Résumé

Jane Avril, a former patient of the Salpêtrière, feigned the grand hysterical attack to escape the medicalizing grasp of psychiatry through a practice of dissimulation. This maneuver involves a tactic where the “fake” becomes a dodge, granting the nosographic gaze the idiocy of diagnostic gratification to deceive it at a deeper level. It is here that the mimetic and metamorphic art of Charcot’s patients becomes the dancing subversion of a power relationship, thanks to the hysterical metonymy’s ability to evade any clinical capture. The demand for hysterical dance, which Jane transposes from the “clinical theater” of the Salpêtrière to the stage of the Moulin Rouge, eroticizes the impossible, engaging with life and mocking the “master”. It is this “menadic” nature of hysterical desire that uncouples the erotic body from the normativity of biology.

My contribution will seek to investigate, in reference to the conceptual figure of Jane Avril, not only within a genealogy of “transference neurosis” but also in the context of its differential framing compared to other clinical and psychoanalytic constellations, the subversive trait of hysteria and its decisive role in the economy of desire.

Index

Keywords

Jane Avril, hysteria, Charcot, Lacan, Bollas

Texte

Non esiste potenza sovversiva maggiore di quella del discorso isterico all’interno dell’economia del desiderio. Nel suo sfuggire a ogni pretesa di cattura da parte del dispositivo di mortificazione del desiderio all’opera nelle strutture ossessivo-paranoiche del potere, l’isteria non cessa di mettere in crisi le coordinate psicopolitiche a partire dal suo affermarsi nella nosografia in seguito agli studi di Jean-Martin Charcot e Pierre Janet all’Hôpital universitaire de la Pitié-Salpêtrière. È in questa cornice che può essere tratteggiato un quadro concettuale della figura di Jane Avril come paradigmatica del potenziale sovversivo dell’isteria, sul crinale freudiano tra inconscio e teatro, tra l’urgenza dell’Es e la sua espressione simbolica.

Jeanne Louise Beaudon (Jane Avril è uno pseudonimo) fu ospedalizzata appena quattordicenne alla Salpêtrière dal 28 dicembre 1882 all’11 luglio 1884 (Bonduelle, Gelfand, 1999, p. 37, trad. mia).

Vi fu condotta da una coppia di benefattori, che la accolse e la affidò alle cure di Charcot per sottrarla agli abusi e ai maltrattamenti materni (p. 36). Nelle memorie di Jane Avril (Avril, 2020, pp. 14-15), l’attacco isterico diventa una sorta di performance, una simulazione messa in atto dalle sue compagne di reparto, giovani donne desiderose di attirare l’attenzione dei medici convocati all’anfiteatro di Charcot, mettendo in atto contorsioni, acrobazie, archi di cerchio e altre pose “ginniche”: una farsa comica, che, dinanzi agli increduli occhi di Jane, costituiva fonte di enorme orgoglio per le ragazze e di compiacimento per i medici.

Ma è possibile immaginare che fosse, per così dire, tutta una pantomima? O si può forse dire che Charcot sia stato preso in giro non tanto dalla simulazione delle pazienti, “ma piuttosto dall’atmosfera in cui l’isteria veniva istigata, imitata, resa contagiosa, insomma, coltivata. Charcot non era realmente ingannato quanto implicato e complice” (Bonduelle, Gelfand, 1999, p. 41, trad. mia) di un’epidemia di isteria.

Come noto, le presentazioni cliniche di Charcot sono state messe in dubbio proprio rispetto al setting e alla pratica della suggestione e dell’ipnosi. “Quello che la descrizione ateorica di Jane Avril dipinge è come la forma teatrale dell’isteria possa essere stata elaborata e propagata. Ora, naturalmente, non viene più coltivata ed è in gran parte scomparsa dalla scena. Se le sue pazienti colludevano con lui, Charcot faceva lo stesso con l’isteria” (ib.). Viene qui innanzi la capacità dell’isteria di insinuarsi nelle fessure dello stesso dispositivo che intende imbrigliarla e di scompaginarlo, in altre parole, di sabotarlo dall’interno.

Jane Avril, da paziente della Salpêtrière, individua nella finzione del grande attacco isterico una via per sfuggire alla presa medicalizzante della psichiatria tramite una pratica di dissimulazione. Si tratta di una manovra in cui la “finta” è una schivata, che concede allo sguardo nosografico l’idiozia del compiacimento diagnostico per ingannarlo a un livello più profondo.

