“Nel 1915 partecipai a una gara di sosia
di Charlie Chaplin ed arrivai terzo.
Solo che io ero da sempre,
effettivamente, Charlie Chaplin.
Burlandosi di qualsivoglia traduzione
cinematografica,
la vita impugna l’arte
dell’iperbolico impossibile
meglio di qualsivoglia scenico prodursi.
E non resta che arrendersi alla coscienza,
che la realtà non è realistica.
E che non c’è più grande paradosso
che il reale.”
- serata degli Oscar: un applauso reboante. Chaplin entra, dando le spalle al pubblico e, facendo un inchino, ringrazia un altro pubblico invisibile, mentre due telecamere lo inquadrano e le luci della ribalta lo illuminano prepotentemente; saluta: si volta, le telecamere (ora alle sue spalle) si spengono ed anche le luci lentamente si abbassano, lasciando visibile soltanto la sua silhouette in controluce: l’applauso resta come traccia in sottofondo -
“Irrompe nella vita mia
la vita
non mi dà spazio alcuno
spietata per com’è
s’impone e impone in me
il “Vivi! Vivi!”
ed io mi trovo vivo.
Amore, amore
l’avrei mai creduto
che questo mio perenne volteggiare
sarebbe a tutti parso slancio
quand’era miserabile poesia.
Ed io non so che altro biascicare
ora che tu non sei quel che non eri.
irrompe nella vita mia la vita:
essere morti è una fatica dura”
Voce fuori campo
“Andiamo?”
- una luce flebile lo illumina -
Charlie
“Charlot aspetta, te ne prego
ho male agli occhi
m’abbagliano queste
Luci della ribalta
Se non avessi già fatto
un film con tale titolo
Mi piacerebbe farlo adesso
E lasciar dire questa frase
ad un fanciullo”
- tira fuori uno specchio, si siede come nell’intimità del suo camerino: comincia a truccarsi da Charlot parlando ad uno specchio, di cui vedremo solo la cornice: di fatti il suo specchio sarà il pubblico -
“All’inizio Charlot simboleggiava un gagà londinese finito sul lastrico All’inizio lo consideravo soltanto una figura satirica.
Nella mia mente, i suoi indescrivibili pantaloni rappresentavano una rivolta contro le convenzioni,
i suoi baffi la vanità dell’uomo,
il cappello e il bastone erano tentativi di dignità
e i suoi scarponi gli impedimenti che lo intralciavano sempre
Non c’è cosa più triste di un clown che ride da solo ai suoi numeri.
Non vale una mezza moneta.
Charlotte tu lo sai bene che queste smorfie non sono mie, ma di quello lì riflesso.
Dovresti saperlo Charlot, che nessuno specchio mi contiene.
Dovresti ricordare la paura di uno che passa un terzo della sua vita a deformare il colore e la forma del suo volto fino a non riuscire più a capire questo tizio qui riflesso, chi è.
Allora io correvo quale bambino da te per guardare dentro i tuoi occhi e vedendomici riflesso capivo: capivo di esserci ancora tanto è vero che c’erano i tuoi occhi.
Fin tanto che tu t’occupavi della mia anima, io non dovevo averne pensiero: ora invece devo essere in pena tanto per la mia anima, ancor di più per la tua.
Ed ora io qui ridotto a immagine riflessa non so più dirmi che ci sono: tanto che quello che faccio da sistematica e complessissima ripetizione di movimenti scientificamente provata, si è degradata non troppo lentamente a misera buffa esibizione della mia patetica e pietosa immagine.
Povero che io nacqui e che io fui
Povera la mia nascita ed infanzia
Povera la mia famiglia inglese
Divenni americano e miliardario
Divenni mito e celebre ed adesso
Non vedo in questa immagine il riflesso
Né del bambino povero che fui
Né del mio genio comico,
Charlot.
È da quando avevo 4 anni,
Che sono qui,
a scolorirmi il viso.
Tutto questo, perché tu non ci sei più. Ed io non posso essere io, se tu non ci sei più,
Charlot.
E tutto questo perché è arrivato il suono
E tu non potevi sopravvivere al sonoro
Charlot!
Così mi son dovuto liberare di te
Eppure
Di tutte le liberazioni, questa è stata di certo la più stupida.
Ma via andiamo
non può esser certo mia la colpa
se altro volto che la tua maschera
non ho trovato, in ogni caso.
così mi son seduto ad aspettare,
crescere a dismisura
la barba, i capelli e i miei tormenti
senza dar loro forma alcuna
perché nessuno più ci riconduca
ad una sola unica persona.
E niente e niente.
E niente.
E il tempo sembra come un mattatore
avere un ego onnipotente e idiota
Col suo perenne fingersi che c’è.
