Creatività e immaginario destituente in Giovanna d’Arco

DOI : 10.54563/revue-k.643

Résumé

This paper examines the various functions of the imaginary starting from the case of Jeanne d’Arc. Assuming Castoriadis’ conception that the imaginary, in its ultimate and radical dimension, is the place of creation, I will explore in the lived experience of young Jeanette the alternation of what Margaret Boden distinguishes as three peculiar forms of creativity (combinational, explorative and transformative). In the first part, in particular, we will identify in Jeanne’s attachment to the religious and political tradition of her people the enactment of reproductive-combinatorial functions of the imaginary, while in the second part, we will seek to demonstrate how her voices and visions imply the creation of a new imaginary reality.

Plan

Texte

L’uomo è un animale inconsciamente filosofico,
che, nei fatti, si è posto le domande della filosofia molto
prima che la filosofia esistesse come riflessione esplicita;
ed è un animale poetico, che ha fornito nell’immaginario
le risposte a quelle domande.

Cornelius Castoriadis

1. Introduzione

L’obbiettivo del contributo è dimostrare che Giovanna d’Arco è una figura del potere destituente. Per farlo considererò – fra i vari argomenti a cui sarebbe possibile, a tal fine, fare ricorso – i tratti visionari di Giovanna. La mia tesi è che il rapporto che Giovanna intrattiene con le voci e le visioni riveli l’assunzione di una strategia che si potrebbe definire destituente e che comporterebbe l’attivazione di funzioni afferenti alla dimensione inconscia dell’immaginario. Più precisamente, le diverse forme che assumono nel tempo, anche in virtù di queste esperienze, le rappresentazioni che Giovanna ha di sé e del suo Dio, sarebbero testimoni di un’attività immaginaria orientata alla creazione e alla destituzione inconscia delle credenze. Cercherò di mostrare non solo come operi l’immaginario di Giovanna, ma come il caso di Giovanna illumini il ruolo che l’Immaginario ricopre, assieme al Simbolico e al Reale, nel quadro generale dell’attività inconscia. Mi avvallerò così dell’opera di Castoriadis – filosofo e psicoanalista che fu, per un certo periodo, allievo di Lacan, ma che ben presto arrivò a rinnegare gli insegnamenti del maestro, reo a suo parere di non aver riconosciuto, nel quadro dell’inconscio, il ruolo creativo dell’immaginario e di averne fatto, nella celebre tesi della “fase dello specchio”, un “sottoprodotto dell’ontologia platonica” (Castoriadis, 2022, p. 33). In particolare, ricavando dal pensiero di Castoriadis l’idea – rinvenibile anche in alcuni luoghi dell’opera di Lacan (Lacan, 1991, Seminario 2, p. 47) – per la quale la creatività, più che la specularità, sia la proprietà dell’Immaginario, tenterò di ripercorrere il vissuto di Giovanna, integrando i concetti della teoria psicoanalitica con tre categorie della creatività (combinatoria, esplorativa, trasformativa) proposte da Boden (1990). Questa operazione mira a mostrare il dinamismo immaginario con il quale Giovanna, trasportata da un’esigenza reale, trasformò il simbolico su cui si strutturavano le sue credenze.

2. Giovanna d’Arco e il campo immaginario

Nel quadro di uno studio del campo immaginario si potrebbe pensare che la scelta di lavorare su Giovanna d’Arco abbia dell’arbitrario. Qualsiasi personaggio o caso clinico della storia potrebbe infatti risultare in egual modo utile allo scopo. La verità è che il suo caso rimane più emblematico di altri per almeno due motivi. In primo luogo, e questo è il motivo più banale, Giovanna d’Arco avrebbe avuto delle esperienze particolari, che ella descriveva come voci e visioni. Il fatto di aver avuto esperienze di questo tipo fa di qualsiasi personaggio, evidentemente, un caso più emblematico di altri per uno studio del campo immaginario, in quanto permetterebbe di illuminarne delle funzioni che in personaggi più ordinari sarebbero assenti, inattive o più difficilmente isolabili. Tuttavia, la storia ci testimonia di molti altri casi di personaggi che dicono di aver avuto voci e visioni. Perchè scegliere proprio Giovanna d’Arco? E qui veniamo al secondo motivo. Non esiste caso nella storia di cui, di una persona che dica di aver avuto esperienze simili, si abbiano così tante informazioni. Grazie al lavoro di Quicherat (1849) sono a nostra disposizione gli atti dei due processi a cui andò incontro Giovanna prima e dopo la morte: quello di condanna (Ourcel, 1959) e quello di “riabilitazione” (Pernoud, 1973) – utile a completare il quadro con le testimonianze di chi la conobbe. A ciò si aggiunge il lavoro di Luce (1887) – di particolare importanza, come vedremo, per il nostro scopo –, che anche grazie all’opera di Quicherat, di cui era allievo, contribuì a ricollegare le apparizioni del 1425 a fatti concreti, molto specifici, della vita di Giovanna1.