È qui che l’arte mimetica e metamorfica delle pazienti di Charcot diventa la sovversione danzante di un rapporto di potere, grazie alla capacità della metonimia isterica di evitare qualsiasi cattura clinica. L’isteria, nel suo porsi al di là di qualsiasi pretesa di incasellamento, tiene aperta la faglia del desiderio e la sua insoddisfazione costitutiva, destituendo la boria dialettica a vantaggio dell’imprevedibilità dell’eros. La domanda della danza isterica, che Jane traspone dal “teatro clinico” della Salpêtrière al palco del Moulin Rouge, erotizza, dunque, l’impossibilità di un pieno appagamento del desiderio, mettendo in gioco la vita e prendendosi gioco del “maestro” Charcot.

Jane Avril trasforma la sua condizione in una forma di espressione artistica e di ribellione contro la presa medicalizzante e istituzionalizzante della psichiatria. Il suo passaggio dalla scena clinica a quella teatrale incarna la trasformazione dell’isteria da malattia stigmatizzata a forma di liberazione personale e sociale.

È questa la natura “menadica” del desiderio isterico, che sgancia il corpo erotico dalla normatività della biologia consegnandolo alla plasticità della pulsione.

Il mio contributo cercherà di investigare, in riferimento alla figura concettuale di Jane Avril, non solo ma anche nell’ambito di una genealogia della “nevrosi di traslazione” e di un suo inquadramento differenziale rispetto ad altre costellazioni cliniche e psicoanalitiche, il tratto sovversivo dell’isteria, delle sue manifestazioni spesso enigmatiche e travolgenti, e il suo ruolo decisivo nell’economia del desiderio.

Nella seconda metà dell’Ottocento, fenomeni come l’ipnosi, la suggestione e l’isteria acquistano un notevole interesse in quanto espressioni di una perdita di controllo che è il sintomo della crisi della ragione positivista giunta al proprio acme. L’isteria fa nuovamente capolino dopo qualche secolo, in un rinnovato contesto socio-culturale, ma la sua genealogia viene fatta risalire, anche dallo stesso Freud, alle possessioni demoniache medievali:

Non dobbiamo stupirci se le nevrosi di queste epoche passate si presentano sotto vesti demoniache, mentre quelle della nostra apsicologica età assumono sembianze ipocondriache travestendosi da malattie organiche. Com’è noto, nelle rappresentazioni della possessione demoniaca e dell’estasi mistica che l’arte ci ha tramandato, parecchi autori, e primo fra tutti Charcot, hanno riconosciuto le forme in cui si manifesta l’isteria; se a quell’epoca fossero state considerate con più attenzione le storie di quel tipo di malati, non sarebbe stato difficile rintracciare in esse i contenuti tipici della nevrosi (Freud, 1977, p. 525).

Charcot, pur non negando che si trattasse di un “male antico”, intravede un decisivo cambio di approccio nello studio scientifico della grande nevrosi isterica. Per il neurologo e psichiatra della Salpêtrière,

l’isteria era una malattia niente affatto proteiforme, ma […] c’erano delle precise ‘stigmate’, e […] non era affatto appannaggio del sesso femminile. Le stigmate erano: la paralisi, l’anestesia, l’iperestesia, la contrattura, il restringimento del campo visivo, il dolore in regione ovarica. Inoltre affermò con forza che le manifestazioni isteriche erano autentiche e non frutto di simulazione (Mangini, 2001, p. 34).

Per Charcot l’isteria poggiava dunque su una base organica: gli isterici non simulavano, e, aspetto centrale per il suo “teatro clinico”, solo gli isterici erano ipnotizzabili. Charcot si dilettava perciò, a beneficio del suo pubblico di colleghi, allievi e pazienti, ad elicitare e far scomparire il sintomo isterico tramite l’ipnotizzazione della paziente isterica. La lezione di Charcot, come noto, influenza profondamente Freud, che ne deduce la profonda connessione tra soma e psiche, intreccio messo in luce in maniera lampante tramite la pratica ipnotica. Ancora, nella “fenomenologia” dell’attacco isterico, viene evidenziato dallo stesso Charcot il carattere simbolico ed espressivo delle contorsioni e dei grandi movimenti, che “fanno pensare a degli atteggiamenti passionali che sono la rappresentazione di un’idea o di un sentimento” (p. 35). L’isteria come traduzione di un’emozione in un’azione o in un sintomo. È in questo senso che l’isteria mostra i tratti di un “disturbo di conversione” o di una somatizzazione. Siamo alle origini della psicoanalisi e degli Studi sull’isteria di Breuer e Freud. Saranno proprio Breuer e Freud ad accorgersi di quanto era sfuggito a Charcot: nel successo eclatante della scena isterica, anche nel teatro della Salpêtrière, il ruolo dell’isterica era fondamentale e niente affatto passivo.

