redenzione collettiva. La ricerca sulla Parigi del Secondo Impero è una forma di realismo per nulla esagerata se si pensano le conseguenze politiche cui si assisterà in Europa da lì a pochi anni. Le gambe delle Tillergirls, come il cancan e l’operetta hanno forzato i confini della realtà offrendo alle masse la possibilità di cogliere l’insensatezza dell’esistenza nelle forme di un mimetismo lontano dalla semplice imitazione, Offenbach ci ricorda però che la vita di queste rappresentazioni è quasi così insensata com’è la vita davvero. La vita lo è molto di più.