L’elevata mole e la qualità delle informazioni di cui disponiamo nel caso di Giovanna ci permette così di intendere le sue voci e visioni come prodotti immaginari più di quanto sarebbe possibile fare nel caso di altre visionarie, dove a tali manifestazioni non sarebbe possibile associare con altrettanta precisione, per mancanza di informazioni, gli aspetti biografici che soli consentirebbero di farne dei prodotti emergenti e descrivibili nel quadro di un vissuto individuale. In base al lavoro di questi importanti storici, per esempio, di Giovanna sarebbe molto più difficile sostenere che le sue esperienze siano state di natura mistica, cioè rese possibili da forze trascendenti, poiché nel suo caso tutto spinge a pensare che è invece per via della messa in moto delle sue stesse facoltà interne, del suo modo di reagire sul piano immaginario a fatti realmente accaduti – con le aspirazioni e i desideri che questi avrebbero promosso in lei – che Giovanna udì quelle voci e vide quelle immagini. Attenendomi a queste fonti, e a biografie più recenti basate su di esse, nei prossimi capitoli cercherò di mostrare come si possa giustificare il contenuto delle apparizioni del ’25 alla luce delle influenze religiose e politiche che plasmarono l’immaginario di Giovanna negli anni dell’infanzia.

3. L’infanzia e l’attaccamento di Giovanna alla tradizione religiosa

La piccola Jeanette – così veniva chiamata da familiari, amici e conoscenti – nacque nel 1412 a Domremy, un piccolo villaggio dell’allora Ducato di Bar, che ritroviamo oggi con il toponimo di Domremy-la-Pucelle a Nord del Dipartimento dei Vosgi, nel Grand Est della Francia. Al tempo di Giovanna in quelle terre la gente era particolarmente devota al Cristianesimo. La strada che da Domremy conduceva al santuario di Saint Mihiel era continuamente solcata da gruppi di predicatori francescani (Cardini, 1998, p. 39) e non è escluso che proprio da essi la piccola Jeanette imparò a vivere in maniera intimistica il suo rapporto con la fede. Del resto, sembrerebbe che anche la madre, Isabelle Romée de Vouthon, e il parroco di Domremy, Guillaume Front – ai quali si deve più che a chiunque altro l’educazione religiosa di Giovanna – fossero imbevuti di idee francescane e valorizzassero particolarmente, nella dimensione della preghiera e del ritiro spirituale, il rapporto diretto con Dio.

Per quanto la devozione di Giovanna, anche per via di queste influenze, fosse più ardente del normale, essa si ben adattava alle consuetudini ecclesiali del suo paese, che ponevano al centro la messa domenicale e il rispetto dei sacramenti. Da diverse testimonianze si sa che ogni occasione era per lei buona per andare a confessarsi e “che quando era nei campi, ogni volta che udiva suonare la campana s’inginocchiava” (Pernoud, 1973, p. 100) o andava in chiesa per assistere alla messa. Il fabbriciere di Domremy, Perrin Drappier, racconta che quando non suonava la campana, lei puntualmente lo rimproverava, promettendogli di regalargli della lana se avesse svolto con maggior zelo il suo dovere (p. 90).

Aneddoti come questi rendono conto dell’idea che aveva di lei Guillaume Front, il quale ricordava spesso, come riportato dai testimoni del processo di riabilitazione, che “non ne aveva nessuna migliore di lei nella sua parrocchia” (p. 91). Ciò confermerebbe che Giovanna era ritenuta, a Domremy, un modello da seguire. Essa rifletteva, in una versione di certo esaltata dalle qualità individuali, la tradizione religiosa della gente di quel villaggio.

4. L’infanzia e l’attaccamento di Giovanna alla tradizione politica

Si può dire che in Giovanna convivino due modi di vivere il rapporto con la religione. Da una parte un modo personale, vissuto nella preghiera e nel rapporto diretto con Dio. Dall’altra uno più istituzionale, nel rispetto dei costumi e dei sacramenti della tradizione cristiana. È possibile seguire questo schema per leggere anche il suo rapporto con la politica.

Oltre che per il Cristo Re, nel contesto della Guerra dei Cent’anni – in una zona per lo più occupata dagli anglo-borgognoni – il cuore della gente di Domremy batteva ancora per Carlo VII, da essi ritenuto – nonostante le rivendicazioni di Enrico V sulle terre d’oltre manica – il legittimo erede al trono di Francia, in quanto figlio del Re Carlo VI e della regina Isabella di Baviera. Il prezzo da pagare fu però, per i suoi abitanti, il dover far fronte agli assidui attacchi dei nemici e dei signori della zona, visto e considerato che Carlo VII, impegnato a contenere l’espansione a Sud degli inglesi, non poté più garantire la protezione di cui essi goderono con i suoi predecessori.