Per comprendere l’approccio freudiano all’isteria è estremamente illuminante il contributo teorico di Cristopher Bollas, autore di una monografia fondamentale sulla costellazione isterica. Freud, secondo Bollas, considera la sofferenza isterica come un rammemorare l’infanzia del Sé:

I sintomi sono semplicemente modalità differenti di ricordare le persone e gli eventi del passato; la teatralità un’abile modalità di rappresentazione. A volte, il corpo stesso è diventato il significante dell’effetto dell’altro sul Sé e ha indicato la natura di quella divisione originaria, quando il corpo trattenne la maggior parte del dolore psichico derivato dal rifiuto da parte del reale materno. […] la madre dell’isterico […] non può esprimere una relazione erotica con il neonato attraverso l’allattamento e il contatto fisico, che sono sostituiti dalla voce e da alcuni atti che offrono al bambino una scena di amore materno (Bollas, 2001, p. 135).

Quale tratto fondamentale dell’isteria ci sta qui dischiudendo Bollas? L’isterico si troverebbe costretto ad erotizzare l’assenza, a giocare la propria sfera del desiderio nel campo della mancanza, portando all’estremo la natura stessa del desiderare. Se, per questioni legate alla personalità o alle circostanze, la madre dell’isterico ha dovuto offrire, al posto del conforto del proprio contatto fisico, quello della propria voce, in vece del proprio corpo, l’immagine di esso, la vita pulsionale dell’isterico, il suo stesso inconscio, assumeranno la forma del teatro, inscrivendosi nel registro dell’immaginario. L’isterico erotizza così l’immaginario, la fantasia materna data in dono dalla stessa madre al posto del calore del suo grembo.

Per l’isterica l’identificazione immaginaria con l’Altro diventa una questione decisiva per la costruzione dell’identità: è solo a partire da questa identificazione col fantasma dell’Altro materno che diviene possibile per l’isterico trovare il nucleo del Sé. Questa immedesimazione fa però i conti, per Bollas, con un altro genitoriale frammentato, che si impossessa dell’inconscio del bambino o dell’adolescente. Di qui gli acting out dei genitori isterici che si trasmettono in maniera contagiosa ai figli, costretti a trasformare i fantasmi delle scene inconsce in azioni, in eventi, in “attacchi isterici”. È un punto su cui, non a caso, insiste Freud in Nota sull’inconscio in psicoanalisi:

Se l’isterica compie i movimenti convulsivi e i gesti che costituiscono il suo “attacco”, non per questo essa rappresenta a se stessa consapevolmente le proprie azioni intenzionali, anzi forse le osserva con l’animo di uno spettatore imparziale. Ciononostante l’analisi può stabilire che essa ha recitato la sua parte riproducendo drammaticamente una scena della sua vita, il cui ricordo si è reso inconsciamente operante durante l’attacco (Freud, 1974, p. 577).

Qui viene messo in evidenza, da un lato, come l’isterico giochi il ruolo di attore sulla scena di un teatro fantasmatico, dall’altro, come esso sia spettatore del teatro dell’inconscio, essendo prigioniero della vita inconscia dell’Altro e spinto a proiettarla in uno psicodramma, in un agito isterico che assume i tratti confusionari ed eccitanti di un sogno. Questo legame col sogno è d’altro canto richiamato con grande lucidità da Bollas. L’isterico come attore e spettatore dentro il proprio sogno, che è, sempre, anche il sogno dell’Altro in cui si ritrova catturato, invischiato, irretito. È un aspetto sottolineato acutamente anche da Masud Khan (1983): nell’isteria si vive per guardarsi vivere. L’isterico mette in scena la propria vita marcata dal desiderio dell’Altro, e per questo le sue azioni sono evocazioni. C’è sempre di mezzo l’apparizione onirica di un fantasma, degli spettri di un’altra vita. “Non è questo, non è questo”, dice il desiderio isterico. Nel sogno si tratta sempre d’altro – dell’Altro. Con le parole di Bollas:

Il teatro isterico è come un sogno. […] Per l’isterico, essere nel sogno significa risiedere all’interno dell’inconscio materno, in quanto l’esperienza del sogno ricrea la sensazione di essere all’interno dell’intelligenza immaginativa dell’altro. Le madri e i padri degli isterici sono teatrali, e catturano nella rete del lavoro onirico isterico l’interno spazio familiare. Tutto ciò può essere profondamente sconcertante (Bollas, 2001, p. 137).