Che ha una sola scusa il tempo
ed è la stessa di cui giova Dio:
non esiste.
E beh, ad averci tempo
ci si potrebbe certo divertire.
- scatta in piedi: comincia ad indossare gli abiti di Charlot -
Ma via, via presto,
si deve giustiziare.
Da una parte Io:
pieno, furente, cretino.
E dall’altra ancora Io.
Mai battuta di caccia
Fu così tanto più semplice,
che inutile.
- ancora impreparato, mezzo svestito, viene richiamato in scena: la voce di Einstein irrompe in scena, cambiando le luci e riportandoci alla notte degli Oscar: Chaplin dà le spalle al pubblico -
Einstein
“Vede?”
- rigirandosi verso il pubblico per un attimo -
mi disse Einstein, mentre l’applauso continuava, fortissimo, reboante, infinito
Einstein
“Vede? Questa è la sua grandezza, signor Chaplin: lei non parla e tutti la capiscono!”
“Se posso dottor Einstein, la sua grandezza è anche maggiore: di fatti a lei nessuno la capisce, eppure tutti la amano.”
- ritorna nel suo camerino e continua a vestirsi -
Ma sì, ma sì,
Che voglio divertirmi:
archiviato finalmente
ogni gusto per le cose irreversibili
posso dedicarmi a quanto
m’è più caro al mondo:
la misera squallida onnipresente
irriducibile
vita.
Ed avrò finalmente
come tutti, come tutti,
il desiderio per le cose piccole
ed un sacco di problemi inesistenti
da erigere a monumento sacro
e potrò dirmi disgraziato e misero
e perché no, costretto in schiavitù
peseranno sul capo mio infelice
lo stato, i popoli e la comunità.
Un lavoro, sì, io voglio un lavoro!
lo implorerò ad ogni occasione utile
in pubblico e in privato
ad ogni incontro
con qualcheduno che riverirò!
Un padrone, sì, io voglio un padrone!
che mi bastoni e che mi dica “jah!”
che non accetti repliche o quesiti,
che in cambio accetti solo “sissignore”
“riveritissimo”, “eccellenza illustre”.
Ed io sarò così perfettamente
inserito nel tessuto produttivo
che per risposte avrò soltanto “quanto”
e “non si può”, non si può.
Ed io sarò così parte integrante
che cittadino sarà il secondo nome
mio e patriota sarà il mio cognome
perché gli inchini e le strette di mano
distribuirò senza timore alcuno.
Così mi troverò senza saperlo
essere l’uomo che hai sempre sognato.
Charlot.
Io che bambino non fui mai
Né fui capace a diventare adulto
T’amo che sei bambina e non lo sai
T’amo che sei bambina e non ti tocco.
Tu temi la mia maschera e hai ragione
Che vedi senza maschera il mio demone
Dell’angelo mostruoso che io sono.
Amore mio, amore mio sapessi
la più grande tossicodipendenza che io conosca
è la popolarità.
Ma ora basta! Basta.
Basta. Basta, basta, basta.
Me ne sono liberato:
ora che sono fuori non c’è più catena o catenaccio
Né gelosia né rete,
né mura né stupidissima speranza
che mi tengano.
Sono perfettissimamente affrancato
da ogni stucchevole fantasticheria
sulla vita, la felicità e l’amore:
ora che sono nel pieno della vita
della felicità
e dell’amore.
mi presenterò al lavoro
– ma non con quel mio fare idiota
rivoltoso ed insolente, no –
mi presenterò come sono qui temprato
tutto di cemento armato.
Mi metterò alla mia scrivania
e il calamaio trafiggerò con la mia penna
poi lo scrollerò bene tre volte puntando il cielo e poi giù sul foglio
per imprimere il marchio
che io stesso porto sulla pelle.
E via così fino alla fine dei giorni:
fin da domani per tutta la vita.
Eh beh adesso che si è andati a fondo
con l’esistenza e ci si è liberati
di tutte quelle inutili frustrazioni
da manicomio
non resta che la vita quella vera:
perciò sfrondato e schiodato l’imbecille perditempo dell’utopia
posso salirci io sulla croce
a vivere.
Voglio godermi tutte le mie tristezze
tutte le mie piccole infelicità
costruite da me stesso accuratamente
giorno per giorno con fede incrollabile.
Voglio gustarmi la pressione sociale
quando mi si schiaccerà sopra il groppone
sentir lo sdegno e la disapprovazione
di chi mi guarda da lontano e ride
e bisbiglia all’orecchio d’un amico
i miei dolori con la leggerezza
di chi non sa quanta disperazione
mi ha abitato lungo la mia vita
pagando tanto puntualmente la pigione
da non potere essere sfrattata.