In tale situazione, nei cinque anni precedenti alla prima visione di Giovanna, tra razzie e devastazioni di villaggi, diverse furono le ingiustizie che quella gente dovette subire, e che con ogni probabilità turbarono nel profondo la piccola Jeanette, facendo maturare in lei quel sentimento di pietà verso il suo popolo che la porterà a condividerne ben presto le idee politiche. Tra queste ingiustizie vi è ad esempio il fatto che gli abitanti di quei villaggi, non essendo gente abituata alle armi, per la paura di essere aggrediti da terzi furono costretti a stipulare accordi, spesso sfavorevoli, con potenti signori dei paesi limitrofi, scambiando denaro o beni materiali con garanzie poco affidabili di protezione. È assai probabile che Giovanna, malgrado la tenera età, avesse ben presente questo fatto. Sappiamo infatti che suo padre, Jacques d’Arc, era il decano di Domremy e che assieme al sindaco, al consigliere comunale e al curato Guillaeme Front presenziò nel 1423 a uno di questi umilianti accordi (Luce, 1887, p. 68). Un fatto che dovette sconvolgerla sul piano emotivo, sempre in quell’anno, fu la morte del marito di sua cugina, nel corso di un assedio mosso a Sermaize da un gruppo di soldati del duca di Lorena, il quale si era sottomesso dall’anno prima al re d’Inghilterra (pp. 66-67).

Queste informazioni suggeriscono quanto il grande impegno che Giovanna assumerà di lì a poco per la Francia potesse dipendere dal sentimento di pietà e vicinanza che provò per i suoi cari: parenti ed amici con cui condivise, fin dall’infanzia, la stessa tragica situazione di vita.

Seguendo questa linea interpretativa risulta al quanto riduttivo ritenere Giovanna una patriota. Solo in seguito, trasponendo in una causa politica più grande il semplice desiderio di difendere amici e parenti assumerà l’incarico di liberare la Francia dagli inglesi. Tanto più che, come ha mostrato Beaune nella sua Naissance de la nation France (1985), le stesse espressioni di “patriottismo” e “nazionalismo” non sarebbero adatte a descrivere i sentimenti dei personaggi medievali su cui si è edificato il mito di Francia. Queste espressioni entreranno a far parte dell’uso comune solamente più tardi.

Sembra allora che Giovanna possa aver agito in difesa di un popolo più verosimilmente identificabile nella gente del suo paese che nei francesi in generale. Nella situazione disperata di non trovare alternative non è da escludere che possa aver pensato – legando il suo destino alla liberazione del Regno di Francia e al volere di Dio – di convincere i regnanti a un’azione il cui fine ultimo doveva essere, almeno per lei, proteggere i suoi cari. Se questo è plausibile, allora le apparizioni che dal ’25 in poi la accompagneranno sarebbero inscrivibili in una logica in cui vennero ad armonizzarsi, in lei, le esigenze personali e le istanze politiche di una nazione a venire.

5. L’immaginario effettivo e la creatività combinatoria di Giovanna

Da qui in avanti unirò assieme la concezione dell’immaginario di Castoriadis e la teoria della creatività di Boden per descrivere l’attività inconscia di Giovanna negli anni dell’infanzia. In particolare, proverò a mostrare le dinamiche che in questo periodo avrebbero promosso le apparizioni del ’25 e con esse la trasformazione generale dell’immaginario di Giovanna.

Bisogna innanzitutto chiarire che cosa s’intende qui per immaginario. Si prenda la seguente definizione di Castoriadis: “parliamo d’immaginario quando vogliamo parlare di qualcosa ‘d’inventato’ – che si tratti di un’invenzione ‘assoluta’ (‘una storia immaginata di sana pianta’), o di uno slittamento, di uno spostamento di senso, dove dei simboli già disponibili sono investiti da altre significazioni rispetto alle loro significazioni ‘normali’ o canoniche” (Castoriadis, 2022, p. 214). Concettualizzando questa duplice funzione, più avanti nel testo il filosofo greco parlerà, nel primo caso, di un immaginario ultimo e radicale, mentre nel secondo di un immaginario effettivo, sempre già sottoposto alle leggi del simbolico.