Lo sconcerto deriva dalla natura dei fantasmi messi in scena dall’isterico. La bizzarria e la vividezza del passaggio all’atto isterico non sono che il riflesso della vita intima del soggetto, imbevuta dei fantasmi della casa stregata familiare. L’isterico è costretto a riversare sulla scena della vita, o sul proprio analista, tutto il “girato” delle scene familiari caratterizzate da una confusa, quasi folle, ed eccitante, sottilmente erotica, teatralità emotiva. L’isteria prende così i tratti di un’esibizione dell’intimità che è anche un dramma autobiografico: una performance a beneficio dell’isterico, che spesso lascia chi vi assiste nello sconcerto o almeno nell’imbarazzo. Ma, a ben vedere, puntualizza Bollas, si tratta solo dell’abilità dell’isterico di identificarsi con l’altro fino a rappresentarne il desiderio, o, più propriamente, ciò che l’isterico immagina che l’Altro desideri.

A partire dal concetto di costruzione del sé, Bollas sostiene che gli attacchi isterici e le manifestazioni corporee siano forme di comunicazione che cercano di esprimere conflitti inconsci e bisogni emotivi insoddisfatti. Si tratta di mettere in gioco la logica generativa dell’espressione, al posto della logica rappresentativa dell’interpretazione: in questo senso, l’isteria sovverte teoria e prassi psicoanalitiche mettendole sotto scacco, cosa che le riesce bene fin dagli albori della disciplina.

Ciò significa che il corpo diventa un veicolo attraverso il quale si tenta di dare voce a quelle parti di sé che non possono essere espresse direttamente attraverso il linguaggio verbale, ma restano appannaggio della rappresentazione teatrale dell’immaginario operata attraverso la performance isterica. Nel caso di Jane Avril, la sua trasformazione del corpo in uno strumento artistico può essere vista come un tentativo di negoziare la propria identità e di “non cedere sul proprio desiderio” in un contesto sociale che tende a ridurla a oggetto di osservazione e controllo. In questo senso, il suo lavoro artistico diventa un atto di resistenza e di riaffermazione del proprio sé perduto. La drammaturgia isterica non è forse una ricerca continua del Sé nel campo enigmatico (del desiderio) dell’Altro?

Una ricerca che, come evidenziato da Massimo Recalcati, è insieme espressione di sofferenza e aspirazione alla verità:

Le isteriche che popolano il grande affresco psicopatologico degli Studi sull’isteria di Freud e di Breuer sono le maggiori interpreti della potenza espressiva dell’inconscio. [...] pur essendo un puro fenomeno di linguaggio, il sintomo isterico agisce in presa diretta sul corpo del soggetto. Per Lacan questo significa che il corpo isterico si dispiega intrecciando i registri dell’immaginario e del simbolico; per un verso – a livello immaginario – si presenta come un corpo stratificato che condensa differenti identificazioni inconsce, per un altro verso, invece – a livello simbolico –, resta il luogo privilegiato per il ritorno della verità dall’esilio della sua rimozione (Recalcati, 2016, p. 283).

Se nell’isteria il corpo si fa teatro, se la sofferenza inscritta nell’inconscio trova espressione eclatante nel sintomo, questa stessa manifestazione corporea si rivela essere, nella prospettiva lacaniana ripresa da Recalcati, un movimento verso una nuova simbolizzazione. La messa in scena, nel campo dell’analisi, riconduce in ultima istanza alla parola. In questo senso, se la nevrosi isterica si sviluppa in risposta alla mancanza strutturale connaturata al desiderio, i sintomi isterici sono tentativi inconsci di rispondere alla chiamata di questa mancanza. Nella vita di Jane Avril, il corpo danzante, il corpo-teatro, è la forma assunta dal desiderio isterico, l’immagine di un fantasma oggetto d’amore e il linguaggio stesso del desiderio inconscio. L’isteria come simbolizzazione di una mancanza strutturale è allo stesso tempo espressione dell’impossibilità di simbolizzare fino in fondo e necessità di tradurre nel linguaggio del corpo, nella “danza del desiderio”. Il sintomo isterico, o “sintomo di conversione”, per Lacan è, dunque, essenzialmente una metafora, un “messaggio cifrato” rivolo all’Altro e inscritto sulla carne viva del corpo, il “significante di un significato rimosso […] scritto sulla sabbia della carne” (Lacan, 1974, p. 274).