- vestitosi completamente: si guarda allo specchio -
Ma che faccio?
Perché parlo così?
Perché mentre rinnego
la mia natura precedente
Mi ritrovo vestito nuovamente
dei panni che ho vestito
fino ad ora
Quelli che tutto il mondo ha amato forte
Per poi dimenticarli
soltanto perché l’America
aveva deciso ch’io dovessi essere
Nemico pubblico
Comunista
Russo
Soltanto perché non ho mai amato
la guerra, l’imperialismo
E i grandi dittatori
E così come ebbi il coraggio
di ridicolizzare il Führer
Così ebbi la ferma volontà
Di non volere la cittadinanza americana
- comincia a volersi strappare le vesti di dosso -
Ma ora basta
io non voglio più indossare queste vesti!
Io non sono più Charlot
E questa carne non è la mia carne
E questo luogo è solo un’illusione
E le parole che sto pronunciando
Qualcuno me le imbocca a forza a forza
Simulandomi miseramente
Fingendosi dentro i miei dolori
Ma qui c’è un attore che mi presta voce
E uno scribacchino che M’offre parole
Come potete aver la presunzione
Di poter dir di me
Più ancor di me
Io v’ho lasciato il mio buon testamento
Sopra quella pellicola che amai
E se m’amate andatela a cercare
E lì mi troverete come sono
Intatto, stupido,
Nobilissimo, buffone
Eternamente vagabondo:
Charlot.
Io ora voglio essere
Un uomo come gli altri!
Sì.
Voglio essere inserito esattamente nella società.
La voglio.
Quella loro indolenza cinica e mediocre che mi massacrerà
la dignità e l’amore.
La voglio tutta su di me.
Che non c’è miglior segnale
dell’esser ritornato in società
che l’essere perseguitato
dal quotidiano giudizio altrui.
- spogliandosi, trova nella bombetta una lettera, la legge -
“So
Che la tua salute
ora è migliore
E non posso esserne
che felice
Che il tuo genio
Ha ora edificato
nuove strade
e nuovi sentieri
E conosco
Perfettamente
quel tuo modo
di scuotere il capo
Che più volte ci ha avvicinato
Che più volte ci ha allontanato
M’accorgo rapidamente
di quanto sia mutato il mio umore
soltanto quando la vita
intorno mi toglie i segnali
atterrerò sulle dune
sconosciute del tuo coraggio
portando dietro di me
residui della tempesta”
- la annusa, poi si siede allo specchio e scrive sul retro della lettera -
Eppure guarda come sono finito lontano: così lontano, che sono esattamente dove son sempre stato.
Avessi avuto il tuo amore, Charlot, avrei potuto disinteressarmi ai progetti utopici e alle imprese e a tutto quello che son sempre stato. Avrei potuto ignorare ogni sentimento profondissimo, ogni riflessione ingenuamente universale: avrei potuto tollerare l’anestesia emotiva e la mancanza di qualsiasi intensa vibrazione.
E consumare e consumare e consumare, sulla Terra.
Evviva. Evviva. Evviva.
Dimenticare finalmente la condizione estetica/estatica di ogni fenomeno potrò occuparmi del parlare il niente: con una infinità di mezzi a nostra disposizione.
Impiegheremo gli anni a dirci in ogni modo, che non è vero che non s’ha nulla da dirsi.
Cincischieremo imbellettandoci le labbra d’ogni civetta opinione su di noi: meraviglioso, non avremo nulla, davvero nulla di trascendentale.
Scompariranno a poco a poco
Tutti quei tratti d’umanità
Stupidamente e teneramente
ci piaceremo nello sfiorire
come si fosse benignamente
io divenuto un poco tu
e qualcun altro che non ti amò
tu divenuta un poco me
e qualcun’altra che non amai.
In tutto questo mio di-vaneggiare
Non avrà spazio in me il pensiero tu.”
Vedrai, sembreremo proprio noi
così felicemente tristi
e così privi di sciagure
così comodamente poggiati nelle miserie umane
da non aver più voglia di destarci
da non desiderare e sussultare più.
Marito e moglie di nuovo, Charlot!
Io il tuo sposo tutto pantofole e cravatta
ventiquattr’ore e pigiama
E casa e ufficio
E buste della spesa
E spazzatura da sbuffare
E tu,
la mia compagna:
continuamente in transizione
tra una civetteria pettegola
e i piatti da lavare.
Oh, potessi vederti
come ti vedo io Charlot,
capiresti che da sempre
fin da quando io non c’ero
Tutto era scritto perch’io e te si fosse uno
Anche allora che io matto,
ti volevo solamente
con l’ardor della poesia,
senza offrirti nulla in cambio
che il mio immenso folle amore.