L’immaginario effettivo di Giovanna è l’insieme dei simboli di cui ella dispone per orientarsi nel mondo. Le significazioni ‘normali’, o canoniche, sono quelle in cui si associa un significato al significante che tipicamente lo esprime. La tipicità di una significazione cambia, ovviamente, in relazione alla struttura simbolica di riferimento. In tal senso, l’immaginario effettivo di Giovanna delinea una struttura simbolica nella quale l’associazione tra gli inglesi e il male, ad esempio, è normale tanto quanto lo è quella tra il genere femminile e i vestiti da uomo. Inoltre, nell’immaginario effettivo, ci dice Castoriadis, si producono slittamenti di senso in rapporto alle significazioni canoniche. Questo lo si comprende se si considerano le associazioni di una struttura simbolica alla luce delle leggi della struttura più ampia in cui è compresa. Nel caso di Giovanna, l’associazione tra gli inglesi e il male è ad esempio la riproduzione nel suo immaginario di una legge del senso comune. Quando poi, facendo leva su questa legge, Giovanna associa il male a qualcosa o qualcuno che inglese non è, ma che dal suo punto di vista gli assomiglierebbe, ecco che si verifica, nel suo immaginario, uno slittamento di senso in rapporto a un’associazione canonica. Pur basandosi sulla medesima legge, infatti, un’altra persona (come potrebbe essere un suo parente o un compaesano) potrebbe ritenere illegittima questa seconda associazione e associare invece il male a persone a cui Giovanna vuole bene, come ad esempio i poveri e i mendicanti. Questo conferma che l’immaginario effettivo, per quanto regolato da leggi simboliche date, segue in certa misura un principio di arbitrarietà, definito da come un soggetto effettivamente associa sullo sfondo di quelle leggi. Persone che condividono lo stesso senso comune possono produrre, basandosi su di esso, associazioni diverse, il cui grado di creatività sarà definito da quanto slittamento di senso implicano in rapporto alla legge a cui al contempo aderiscono. In tal senso, riprendendo le parole di Castoriadis, la prestazione fondamentale dell’immaginario in generale è l’invenzione, o la creazione. Ma di che tipo di creazione stiamo parlando nel caso dell’immaginario effettivo? Non certo di una creazione assoluta, radicale, poiché questa dimensione dell’immaginario in generale implica pur sempre, come si è visto, il ricorso a simboli già disponibili e così la riproduzione, nella produzione di associazioni seconde, della legge simbolica a cui rinviano. Castoriadis usa anche il termine immaginazione seconda per distinguere questa dinamica da quella dell’immaginazione radicale (Castoriadis, 2021). Riprendendo un termine di Boden possiamo definire la creatività che è in gioco in questa dinamica “combinatoria” e la prestazione specifica dell’immaginario effettivo “combinazione inusuale di idee familiari” (Boden, 2003, p. 3).

Pensate a un fisico [afferma Boden] che compara un atomo al sistema solare, o a un giornalista che paragona un politico a un animale decisamente non affettuoso. O ricorda alcuni esempi di associazioni creative in poesia o nell’arte visiva. In tutti questi casi, creare – e apprezzare anche – la nuova combinazione richiede una ricca base di conoscenze nella mente della persona e molti modi diversi di spostarsi al suo interno. Il giornalista o il lettore di giornali ha bisogno di una serie di concetti sia sulla politica che sul comportamento animale e di alcune conoscenze “personalizzate” sull’individuo politico in questione (ib.).

Per quanto riguarda Giovanna, pur non disponendo di un bagaglio culturale molto ampio, si sa che era dotata di una fervida immaginazione. Così, nell’attività riproduttiva che la portò col tempo a introiettare il luogo comune per il quale gli inglesi non fossero delle buone persone, non è escluso che per mezzo di un’altra combinazione, per la quale gli stessi dovevano essere, allora, emissari del diavolo, Giovanna immaginò che i francesi, loro avversari, dovevano avere il sostegno di Dio e, in particolare, dell’arcangelo Michele, che guarda caso è il responsabile, secondo l’agiografia cristiana, della cacciata del diavolo e dei suoi seguaci dal paradiso.

Considerando queste possibili (e verosimili) associazioni di Giovanna, possiamo dire che se l’idea che gli inglesi non fossero delle brave persone non ha, in rapporto alla sua storia di vita, nulla di sconvolgente, l’associazione tra essi e l’esercito del diavolo, invece, per quanto non così creativa implica uno slittamento di senso non scontato se si considera che gli inglesi erano, e sono tutt’ora, un popolo di cristiani. Più ovvio sarebbe stato ad esempio, per un cristiano qualsiasi, immaginare l’associazione tra le forze del diavolo e gli infedeli – e a fortiori lo sarebbe stato per un cristiano di quel tempo, a cui simili ragionamenti dovevano risultare familiari per via delle Crociate. Lo stesso vale anche per l’associazione tra i francesi e l’arcangelo Michele, che per quanto non così creativa se si considera la resistenza dei francesi a Mont Saint-Michel nei primi anni ’20, rimane comunque meno ovvia di quella che si sarebbe potuto stabilire tra essi e San Dionigi, che nella credenza popolare era il protettore per eccellenza dei francesi, in quanto patrono di Parigi e della basilica in cui da secoli si seppellivano i reali2.

Basandosi sul suo personale bagaglio di conoscenze – riflesso di credenze popolari, religiose e politiche, del suo popolo – è probabile che Giovanna abbia silenziosamente preparato, con simili associazioni, negli anni dell’infanzia, le condizioni immaginarie delle apparizioni del ’25. Tuttavia, come vedremo in seguito, in questo modo Giovanna gira attorno a una serie di idee centrali – relative alla presa di posizione di Dio per i francesi e al suo ruolo di condottiera dell’impresa – che rimangono irrealistiche nel quadro simbolico del suo immaginario. Queste idee la convinceranno veramente solo quando le si paleseranno d’un tratto nello scenario delle voci e delle visioni del ’25. Il suo immaginario ne risulterà completamente trasformato e Giovanna si ritroverà da un momento all’altro a prendere per buone delle verità nuove.