Va detto, come rimarcato da Recalcati (2016), che alla figura del corpo espressivo, l’isteria affianca anche quella del “rifiuto del corpo”. È il percorso seguito da Jacques Lacan nel Seminario XVII: il soggetto isterico rifiuterebbe il corpo per sottrarsi al discorso repressivo del padrone e a quello anonimo della scienza. Non è forse anche in questi termini che si è tentato fin qui di inquadrare il personaggio concettuale di Jane Avril? Corpo-teatro e rivolta contro la presa medicalizzante sul corpo. Sganciandosi dalla cattura del significante padrone, l’isterico prova a possedere il desiderio dell’Altro.

Ed è infatti la mossa del sottrarsi, del “rifiutarsi”, del “non è questo”, il tratto caratterizzante dell’isteria, in Lacan. Al di là della metafora, si entra così nella metonimia di un desiderio perennemente insoddisfatto, dell’attesa infinita del principe azzurro o della principessa splendente. Alla dialettica del desiderio come ricerca di riconoscimento, per cui il desiderio sarebbe sempre desiderio dell’Altro, l’isterica oppone il desidero d’Altro. “Non è questo”, perché c’è in gioco sempre qualcos’altro:

Questo desiderio è un desiderio che il soggetto esclude in quanto vuol farlo riconoscere. Come desiderio di riconoscimento è forse un desiderio ma, in fin dei conti, è un desiderio di niente. È un desiderio che non è lì, è un desiderio rigettato ed escluso. Non dobbiamo mai dimenticare questo doppio carattere del desiderio inconscio che, identificandolo con la sua maschera, ne fa un’altra cosa rispetto a qualunque cosa diretta verso un oggetto (Lacan, 2004, p. 336).

Si tratta, nell’isteria, di sottrarsi alla logica della domanda che assoggetta all’Altro: “se per l’ossessivo l’essere deve prevalere sul desiderio, per l’isterica è il desiderio che finisce per consumare tutto l’essere. Se l’ossessivo vuole liberarsi del desiderio grazie alla sua riduzione alla domanda, l’isterica vuole liberarsi dalla domanda grazie al desiderio” (Recalcati, 2016, p. 305). La sfida lanciata all’Altro diventa uno “scavo” nella mancanza dell’Altro, che rovescia il discorso del padrone, facendo passare, per così dire, di mano il coltello. Il desiderio di niente è, in altre parole, un modo per scavare il vuoto nel cuore dell’altro. Il niente genera il vuoto della mancanza. È utile qui richiamare il Lacan del Seminario IV sulla relazione oggettuale: non desiderare niente genera nell’altro il desiderio. Desiderare niente è come aver fame di niente:

L’anoressia mentale non è non mangiare, ma non mangiare niente. Insisto: questo vuol dire mangiare niente. Niente è appunto qualcosa che esiste sul piano simbolico. Non un nicht essen, ma un nichts essen. Questo punto è indispensabile per capire la fenomenologia dell’anoressia mentale. Si tratta, per la precisione, del fatto che il bambino mangia niente, che è un’altra cosa da una negazione dell’attività. Di questa assenza, gustata come tale, si serve nei confronti di ciò che ha di fronte, ossia la madre da cui dipende. Grazie a questo niente, la fa dipendere da lui (Lacan, 2007, p. 184).

Non volere ciò che si desidera permette ancora una volta di accostare la logica dell’isteria al meccanismo del sogno. Si pensi al sogno della bella macellaia, illustrato da Freud e ripreso da Lacan:

Che cosa domanda, lei, prima del sogno, nella vita? Questa malata così innamorata del marito, che cosa domanda? È l’amore, e, le isteriche, come tutti, domandano l’amore, a parte il fatto che, per loro, è più ingombrante. Che cosa desidera? Desidera del caviale. Bisogna semplicemente leggere. E che cosa vuole? Vuole che non le si dia del caviale (Lacan, 2004, p. 373).