Come si potesse amar soltanto
pretendendo in cambio amore
senza alcuno altro interesse
voto o pegno, o garanzia.
Stupido.
Stupido. Stupido.
Stupido.
Cretino. Pazzo.
T’incantasti con la favola
E non vedevi.
Non vedevi che quel circolo
vizioso di eroiche imprese
non aveva alcuno scampo,
non offriva libertà.
Tu eri schiavo, poverino
Eri schiavo del tuo ingegno
del farlocco tuo inventare
motivi e gesti e intenti e azioni:
ricadendo nella schiera
delle azioni sempre uguali
ripetendo come automa
mille giorni come uno.
Ora! Ora no. No!
Ora che hai la gabbia aperta
E il pensiero s’è schiarito
ora che sai esattamente
cosa sei, che cosa fai.
Senza maschera e costume
senza celluloide o schermo
E la destra è sempre a destra
E mancina è la sinistra
Ora che con questa Terra
Non si può più palleggiare.
Ora che l’estate è calda
e l’inverno lungo e freddo
che l’autunno e primavera
cambia agli alberi i colori
Ora che il mare è salato
ed il fiume dolce scorre
le eccezioni eccezionali
il banale è l’ordinario
la materia della vita
tu sei solo quel che sei
ed io solo quel che sono
ci si può volere e amare
tutto il tempo che si vuole.
Se si vuole.
Se.
E desidererò un hobby
Passatempi a profusione
per potere esser fedele
al confuso consumare
che scandisce ad ogni tocco
i miei giorni insieme a te.
E tu pure ne vorrai:
impiegandoti vedrai
con le cose più volgari
e noiose che ci siano
e pretenderai un lavoro
per poterti dire sciolta
Da ogni briglia che nel tempo
io potrei voler apporre
sulla vita tua meschina.
Ti dirai che sei moderna
che dipendi da nessuno
e preferirai le amiche
Per il tempo che una volta
mi dicesti fosse mio
e mio soltanto.
Ed io spenderò lo stesso
tempo quello di cui sopra
Dentro ai bar e alle botteghe
con gli amici disgraziati
come me, senza più amore.
Che poi, è vero,
In Svizzera la vita
è un po’ più lenta e
decisamente meno dinamica
che in America
Bene,
Avremo più tempo da perdere.
È necessario, Charlot
Si che è necessario,
Che io e te si sia un poco lontani
Perché la vita sia normale
e non abbia picchi accesi.
Che il nostro tempo sia riempito
In modo da strappare il fiato
Ad ogni riflessione intima
Ad ogni dubbio esistenziale
su quello che si sta vivendo
sul modo quantomeno dubbio
Sul nostro essere fissati,
Come si fosse per l’eterno.
Ma noi no, non cederemo al tempo
Non gli daremo alcun istante
Per farci torto col pensare
che potrebbe esserci altro
oltre al viver quotidiano
da poter chiamare vita
senza la necessità
Di vedere o di toccare.
Non vorremo mica
ritrovarci nuovamente
Con il vizio di sognare
Ben ficcato tra le cose
Che si sanno essere utili
Produttive e necessarie?
No.
Basta.
Basta.
Non sono più un bambino.
Non voglio più giocare ad alcun gioco.
Sono adulto e come adulto
la mia religione è la seriosità.
Il mio voto è per le cose serie
Ed il mio amore per la mia nazione
in obbedienza si tramuterà.
E quell’America da cui
mai pretesi amor materno
della sua cittadinanza
Questa volta servirò
come amor di figlio deve.
Se vorrà farmi tornare
dall’Europa dove nacqui.
Non appena che avrò appreso
di com’essere serviente
Non più tanto troppo umano
Non più teso al mio piacere
Quando mi sarò piegato
ai voleri dei signori
dei padroni degli schiavi
degli schiavi degli schiavi
degli dei, di me meschino
non sarò che un ubbidiente
fedelissimo mastino
E nei miei momenti liberi
sarò schiavo sol di te.
Pronto al ringhio di protesta
giusto a dar di me l’idea
solamente a me medesimo
d’esser capo di famiglia
che la mia natura nega
l’intervento necessario
a coincidere l’intento
con il fulmine dell’atto
Io sarò così congiuro
d’una presa di potere
solamente fantasiosa
non recando danno alcuno
al tuo scettro ed al tuo trono.
E tu mi deriderai
Solamente quanto basta
Ma non troppo a divorare
L’idea pubblica di me
proiettata a me tapino.
Ch’io non possa mai destarmi
Da quel sonno in qual mi sono
Figurato lo signore
Per trovarmi maggiordomo
di me stesso e d’altrui voto.
Quel giorno io
mi ritroverò io
e tu lo stesso e m’amerai.