6. L’immaginario radicale e la creatività trasformativa di Giovanna

Prima del ’25 è probabile che Giovanna abbia fantasticato più volte e in più modi sul fatto che Dio fosse dalla parte dei francesi e che l’avesse scelta per scacciare, come fece l’arcangelo col diavolo, gli inglesi dalla Francia. Ma immaginare cose che sono possibili sullo sfondo simbolico di un immaginario effettivo non significa credere veramente in quelle cose. Ognuno di noi può infatti immaginare le cose più assurde senza con ciò venir meno a un principio di realtà che le smentisce. Questo perché, tra le varie associazioni che sono possibili nel quadro simbolico di un immaginario effettivo, oltre a quelle che implicano un uso per slittamento di senso dei simboli disponibili vi sono quelle che derivano da un uso propriamente scorretto di tali simboli. Si pensi a un immaginario entro cui, essendo disponibili le immagini del gatto e del drago, con le rispettive proprietà a cui essi comunemente rinviano, si venga a produrre, per un uso scorretto – deliberato o meno che sia – di queste proprietà simboliche, l’immagine assurda di un “gatto sputafuoco”. Per quanto assurde e scorrette, immagini come queste rimangono possibili nel quadro simbolico di un immaginario effettivo, in quanto fantasticherie che ne confermano la regola. Così, per Giovanna era perfettamente possibile fantasticare di essere destinata da Dio a liberare la Francia, senza con ciò venir meno al quadro simbolico del suo immaginario effettivo, rappresentato dal senso comune per il quale una persona con le sue caratteristiche – di genere, di età e di condizione sociale – non poteva realmente avere un simile destino.

Nel momento in cui, immaginando ciò che immagina nel ’25, comincia invece a prendere sul serio queste idee, Giovanna si ritrova d’un tratto a credere in qualcosa di impossibile in rapporto al quadro simbolico del suo immaginario, il che equivale a dire che trasformò, in quel momento, quel medesimo quadro, non nel senso però di produrre slittamenti possibili in base a una legge istituita, ma sostituendo tale legge con una inventata di sana pianta e presa per vera. Un’operazione immaginaria di questo tipo rivela che, in generale, l’immaginario può creare venendo meno alle leggi simboliche dell’immaginario effettivo. Ciò vuol dire che deve esistere un’ulteriore dimensione, ultima e radicale, dell’immaginario in generale, vincolata a esigenze che nulla hanno a che fare con quelle leggi e che una volta attivata, in certi momenti della vita di un soggetto, può rompere con esse per crearne di nuove.

Vediamo allora di capire come una simile trasformazione possa essersi verificata nel caso di Giovanna. La questione è complessa, perché a seconda della lettura che si vuol privilegiare ci si ritroverà di fronte a un evento puntuale o a un fenomeno che si esplicita gradualmente nel tempo, di cui non sarebbe possibile stabilire né l’inizio e né la fine. L’obbiettivo di questo capitolo è mostrare che le due prospettive non si escludono a vicenda. Partiamo allora da quello che, stando alle parole di Giovanna, non si sbaglia di certo a definire un punto di non ritorno: le apparizioni del ’25. Non c’è bisogno di dimostrare che dopo questo evento Giovanna cambia. È lei stessa a individuarvi la causa di tutte le nuove idee che avrà e metterà in atto tra il ’29 e il ’31: il viaggio verso Vaucouleurs, per parlare con Robert de Baudicourt, capo militare dell’unica zona occupata dai francesi a Ovest della Mosa; il viaggio a Chinon, per parlare direttamente con Carlo VII e convincerlo di essere stata mandata da Dio per liberare la Francia; l’attacco mosso agli inglesi a Orléans e la liberazione della città; il viaggio a Reims, per l’incoronazione solenne di Carlo VII.

È lecito pensare, dunque, che tutto questo sia stato possibile in quanto Giovanna era convinta di ciò che aveva visto e udito nel ’25. Il problema è capire le cause di questa stessa convinzione, ovvero che cosa l’abbia prodotta (l’evento puntuale) e come Giovanna vi sia arrivata (il percorso graduale).

Abbiamo visto che, stando al quadro simbolico dell’immaginario effettivo di Giovanna, per quanto le due idee centrali del ’25 – Dio è dalla parte dei Francesi, Io realizzerò la sua volontà – fossero possibili sul piano della fantasticheria, non potevano esserlo sul piano della credenza, salvo venir meno a questo quadro e sostituirlo con uno nuovo. Tale movimento, che potremmo definire destituente, mostrerebbe per Boden il passaggio da una forma di creatività combinatoria a una trasformativa – mediato da una terza forma, di cui parleremo a breve, di tipo esplorativo.

La creatività trasformativa riguarda tutte quelle idee che, in rapporto a un determinato insieme di regole (o spazio concettuale), risultano impossibili (Boden, 2004, p. 6). Ribadiamolo: non stiamo dicendo che Giovanna non poteva avere quelle idee, ma che stando all’insieme di regole del suo immaginario non poteva crederci veramente. Se in un modo o nell’altro, poi, arriverà invece a crederci, ciò vuol dire che, stando alla definizione di Boden, Giovanna deve aver rotto a un certo punto con quelle regole, trasformando da cima a fondo il suo modo di immaginare. Il problema è capire, di nuovo, come ciò possa essere accaduto.