La bella macellaia non vuole ciò che desidera, e in questo suo volere e disvolere si agita tutta un’economia del desiderio. La domanda del caviale non è ciò che sembra, perché è sempre domanda d’Altro, ha a che fare con l’amore del marito, che, alla donna, appare invaghito di un’altra. L’Altra, l’amica, la donna magra, nel sogno è l’ospite da invitare, ma l’invito va a vuoto perché i negozi sono chiusi e non si può trovare del caviale. Ma se i sogni non sono desideri, perché si sogna l’insoddisfazione? Perché dietro quell’insoddisfazione, c’è un altro desiderio. L’isteria incarna il desiderio di là da venire, mai questo, mai oggi, sempre l’indomani. C’è sempre qualcosa da far desiderare all’Altro.

La manovra isterica ha sempre di mira un vuoto da aprire nel cuore dell’Altro, pur di non accorgersi del proprio. Di generare un vuoto nel cuore dell’Altro – del padrone, del maestro, per aprire la faglia del desiderio dentro le fondamenta del potere e del sapere. In questo, la danza del desiderio di Jane Avril è un atto di destituzione della presa che il sapere medico pretende di esercitare sull’isteria come forma di erotizzazione di un fantasma inconscio. Ciò che l’isterica comprende meglio di chiunque altro è che l’unico modo di incarnare un fantasma è farlo desiderare.

Bibliographie

Avril, J., 2020, Mes Mémoires [1933], Rennes, Éditions l’Escalier.

Bollas, C., 2001, Isteria, traduzione italiana di Barbara Capriotti, Milano, Raffaello Cortina; ed. or. 2000, Hysteria, London, Routledge.

Bonduelle, M., Gelfand, T., 1999, Hysteria Behind the Scenes: Jane Avril at the Salpêtrière, in “Journal of the History of the Neurosciences”, 8(1), pp. 35-42.

Freud, S., 1974 [1912] , Nota sull’inconscio in psicoanalisi, in Id., Opere. Vol. VI. 1909-1912, edizione italiana a cura di C. L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri; ed. or. 1913, Einige Bemerkungen über den Begriff des Unbewußten in der Psychoanalyse, in “Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse”, vol. 1(2), pp. 117-123.

Freud, S., 1977 [1922], Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo, in Id., Opere. Vol. IX. 1917-1923, edizione italiana a cura di C. L. Musatti, Torino, Bollati Boringhieri; ed. or. 1923 [1922], Eine Teufelsneurose im siebzehnten Jahrhundert, in “Imago”, vol. 9(1), pp. 1-34.

Khan, M., 1990, I Sé nascosti. Teoria e pratica psicoanalitica, traduzione italiana di Stefano Galli, Torino, Bollati Boringhieri; ed. or. 1983, Hidden Selves: Between Theory and Practice in Psychoanalysis, London, The Hogarth Press.

Lacan, J., 1974 [1953], Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in Id., Scritti, vol. I, edizione italiana a cura di Giacomo Contri, Torino, Einaudi; ed. or. 1966, Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse, in Écrits, Paris, Seuil.

Lacan, J., 2001, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), traduzione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia; ed. or. 1991, Le Séminaire. Livre XVII. L’envers de la psychanalyse (1969-1970), Paris, Seuil.

Lacan, J., 2004, Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio (1957-1958), traduzione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia e Maria Bolgiani, Torino, Einaudi; ed. or. 1998, Le Séminaire. Livre V. Les formations de l’inconscient (1957-1958), Paris, Seuil.

Lacan, J., 2007, Il Seminario. Libro IV. La relazione oggettuale (1956-1957), traduzione italiana a cura di Antonio di Ciaccia; ed. or. 1994, Le Séminaire. Livre IV. La Relation d’objet (1956-1957), Paris, Seuil.

Mangini, E., 2001, Lezioni sul pensiero freudiano e sue iniziali diramazioni, Milano, LED.

Recalcati, M., 2016, Jacques Lacan. Vol. 2. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Milano, Raffaello Cortina.

Citer cet article

Référence électronique

Fabio Domenico Palumbo, « Jane Avril: la danza del desiderio », K [En ligne], 12 | 2024, mis en ligne le 01 juillet 2024, consulté le 17 février 2025. URL : http://www.peren-revues.fr/revue-k/1348

Auteur

Fabio Domenico Palumbo

Articles du même auteur