- posa la lettera dalla bombetta e prende dallo specchio la foto di una bambina, sua figlia -
Ed io di film in film
E quando t’amo
Bambina
Combatto col mio essere cresciuto
Io che ho cominciato “enfant prodige”
Purtroppo son rimasto sol prodigio
Io sono eternamente il mio “Monello”.
Io sono eternamente e quindi mai
Con la mia arte a sollevarmi i piedi
Dal mio vizio indicibile d’amarti
Dal mio peccato indecentissimo
Di amarti per bambina qual tu sei.
- posando la foto guarda lo specchio: si accorge di essere ancora vestito da Charlot -
Eppure ho come qui,
Charlot
L’idea vagante
nel mio cranio oramai vuotato
di tutte le inutilità
Ho come qui nel petto mio
Il terrore grande
Che tutto ciò sia vano:
che tu non veda alcuna differenza
da quando prima
matto e privo di coscienza
Insapiente come alcuno mai
Andavo ripetendo giornalmente
Gli stessi gesti e le stesse parole
Come la vita fosse una canzone
Come la vita fosse tutta un gioco
Ed io non ho più alcuna voglia di giocare
Non vedi che ora ho ben altro percorso?
Non vedi che m’annoio finalmente?
Che le mie gesta misere, i miei intenti
Atti non sono più a meravigliare
Ma a quotidiano sfaccendare
E piccoli tormenti.
E quindi come può paragonarsi
Una sì tanto lucida sapienza
Con quanto è stato di me la follia
Se non m’amasti allora perché schiavo
ora che sono libero potrai
Se non m’amasti allora perché libero
Ora che sono schiavo lo potrai
Se non m’amasti allora ché diverso
Ora che son banale mi vorrai.
- comincia freneticamente a cancellarsi il trucco e poi a togliere e gettare via il costume -
Non sono mica io venuto giù
A mettere i miei piedi sulla terra
A togliere il cerone ed il mascara
Per poi sentirmi dire che così
Non mi si può volere giacché sono
Uno con tutti gli altri e il mio operare
Non è che un trafficare da formica
E tu vai a cacciar solo calabroni
Se non mi vuoi che sono tra i comuni
Bene avrei fatto a starmene lì in strada
con la bombetta in testa ed i baffoni
Il vestitino logoro e il bastone
satiricamente finito sul lastrico
con quegli indescrivibili pantaloni
a opposizione a quelle convenzioni
che un gagà londinese decaduto
Può pur permettersi di sdoganare.
E gli scarponi grandi a dare idea
Dei limiti del mio vagabondare
Impedimenti della mia eleganza
Manifesto della mia caducità.
Vedi Charlot
È tutto contenuto
Negli scarponi il vecchio vagabondo
E l’apice del mio pantomimare.
Quel mio danzare fatalmente
Tra l’impossibilità e la voglia d’altezze
Che mi si riconobbe per il mondo
Potere essere detta comicità o poesia.
Ma tu sonora mi ridesti addosso
Ed il sonoro uccise il mio Charlot
E tu per prima mi chiamasti folle
Ed ora che trascino la mia vita
Tra cose che non sanno di me nulla
E nulla hanno da dire dell’umano
Tu mi vai segnalando che è da folli
Pensare di volerti come sono:
E quello che trascuri è assai più caro
Poiché io ormai non sono quel che sono.
- si veste, indossando il costume dell’operaio di Modern Times -
Io provai
A tradurre sullo schermo
Un’idea nobilissima di arte
Forse attentando
Ad una qualche possibile
Poesia.
Ma l’arte, l’arte
È un buio l’arte
E a questo buio dentro noi femmineo
La luce dello schermo è una rovina
L’arte nasconde
quel che lo spettacolo deve
E sì, vuole
Mostrare.
La poesia tace
Quello che l’intrattenimento vuole
E deve dire chiaramente.
Così provai a mostrarmi,
Tacendo.
Fu al mio intento
Il mutismo del cinema
Fidato alleato.
Venne poi il sonoro
E lì,
doloroso passo
Dovetti abbandonare il vagabondo
Poeta dei miei film precedenti
Poiché poesia non dice
Ed io adesso
M’ero costretto a dire.
- il volume dell’applauso aumenta, le luci cambiano: Chaplin viene ritrascinato in scena, ancora una volta non è pronto, si gira -
“Dunque: quando rivedremo Charlot sullo schermo?”
Charlie
Le dico che non posso più fare film con Charlot
non posso più essere Charlot.
Perché c’è il sonoro!
Non potrebbe parlare,
non saprei che voce usare.
Come riuscirebbe a mettere insieme una frase?
Per questo motivo Charlot ha dovuto darsela a gambe.