Una lettura che potrà sembrare banale, ma che proprio per questo, forse, avrà il vantaggio di apparire verosimile, è quella di vedere nelle idee del ’25 il riflesso di ciò che Giovanna desidera. Vi sarebbero allora due versioni di Giovanna: una che immagina ciò che vorrebbe essere (fino a prima del ’25) e l’altra che si convince di essere ciò che immagina (dopo il ’25). Si noti che nel momento delle apparizioni queste due versioni stanno assieme e arrivano a coincidere: Giovanna immagina ciò che vorrebbe essere e si convince di essere ciò che immagina.

Ora che abbiamo illuminato questo momento di discontinuità – in cui subentrerebbe una credenza che prima non c’èra, o un’idea a cui Giovanna, fino a prima dell’evento, non poteva credere fino in fondo –, possiamo lasciarlo in sospeso, almeno per il momento, interrogandoci su come Giovanna vi sia arrivata. Fin da bambina, seguendo questa lettura Giovanna avrebbe fantasticato attorno a una serie di cose di cui sarebbe arrivata a convincersi nel ’25. Oltre a una certa immagine di sé, si potrebbe identificare tutta una serie di sogni, speranze e ambizioni che la accompagnarono in quel periodo. Tra queste, alla luce dei fatti della sua vita fin qui esaminati, possiamo sostenere che centrali furono il pensiero relativo alla fine delle sofferenze dei suoi cari e quello a esso collegato della cacciata degli inglesi dalla Francia. Giovanna inizia dunque a sognare ad occhi aperti questi scenari, ed è probabile che a un certo punto abbia appreso, più o meno consapevolmente, che se davvero voleva fare qualcosa per realizzarli, se davvero voleva farsi carico della liberazione della Francia e porre fine alle sofferenze dei suoi cari, allora doveva credere all’impossibile – e cioè che Dio l’aveva scelta per salvare la Francia –; doveva trovare il modo per convincersene, anche a costo di autopersuadersi. Una parte di sé si rese conto che non era più sufficiente fantasticare e che per realizzare l’impresa aveva bisogno di quello slancio che solo la credenza cieca in se stessi e in Dio potevano darle. Cosa accadde, dunque, a quel punto? Come affiorò in lei quel convincimento radicale, per il quale non esistono né ragioni, né condizioni di possibilità? Una parte inconscia di Giovanna comincerà a preparare lo scenario in cui sarà Dio stesso ad assicurarle che scaccerà gli inglesi dalla Francia. Questa parte lavorerà per far sì che la parte cosciente di Giovanna non possa esimersi dal credere all’impossibile – perché sarà Dio stesso a dirle, a quel punto, che l’impossibile accadrà.

Possiamo qui vedere che nel credere a questa impossibilità Giovanna crederà in Dio, per la prima volta, senza le ragioni per credere – che fino ad allora furono le Sacre Scritture, i Sacramenti, gli insegnamenti del prete e della madre – e che solo a quel punto, dunque, crederà veramente in Dio, perché vi crederà, finalmente, per sua stessa scelta, quando cioè credere non sarà più, in mancanza di ragioni esterne, possibile e nemmeno più distinguibile dal credere in se stessi.

Lo scenario del ’25 è proprio ciò che fu creato a un certo punto e al tempo stesso preparato nel corso degli anni. Una volta che Giovanna apprende, in modo più o meno consapevole, che deve convincersi nel profondo di essere stata scelta da Dio – condizione necessaria, dal suo punto di vista, per realizzare l’impresa di cui desiderava farsi carico – inizia una fase in cui una parte di lei s’impegna nell’esplorazione del proprio vissuto, alla ricerca di idee, ricordi, immagini e parole che una volta legate fra loro in un certo modo e portate alla coscienza avrebbero potuto indurla a credere in quell’idea impossibile e al tempo stesso necessaria per i suoi scopi pulsionali inconsci. Boden associa questo movimento alla creatività esplorativa, tipica di quei soggetti che tentano, in risposta a un’esigenza profonda, in un certo momento della loro vita, di modificare il proprio spazio concettuale – cioè l’immaginario effettivo di Castoriadis – “per rendere possibili pensieri che prima non lo erano”.

Niente è più naturale della transizione dall’esplorare uno stile di pensiero al trasformare tale pensiero in qualche misura. Questo non riguarda l’abbandono di tutte le regole (là, c’è la pazzia), ma il cambiamento delle regole esistenti per creare un nuovo spazio concettuale. Le limitazioni del pensiero non solo limitano, ma rendono anche possibili certi pensieri - certe strutture mentali (p. 58).

Tra i contenuti di vissuto che, in vista delle apparizioni del ’25, potrebbero essere affiorati alla coscienza di Giovanna, ve ne sono stati probabilmente tre di primaria importanza, sui quali è opportuno spendere ora qualche parola. Apriamo dunque, per l’ultima volta, una breve parentesi storica.