- ritorna in camerino -
Ma basta
con tutti questi giuramenti
Via, via, cos’è questo traffichio continuo
di pensieri fatui e fuochi vuoti
ed il contrario ovviamente
ma cos’è un contrario
Se non un identico
guardato con un occhio solo.
Basta con questo sproloquiare
di cose inusuali e pretestuose
sappiamo quel che c’è da farsi
e il come, il quando, il dove, il quanto
e sappiamo come finirà persino.
E quindi? Che cosa ci interessa
di indubitarci con i possibili tracolli
Se questa è la vita che fanno
Tutte le persone equilibrate
stracolma di impieghi e occupazioni
È quello che io voglio
e lo pretendo!
riempire la mia vita fino all’orlo
fino a che non trabocchi di lavoro
“e no, non posso”, “ho moltissimo da fare”
Saranno il solo credo a tutte le ore
fin quando in questo immenso trafficare
mi troverò a sparire dolcemente
come si dissolve al soprassalto
il sogno quando giunti ad il mattino
e tempo libero e tempo occupato
distinguerò perbene e chiaramente
il tempo libero sarà sempre occupato
dal tempo a me sottratto dal lavoro
così sarò per bene ammaestrato
A muovere il mio braccio come alieno
estraneo totalmente al mio sentire
che non sarà più oggetto del mio agire
Io mi trasformerò così, rapidamente
da uomo a disumano macchinista
ancor di più a macchina inumana
poi a meccanismo puro
poi ingranaggio
Infine quasi senza prevederlo
come a voler difendere il mio bene
Io mi tramuterò completamente
quando che finito il mio dovere
continuerò io a vivere in funzione
di quello che oramai con prepotenza
s’è fatto sostituto alla mia vita:
sarò così negriero di me stesso
e di qualunque voglia poi lo schiavo
poiché la mia catena stabilisco
sarà da oggi in poi la mia corona:
e senza d’essa nulla ha più uno scopo
e senza d’essa nulla sarei io.
questo vorrò e tu Charlot un tratto
avrai come per me un’ammirazione
poiché della mia vita troverai
che quasi nulla ci sarà di vivo:
e che tutto lo meglio che non torna
io lo sacrificai per quattro spicci
quando d’altrui la libertà arricchivo
nel mondo in cui si compra col denaro
quello che si dovrebbe non volere.
Quei quattro spicci saranno bastati
a che tu conducessi mestamente
una esistenza onesta e dignitosa
in cui tu non avessi da parlare
giammai di te in alcuna maniera.
Io mi terrò per me le mie insolenze
Come risposte alle civetterie
e tu desidererai quell’avventurada qualcun altro che non sposerai:
giacché venir con me era cosa dura
giacché s’andava solo sulla Luna.
come m’annoio dio mio santissimo
di stare chiuso qui dentro a delirare
sulle mie pene e sulla tua mancanza
Che importa se davvero mi vuoi bene
Che importa se davvero ci ameremo
se ora io non sono che un pupazzo
Che vive come schiavo a questo mondo
di tutta la bellezza della vita
Di tutta la grandezza del creato
Io che ne faccio se non ho che un tarlo
Qui nella testa che mi fa Tic-Tac
E batte senza sentire la colpa
sempre lo stesso tasto e mi fa male
Ed io, mio dio come mi sento male
ad essere la causa del mio male
poiché non so restare dove sono
nemmeno so d’andare in alcun luogo
Ed ogni tanto vivere la gioia
di ritrovarmi casualmente genio
e ancora più la gioia di smentirmi
quando come bambino mi rifugio
nella tua voce
ed io sarei di tutti gli scontenti
d’un colpo il più gioioso tra i mortali
poiché potrei goderti in ogni modo
ed essere meschino come sono
Si, Voglio devastarmi
con la tua calda pelle
sopra i miei pensieri
prendermi a schiaffi con le tue canzoni
ed esserti sincero come sono
Si,
Voglio colorare
Con il mio allegro animo i pianeti
e dire t’amo t’amo t’amo e t’amo
E niente più, null’altro di geniale
Non essere creativo analfabeta
Ma farmi conduttore del tuo bene
E mito dei miei pargoli e persino
Inno di gelosia per le tue amiche
E voglio essere l’uomo mansueto
Che tu tanto agognasti quando prima
Tenevi a dirmi che m’avevi amore
Donata tutta te finanche a darmi
quello che ritenevi il meno caro
quello che tu neppure ti auguravi
Ed ora io so che non ti mentirò
E il mio segreto massimo sarà
Per te una notiziola di giornata
Ed avrai accesso a tutto quel che ho
Se quel che io possiedo t’interessa
Devi sapere che io non ho mai avuto
Nella mia vita il vizio di volere
Ma io non ho che te e come potere
Desiderare altro qualcosa infine
Le mie richieste portano il tuo nome
Le mie preghiere si alzano per te
E il mio cercare in ogni luogo o spazio
Non è che al fine il cercare di te
Che stupido ho creduto di dovere
Girare il mondo per trovar la pace
E la mia pace non è per il mondo
E la mia pace attende il mio ritorno
- vestito metà come in Modern Times e metà come Hinkel, Chaplin recita il monologo del grande dittatore spalle al pubblico, sulla scena internazionale degli Oscar -
“Mi dispiace. Ma io non voglio più fare Charlot. No, non è più il mio mestiere. Non voglio divertire, né intrattenere nessuno; vorrei parlare a tutti se è possibile: americani, russi, europei, cinesi.”
- ritornato in camerino -
D’accordo
ad una prima occhiata
quello può sembrare un discorso comunista
Ma per i maccartisti in questi tempi
ogni discorso è un discorso comunista.
Ma Dio mio, chi non s’accorgerebbe
che non ho
né sono capace
d’avere
Alcuna relazione
con la produzione
alcuna giurisdizione
con la volontà
e col potere
Credo ad un unico potere:
al potere del riso e delle lacrime
come antidoto all’odio ed al terrore.
Il potere serve solamente se si vuol fare
Qualcosa di male.
Per tutto il resto l’amore è più che sufficiente.
Ecco, pure questo sembra un discorso comunista.
Oh bella contraddizione sarebbe
richiedere per me uno scettro
Una corona, un trono
Ora
che tutto è stato fatto
detto e perpetrato
affinché io abdicassi
A che fossi deposto da me stesso
A che mi riconoscessi uguale agli altri
E non sovrano, misero mortale
Ora che la gloriosa estate
del Sole di New York
si è mutata finalmente ad inverno
di scontento
Ora che sulla testa non ho
né la bombetta
e non più ghirlande vittoriose
Ora
che i miei piedi non danzano più
ma inforcano pantofole invernali
Ed io non più avvezzo
a tempi smammolati
altro passatempo non ho
che guardare le carte sulla scrivania
e contemplare la mia operosità,
Giacché a certi spassi
a cui fui nato
non sono avvezzo più.
E dunque?
Quale potere dovrei avere, ora?
Eccolo qui il tuo Re, New York.
- Guardando fisso nello specchio, come infuriato con se stesso -
Cosa mi tocca ora?
America
M’abbandonasti ch’ero un idealista
E lo dicevi col disprezzo disgustato
di chi si occupa delle cose
Ed ora? Ora che io non vedo più
altro che le cose che esistono,
Dimmi America, dimmi:
Non m’ami più?
Non mi riconosci, questa è buona!
M’avrebbe assai colpito il fatto opposto
Che tu m’avessi un colpo conosciuto
adesso che più in nulla mi somiglio
Adesso che le cose a cui appartengo
Non le conosco più, non le frequento
ed il mio nome a volte mi pronuncio
Non senza qualche dubbio ad accertarmi
che quello almeno sia rimasto uguale:
E cosa divertente, questo Charlie
che vive in qualche luogo della Suisse
m’appare allo sentire uno straniero
venuto da un reale sconosciuto:
e non lo stimo più che un traditore
giacché di-venne sì arrogante e fiero
come la verità sempre si mostra
ad usurpare il trono al Re ch’io fui.
- crolla sulla sedia -
Non è
Che un sibilo
Tutto questo
Lentamente scoprire
Che ci si muove tanto
Senza mai andare
Da nessuna parte
Che quella totalissima
Rivoluzione del mio essere
Altro non è stato
Che un sublimare
Tutto quanto io di me
Tutto quanto io di me
Non mi tollero più
Non mi tollero più
Così avendo disposto
come posso
il mio superamento
delle cose
Mi son menato per la via maldestra
smuovendomi
e zampettando per il mondo
Non tanto per avere un qualche cosa
da raccontare più che il mio dolore
Ma perché almeno questo mio schiumare
Avesse a generarsi un ideale
Che ne nobilitasse la ragione
E che non fosse solo il mio campare
Il produttivo gesto pro padrone
In cambio di una misera minestra
In cambio di una piccola carezza
Ma immagino che fosse, come dire
Una visione almeno un po’ distorta
Il concepirsi negli stessi gesti
Il concepirsi nello stesso giorno
Con l’epica che celebra gli eroi
E non col lavorio delle formiche
Eppure io mi chiedo se si possa
Rimproverarmi prima d’esser poco
Poi quando liberato d’improvviso
dalla pochezza della mia esistenza
farmi l’appunto d’essere trasceso
adesso troppo e di dovere stare
in alto, certo, ma chiodato al suolo
Giacché l’esser devoti del Reale
ha senso solamente nel reale
ed un Reale che non è reale
non ha diritto alcuno a devozione.