In un’opera di pura critica, destinata ad accompagnare la pubblicazione dei Processi, riferendosi alla prima apparizione di Giovanna, lo stesso Quicherat afferma: “tutto mi porta a credere che fu preparata per questo da qualcosa di straordinario avvenuto nel paese in cui viveva” (Quicherat, 1850, p. 1). Ora, grazie alle ricerche di Luce – che nella sua opera non mancherà di rendere omaggio all’intuizione del maestro – sappiamo che proprio nell’estate del ’25 gli abitanti di Domremy e Greux subirono il furto, per mano di una banda di filo-anglo-borgognoni, di tutto il bestiame che possedevano, salvo vederselo restituire poco dopo da uomini d’arme inviati dal Conte di Vaudemont sotto richiesta di sua cugina Jeanne de Joinville, a quel tempo castellana di Domremy (Luce, 1887, pp. 76-83).

La gioia che seguì alla restituzione dovette essere proporzionale a quanto poco quella gente contasse ormai sul proprio Re, o sui signori a cui erano vincolati, per ottenere giustizia in simili casi. E anche se ciò era in teoria possibile, nessuno di loro avrebbe potuto immaginare di poter riottenere nella sua interezza il bestiame rubato, come se il furto non fosse mai accaduto. Così, conclude Luce, “come potevano queste povere persone in generale e Giovanna d’Arco in particolare non vedere in una restituzione così inaspettata un segno straordinario della Provvidenza, un miracolo?” (p. 83).

Registriamo questo, dunque, come un evento che potrebbe aver lasciato un segno indelebile in Giovanna, e su cui lei stessa avrebbe potuto far leva per convincersi, da una parte, che Dio era dalla parte dei francesi, e dall’altra che stesse provando, in quel modo, a comunicare con lei. Per sostenere questa duplice tesi vi sarebbero altri due fatti su cui Giovanna potrebbe aver inconsciamente fatto leva. Per quanto riguarda la prima tesi, ci riferiamo qui alla vittoria dei francesi a Mont Saint-Michel, anche questa avvenuta nell’estate del ’25. Che Giovanna l’abbia assunta come prova per confermare la prima tesi è suggerito dal fatto che l’arcangelo a cui è consacrato il Monte è il medesimo che apparirà a Giovanna durante o appena dopo gli scontri che si svolgeranno in quella zona. Che quella vittoria funzionasse poi, dal suo punto di vista, come prova a favore del fatto che Dio e Michele fossero dalla parte dei francesi, lo suggerisce che in quegli anni chiunque in Francia era portato a credere in cose simili. I Re che si succedettero nel corso della Guerra dei Cent’anni erano soliti alimentare fra i propri sudditi, sia dalla parte francese che inglese, questo genere di credenze, accaparrandosi il favore dei santi patroni di ogni nuova città che conquistavano. La notizia di quella vittoria, inoltre, circolò rapidamente in Francia, anche grazie alla campagna pubblicitaria messa in piedi da Carlo VII, il quale ebbe gioco facile a parlare di intervento divino – e da qui ad accaparrarsi il favore di Dio e dell’arcangelo –, essendo che quella vittoria, giunta dopo anni di estenuante resistenza in un territorio che era quasi del tutto sotto il controllo inglese, ebbe effettivamente dell’incredibile. La stessa Giovanna potrebbe allora aver seguito il medesimo schema nell’interpretare la faccenda della restituzione del bestiame, che era ai suoi occhi altrettanto miracolosa e rappresentava di certo, nel suo piccolo, una vittoria dei francesi sugli anglo-borgognoni, in un paese la cui situazione degli abitanti appariva analoga a quella del Monte, dove similmente si resisteva nel bel mezzo di una zona circondata dal nemico.

Ma se è plausibile che Giovanna abbia creduto, per una serie di associazioni, nell’intervento divino anche nel caso della restituzione del bestiame, allora potrebbe aver immaginato, facendo leva sulla profezia per la quale la Francia sarebbe stata risollevata un giorno da una vergine3 – e qui veniamo al terzo fatto –, che la restituzione fosse un modo con cui Dio stesse provando a comunicarle qualcosa di importante…

Fatto sta che nella stessa estate in cui accadde la vittoria dei francesi e la restituzione del bestiame apparve a Giovanna l’arcangelo per comunicarle che per volontà di Dio si sarebbe messa alla guida dell’esercito di Carlo VII e avrebbe liberato il Regno di Francia dagli inglesi, in un momento che non poteva essere dei migliori per avvalorare la profezia secondo cui la vergine misteriosa si sarebbe palesata – risollevando le sorti di Francia – in seguito al tradimento di una donna, che in quel periodo storico, guarda caso, poteva benissimo essere la Regina di Francia, Isabella di Baviera, il cui tradimento fu sancito dalla decisione di cedere il suo Regno al Re d’Inghilterra, Edoardo V, con il trattato di Troyes del 1420.