Così fui io sovrano senza regno
giacché la sudditanza mia mi vide
cercare i desideri per i cieli
piuttosto che puntare le pupille
sopra la terra che mi calpestavo.
Mio dio, che sciagura fu quella.
- comincia a spogliarsi, anche di questi panni, ugualmente scomodi -
E così mi trovastie così mi venisti a tirar giù
e così, così, così
mi dicesti di poter venire con te
e che solo andando m’avresti amato
Io a quel momento non ti chiesi dove
Chè andare per me è sempre in nessun luogo
Così io mi deposi e il mio successo
cedetti a qualcun altro lì vicino
e me ne andai con te lungo la via:
Tu mi spiegasti i dogmi della vita
io ti credetti e mi ti affidai
le tue parole come religione
io m’assorbii senza domanda o dubbio
ed accettai per fede quei bisbigli
senza voler vedere testimoni.
Così tu mi dicesti io ripetei
per quasi un anno il giorno primo ed ultimo
E i gesti stessi mai modificai
poiché ero schiavo della mia follia.
Ed ora che io son schiavo della tua
poiché ripeto sempre un solo giorno
che è quello numerato del lavoro
e che ripeto ormai lo stesso gesto
che è quello comandato dal padrone
non mi è più chiara come evoluzione
questo mutar da schiavo a prigioniero
da prigioniero a schiavo stando sempre
agli ordini e restando sempre Io
Tu m’avevi promesso che s’usciva
s’andava chissà dove insieme
Ed ora che coraggio ti possiede
nel dirmi che non m’ami e che vai via
Giacché somiglio solo di lontano
all’uomo ch’ero prima e sono stato
Pormi in una miseria così nera
per te, per te, per te, per te
E s’era questo il tuo disegno amore
Quello di dimenticarmi in una volta
quando io non posso più tornar sul trono
Tanto valeva non m’amassi affatto
E ch’io restassi ov’ero sulla Luna
Che era il silenzio e il cinema per me
- Lentamente Chaplin si denuda -
Quanto a lungo
ho ciarlato in vano.
Che tremendo sproloquio.
Sono giunto ad un’età in cui si tirano le somme: e cos’ho concluso? Niente.
Ho girato tanti film, ma questo non vale a nulla: noi attori siamo venditori di chiacchiere, un falegname vale certo più di noi. Almeno il tavolino che fabbrica, resta nel tempo, dopo di lui.
E non m’ami, non m’ami.
Tu
Non m’ami.
E s’io di me non amavo che te
E se la cosa che m’ha sempre
testimoniato della mia esistenza
non era altro che lo viso tuo
a che serve e che importa
che io ci sia, ora, che tu non sei più
Non m’ami.
Non m’ami ed io sparisconon c’è più prova che io sia qui
non c’è ricordo di me con questa pelle
non c’è ricordo di me con questa vita
Ah, la vita
Nemica giurata di tutti i poeti
e chi potrebbe dire in onestà
e senza la più bieca malafede
Che io non son poeta ora che soffro
e mi cancello già che la ragione
non ebbe fede di chiamar per nome
la nostra inevitabile mania
di dirci amore e amore e ancora amore
Così io non ci sono
e non intendo più esserci ancora
nemmeno per un attimo di nuovo
Così io non ci sono
e me ne sono andato chissà dove
e chissà quando e non ritornerò
Così io non ci sono
e non la morte, nemmeno lei che è amica mia
Potrà concedersi il fastoso lusso
di consegnarmi all’eternità
d’una Storia che è sopra gli uomini
e gli pesa e li schiaccia nelle masse
io non ho una famiglia d’intorno
non ho alcuna croce da portar con me
se non il mio mastodontico
enorme, grandissimo
insostenibile
nulla
Così io mi trovai
poiché persona
Piombato giù
cacciato fuori dalla Storia.
E non volli
Mai più
Ritornare.
- Chaplin, completamente nudo davanti al suo pubblico, ritorna sulla ribalta per ricevere il più lungo applauso della storia dell’Academy. In controluce, vestito solo della sua pelle, saluta il suo pubblico: poi si volta per un istante al camerino -
“Come può morire
Un uomo che non è mai esistito davvero
fuori dalla sua scena?
Fuori dalla sua maschera?
l’applauso più lungo della storia dell’Academy
È durato quanto è durato Chaplin:
soltanto allora io sono stato in scena
soltanto allora in tutta la mia vita.
Soltanto quella volta ho recitato.
Charlot è sopravvissuto alla mia miseria
Più di quanto io abbia potuto sopravvivere
Alla sua celebrità. Di tutte le divise che ho indossato
La sua è stata la sola che non fossi stato capace
Di disertare.”