In conclusione, Giovanna potrebbe aver fatto leva sull’insieme di questi eventi per rendere credibile a se stessa e agli altri il fatto che Dio l’avesse scelta per scacciare gli inglesi. Ma la domanda è: l’insieme di questi fatti è sufficiente affinché Giovanna creda ciecamente in questa idea? Ella può al limite continuare a ricercare fatti per credere, ma l’insieme dei fatti funzionali a credere non può produrre di per sé alcuna credenza, solo un aumento del numero di fatti su cui far leva per credere. E anche nel caso in cui si finisca per credere facendo leva su quei fatti, ciò confermerà che in quell’istante la ricerca e la connessione dei fatti sarà stata interrotta dalla semplice decisione di credere, che nulla ha che fare con una conclusione a cui si perverrebbe alla luce dei fatti, ma con un’esigenza non ulteriormente motivabile che la farebbe accadere. Questa decisione non è qualcosa su cui si può dire che un soggetto abbia il pieno controllo, e non è nemmeno, d’altra parte, la prova che un soggetto sia fuori di sé, nel senso di affetto da qualche patologia. Essa ha semplicemente a che fare con le esigenze fondamentali di ognuno di noi, che ci spingono a prendere decisioni, appunto, che ognuno di noi non si rende conto fino in fondo di prendere, un po’ perché siamo limitati e un po’ perché dobbiamo nascondere in certi momenti a noi stessi di averle prese, pena rendersi conto di poterle mettere in discussione e far crollare le certezze di cui crediamo di aver bisogno. Solo chi non coglie fino in fondo la “normale pazzia” che è in ognuno di noi può credere che Giovanna sia affetta da qualche patologia per questi motivi. Giovanna, come ognuno di noi non può evitare di fare, ha deciso di credere in qualcosa. Questa decisione, ovviamente, come in tutti i casi ha una sua storia. Essa racconta di una serie di fatti che le sono accaduti, esternamente e internamente, aumentando l’intensità dell’impatto su di lei di certe idee a discapito di altre. La decisione che prende e in cui è presa è tutta in questa serie di aumenti e diminuzioni d’intensità per i quali ai suoi occhi qualcosa acquisirà valore a discapito di altro. Giovanna conduce ed è condotta, dunque, da questo gioco intensivo, che si svolge in lei gradualmente, con il passare degli anni, dando vita a quell’insieme di simboli e valori con i quali si orienterà nel mondo. Questa intensificazione graduale di alcune idee a discapito di altre, che lei in parte controlla, la accompagnerà fino alla decisione di credere allo scenario che le apparirà nel ‘25. Essa la raggiunge, dunque, come il naturale punto di arrivo di un percorso interiore. Ma è altrettanto vero che non potrebbe raggiungerla se non ponendo fine, da un momento all’altro, a un’indagine che per sua natura non conoscerebbe fine, che avrebbe potuto condurla a rimettere in discussione quell’idea in favore di un’altra e così via all’infinito. Ecco perché, allora, oltre che a essere preparato nel corso degli anni, lo scenario che si apre a Giovanna nel ’25 è anche, paradossalmente, creato a un certo punto. Spinta da un’urgenza su cui non ha potuto esercitare un pieno controllo, ha deciso di credere veramente, a un certo punto, di essere stata scelta da Dio. Le apparizioni del ’25 non sono altro che la messa in scena di questa decisione. Tuttavia, la parte inconscia di Giovanna lavora in modo tale che la verità emergente da quello scenario non sia vissuta dalla parte cosciente come il frutto di una sua decisione, ma come un fatto. Ciò è ottenuto con l’ideazione, da parte dell’immaginario ultimo e radicale di Giovanna, dell’escamotage per cui è Dio stesso a confermarle di essere stata scelta da lui. Giovanna persuade così se stessa, fino alla fine, che questo fatto non sia una formidabile invenzione del suo immaginario, o più semplicemente che non dipenda da lei.

Solo sul finire del suo processo, il 15 marzo del 1431, in un momento di commovente parresia, interrogata da un giudice su come poteva essere sicura che fosse veramente Dio a parlarle, Giovanna risponde, con grande lucidità, “ho voluto crederci”. In questa apparentemente innocua risposta Giovanna rivela che c’è sempre stata lei, più che Dio in persona, alla base di quelle apparizioni, e che è sempre stata lei a rendere credibile, a se stessa e agli altri, che alla base di quelle apparizioni c’era Dio.

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Notes

1 L’importanza di Luce rispetto alla ricostruzione storica delle apparizioni di Giovanna è stata riconosciuta anche, più recentemente, da (Neveux, 2012). Retour au texte

2 Gli stessi suoi giudici a Rouen le chiedono se non le fosse mai apparso San Dionigi (Ourcel, 1959, p. 76). Lei stessa sa che a Saint Denis vi è “l’anima della Francia” (p. 104). Retour au texte

3 Sia dal processo di condanna che da quello di riabilitazione sappiamo con certezza che Giovanna era a conoscenza di questa profezia. Da certe testimonianze del processo di riabilitazione (Durand Laxart, p. 98), sappiamo inoltre che non perdeva mai l’occasione di parlarne ad amici e conoscenti (Pernoud, 1973, pp. 98, 113). Retour au texte

Citer cet article

Référence électronique

Michele Pavan, « Creatività e immaginario destituente in Giovanna d’Arco », K [En ligne], 11 | 2023, mis en ligne le 01 décembre 2023, consulté le 17 février 2025. URL : http://www.peren-revues.fr/revue-k/643

Auteur

Michele Pavan

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